San Zeno Patrono di Verona 21 Maggio 2017

San ZenoDi San Zeno, a dirlo francamente, sappiamo poco o nulla: poco o nulla di storicamente indubitabile, perché siamo sempre stati convinti della verità espressa semplicemente in un verso, stando al quale Zeno sarebbe stato l’ottavo vescovo “qui Veronam praedicando reduxit ad baptismum”. In poche parole abbiamo qui la sostanza, storica e religiosa, della figura e dell’opera del vescovo Zeno: “Con la predicazione Zeno portò al battesimo il popolo di Verona”. Eravamo nell’ultimo quarto del quarto secolo dopo Cristo. Secolo, poco dopo l’inizio del quale era cessata l’incredibile pena delle persecuzioni che l’impero romano, o i piccoli tiranni locali, avevano inferto e inflitto ai seguaci di Cristo. Oggi si parla forse troppo poco delle sofferenze che la Chiesa ha avuto fin dall’inizio ad opera sia dei potentati di questo mondo sia di chi soffriva purtroppo di delirio di onnipotenza dentro la Chiesa.


Eravamo dunque nell’ultimo quarto del quarto secolo dopo Cristo e la Chiesa, restituita alla pace dall’Editto di Milano del 313, andava rapidamente rafforzandosi sulla base della predicazione evangelica e della fede su di essa fondata. Anche se fin dall’antico la diffusione del cristianesimo sembrava avere qualcosa di prodigioso, di indubbiamente divino, il ritmo di espansione non era tuttavia paragonabile a quello che, nei secoli successivi, avrebbe assunto la dottrina di Maometto, che in breve giro di decenni estese l’Islam dall’Oceano Indiano alle coste atlantiche dell’Africa settentrionale, inglobando il Paese di Gesù e cancellando, o quasi, la fede in Lui che pur s’era, fin dai primi secoli dell’era cristiana, ampiamente diffusa. Di certo sappiamo così poco, sulle vicende storiche di San Zeno, che non siamo ancora in grado di ammettere senza dubbio le sue origini africane, alle quali accennano gli studiosi. Sappiamo che l’Africa romana, dall’Egitto alla odierna Tunisia, e parte dell’Algeria, era stata nei primi secoli cristiani patria feconda di monaci e teologi, di vescovi e di martiri. Basterebbe ricordare Agostino e Cipriano. Il nome di Agostino, che si era convertito a Milano, con Sant’Ambrogio, ma aveva svolto il suo servizio episcopale nella patria nord-africana, e là aveva composto il mirabile corpus dei suoi scritti, ci permette di citare il vescovo di Milano, Ambrogio. Oggi anche Zeno è considerato scrittore dell’area ambrosiana, e la sua opera principale, i Sermones, viene presentata fra i complementi all’edizione di tutte le opere di Ambrogio e questo significa, che Ambrogio è, e continua ad essere, grande maestro.

ALCUNI INSEGNAMENTI MORALI DI SAN ZENO VESCOVO DI VERONA
Oggi scegliamo, fra gli argomenti che il santo Vescovo ha trattato - com’è noto, ce ne sono rimasti una novantina -, una piccola rappresentanza del repertorio morale, ossia pertinente alla vita, determinata o illuminata dalla fede.

La Pazienza
Per San Zeno, la pazienza, non è propriamente la capacità, o volontà, di sopportare, per amore, i vari tipi di sofferenza che la vita ci infligge. Per San Zeno, la pazienza, – virtuosa sopportazione delle difficoltà, sapiente ordinatrice degli eventi che caratterizzano la vita – è la condizione senza della quale “nulla si potrà né ascoltare né comprendere né imparare né insegnare” essa “è la sola cui senz’altro guarda ogni cosa ... Tutte le virtù ... non possono sussistere senza i suoi insegnamenti e senza il suo freno” (4.1). È interessante il fatto che San Zeno, che pur elenca un certo numero di personaggi biblici come esemplari nella pratica di tale virtù - Abele, Noè, Abramo, Giacobbe e, naturalmente, Giobbe - non assuma come modello imprescindibile e insuperabile di pazienza il Cristo stesso, che pure si propone all’esempio delle folle con l’esortazione “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”, dove mansuetudine ed umiltà sono sinonimi di divina pazienza Mt. 11,29. Zeno vede esempio di pazienza anche nell’ordinamento dei fenomeni naturali. È suggestiva la descrizione che egli fa della bellezza e della fecondità delle piante: “Le bionde messi, le viti flessibili, i glauchi olivi ..., degli attraenti traffici dei vari uccelli e delle aeree gru dal volo eccelso a forma di lettera ..., delle innumerevoli schiere a forma di cuneo di svariati pesci in ordine di età sotto la guida dei loro capi ...” (1,2): “solo l’uomo è precipitoso, solo l’uomo è impaziente... Mostra una mente vacillante, tenta tutto frettolosamente, tutto mette sossopra in un batter d’occhio” (1,3). C’è in Zeno una cultura di fondo che sembra derivare da una certa familiarità con i classici, da una sensibilità che la Sacra Scrittura eleva e acuisce ulteriormente. Dopo il delitto di Caino, assassino del mite fratello, “la terra deserta si meraviglia di essere troppo stretta per due persone, si meravigliano gli elementi che un uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, possa essere ucciso, e per giunta da un fratello. La terra inesperta arrossisce contaminata dal sangue innocente” (4,3,7). Elegantemente orchestrata è anche la lode che Zeno tesse della Pazienza, considerata in rapporto alle varie condizioni umane: è il “porto pienamente sicuro per la vedovanza, esposta sempre ai vortici di molteplici tempeste; ella promuove l’accordo di chi si sottopone al giogo del matrimonio”, e insegna agli amici a volere e non volere le stesse cose; essa consola chi sta sotto il peso della schiavitù, favorendo l‟avvento della libertà, e fa sì che il povero tutto possegga quando tutto sopporta. La pazienza è insomma “baluardo della fede, frutto della speranza, anima della carità”.

La Giustizia
L’ampio discorso con cui si apre il libro secondo dei trattati o sermoni di San Zeno si apre, imprevedibilmente, con un accenno che Zeno fa a se stesso, “homo imperitissimus et elinguis” un uomo senza cultura ed incapace di parlare (1,1) accingendosi a parlare della giustizia. L’oratore dichiara subito di volersi occupare di quella “giustizia” della quale si parla infinite volte nel Libro divino; quella di cui l’apostolo parla, sconfessando coloro che “ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio” Rm 10,3. Zeno esprime, in una pagina memorabile, la differenza che corre fra la giustizia di cui si parla nella Scrittura, e quella che gli uomini attenti solo ai beni di questo mondo chiamano “giustizia”. Basti citare qualche breve espressione: “La sapienza infiammata dall’abbondanza degli argomenti, adorna della menzogna persuasiva e piacevole d’uno splendido discorso, armata della tromba della voce e della spada della lingua, attira a sé tutte le attività, raduna le folle, tiene comizi ...” II,1,6. Noi oggi chiameremmo questa giustizia pubblicità. È diventata un campo in cui l’economia si esprime, Dio sa quanto conformemente alla sincerità e alla bontà. Altra da quella del mondo è la sapienza conforme alla volontà di Dio. Essa “spezza il giogo dei prigionieri con il riscatto; aiutando i carcerati, conosce meglio che cosa significhi prigione; vegliando con amorevole cura condivide la malattia con l’ammalato; non tollera che i cadaveri rimangano abbandonati, nudi, insepolti; trascurando le proprie necessità sparge segretamente con larghezza sui poveri e sui miseri i semi della misericordia” (II,1,4,12). Vivissima è, a questo punto, la descrizione che San Zeno fa della falsa e della vera giustizia; falsa s’intende quella che la mentalità mondana, fa prevalere con pretesti diversi; vera è quella di cui parla Gesù quando dice “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” Mt 5,20. Questa giustizia si identifica, con quella evangelica predicata da Gesù. San Zeno fa una descrizione vivace della scarsità, o della mancanza, di tale giustizia; in una descrizione della vita quotidiana, osservata con realistica intelligenza, entra abbondantemente: “Per questo avviene che i granai di pochi individui siano pieni di frumento, mentre il ventre di moltissimi è vuoto. Per questo le misure fraudolente, rendono i prezzi maggiori della carestia... Ogni giorno si cerca il guadagno a prezzo di gemiti altrui, e la confisca si chiama abilità, e l’appetito dei beni altrui viene stimolato con astutissimi argomenti, affinché uno, indifeso e innocente, perda a norma di legge ciò che gli appartiene ... È più misero del misero colui che si arricchisce con la miseria altrui” II,5,15. La valutazione dell’egoismo umano suscita nel santo Vescovo di Verona giudizi severi: “Non è diverso da un tiranno colui che possiede da solo ciò che può giovare al bene di moltissimi ... O quante vite perdute pendono dalla collana di una pia matrona!” (II,6,18). Non ci si nasconda dietro alla necessità di dover provvedere, anzitutto, al bene di coloro che dipendono da noi: “Rinuncia all’inganno di una vana scusa. Invano nascondi l’avarizia con gli affetti familiari: Dio solo può provvedere al bene di chi verrà” II,1,7,21.

L’Umiltà
Ricordando San Paolo secondo il quale “Mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Gesù crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” 1Cor 1, 22-23, San Zeno apre il suo discorso sull’umiltà (II,9) citando “i sapienti della Grecia, che tali vogliono apparire, curiosando più di tutti gli altri, con inutile fatica ricorrendo a temerari argomenti elevarono il loro animo oltre i confini del lecito” II,9,1,1. Quindi Zeno non è certamente un patito della filosofia degli antichi. L’umiltà è quanto di più cristiano il mistero della croce comporta. E per questo è molto difficile apprezzarla da parte di chi valorizza soprattutto l’io. La Scrittura Sacra fornisce all’Oratore cristiano materia più che abbondante, a lode dell’umiltà, per rifiuto della pretesa autosufficienza umana, alla quale pur tuttavia siamo inclini. Gli fa da traccia sicura uno dei salmi più brevi e sereni della Bibbia, il 130, nel quale l’Autore ispirato dichiara: “Non si inorgoglisce il mio cuore ..., non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre” Sal 130, 1-2. San Zeno trova facile il collegamento della preghiera più antica con l’esortazione che Gesù rivolge nel Vangelo a coloro che sono affaticati e oppressi, promettendo ristoro. “Prendete il mio giogo sopra di voi, perché sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre” Mt 11,29-30. “Re mansueto, padre affettuoso, profeta modesto,” il Signore – afferma San Zeno – “mostra che la sublimità dell’anima consiste nel vincere ciò che è più forte di noi”, e cita come ultima icona evangelica le figure parallele e contrapposte del fariseo orgoglioso e dell’umile pubblicano II,9,5,8.

Nei suoi Dialoghi, “opera di uno dei pontefici più grandi che la Chiesa abbia mai avuto, San Gregorio Magno” il Santo monaco benedettino, diventato Papa, racconta un miracolo che sarebbe avvenuto in questo luogo, nella Chiesa di San Zeno, quando l’Adige straripò – l’anno stesso del Tevere, nov. 589 - cinque anni prima che il Pontefice scrivesse – arrivando fino alla Chiesa del nostro Santo, che Gregorio chiama “martyr atque pontifex”, martire e vescovo. La Chiesa “aveva le porte aperte, attorno l‟Adige minaccioso, eppure non vi entrò una goccia d’acqua” Dialogorum III,19; Fondaz. Valla-Mondadori, 2006, vol II, pp.406-7. Quasi sicuramente leggendario, quel prodigio ha tuttavia per noi un alto significato, indicando in San Zeno, chiamato impropriamente “martyr” un protettore oggi e sempre altamente affidabile.

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