2 di Pasqua 23 Aprile 2017
Sono ancora chiuse le porte del cenacolo, nonostante l'annuncio ricevuto da Maria di Magdala. Sono ancora chiuse le porte dei cuori, per timore dei nemici. Tutti possono diventare nemici, nella nostra testa, quando siamo barricati nelle nostre aspettative deluse, nei nostri sogni falliti. E se gli occhi rimangono ancorati al passato, ciechi di fronte alla novità di una speranza, allora anche i volti degli altri vengono sfigurati e sono un pericolo per noi. Per noi come per i suoi discepoli, che hanno paura... Che hanno bisogno di vedere, di persona, e ancora non si fidano di un annuncio, di una parola, dell'ascolto...
E Gesù viene! Il verbo è al presente, perché è il verbo del nostro tempo. Gesù viene ora, attraversa ogni porta chiusa, non si ferma davanti a nessun ostacolo che genera morte dentro. Gesù viene, dolce e pieno di misericordia, ma fedele e cocciuto. Viene e sta in mezzo. Gesù non si mette ai margini del dolore dei suoi discepoli, non si mette ai margini del nostro dolore. Non si fa estraneo e giudice dei nostri sentimenti contrastanti. Gesù sta, in mezzo alla sua Chiesa. È nella Chiesa riunita, anche nella codardia e nell'angoscia, che Gesù ha voglia di venire e di stare. I suoi sono pieni di gioia, perché lo vedono. Vedono che è proprio Lui, il Crocifisso. È questo il terrore più grande che essi portavano dentro, forse anche la nostra titubanza a credere in tante situazioni della vita. Forse pensiamo che credere nel Risorto significhi cancellare tutta una vita di fatica, di pene e di dure conquiste, di fallimenti e di paure, quasi a voler dire che è una vita senza senso e vissuta male. Magari spesa a lavorare come “mussi” o a cercare di tirare a campare. Finalmente, viene la Risurrezione, e tutto sparisce come nuvola di fumo. Il lieto fine di un film americano, l'ha chiamato il Santo Padre Papa Francesco. Ma non è così, la Risurrezione non è questo.
Gesù Risorto dona la pace ai suoi, e subito mostra i segni della passione. Che sono rimasti per sempre, incisi in modo indelebile nella sua carne trasfigurata. Il corpo del Risorto porta le piaghe della Croce, e le porta con sé anche in Paradiso. Questo significa che pure la sua storia vissuta tra noi, come uno dei tanti, uno che stava in mezzo e si confondeva tra la folla; pure la sua vita ordinaria, e anche le sue lunghe camminate, gli incontri, i prodigi, le parole; soprattutto, la sua passione e morte, sono vere e sono divine. E allora anche la nostra vita umana, tutta intera, compresa la tragedia della morte, è assunta nella sua carne risorta ed è resa santa. Nulla della nostra esistenza, come della sua, andrà mai perduto: solo le ferite lancinanti del peccato, che strazia lo spirito, perché la sua morte e risurrezione le ha annullate e redente.
Il Risorto è il Crocifisso. Il Crocifisso è il Risorto. È dalla Croce che germina la pace, dono del Risorto. Pace e gioia: la Chiesa riunita nella propria passione le riceve come eredità magnifica della vita divina, anticipo di Paradiso. La fede sgorga da questa insuperabile mistura, da questa fusione misteriosa tra la morte e la vita, tra la sconfitta e la vittoria, tra il dolore e la gioia. Non sono le due facce della stessa medaglia. È piuttosto la goccia d'acqua che si perde nel vino nuovo delle nozze del Risorto. Tommaso questo non riesce a crederlo. Non si fida neanche lui delle parole dei compagni, come loro non avevano dato molto credito all'annuncio della Maddalena. Non è detto che andare alla ricerca di certezze riguardo a Dio sia segno di mancanza di fede. Addirittura, oserei dire che nemmeno il dubbio è sintomo di poca fede. Con tutta onestà, ho sempre provato una certa simpatia per coloro che di fronte ad una realtà così misteriosa e piena di fascino come Dio si sono posti degli interrogativi, ma che sono sintomo di un desiderio di ricerca. Da Pietro che non riesce ad imitare il suo Maestro nel camminare sulle acque perché dubita della sua presenza, fino ai testi di Madre Teresa di Calcutta in cui definisce se stessa in uno stato di "notte perenne" rispetto a Dio, passando attraverso le esperienze drammatiche della spiritualità dell'angoscia di Giovanni della Croce, di Teresa d'Avila, di Francesco d'Assisi… E mettere magari da una parte Tommaso, solo perché ha voluto vederci chiaro di fronte al Maestro, morto in croce, ma che tutti affermavano aver visto nuovamente in vita? Non siamo forse anche noi spesso così? Il nostro cammino di fede non sempre riesce ad arrivare ad espressioni così belle come quelle di Tommaso quest'oggi: "Mio Signore e mio Dio". Chi di noi non ha mai avuto dubbi di fede? Chi di noi, pur professandosi credente e cercando di condurre una vita il più possibile coerente con gli insegnamenti del Vangelo, non si è mai posto delle domande su Dio, su Gesù, sulla fede? Sarà risorto veramente, Gesù? Ma questo fatto della Resurrezione, com'è possibile che sia vero fino in fondo? Se Dio esiste davvero ed è buono, perché c'è il male nel mondo? E perché Lui lo permette? Dov'è Dio, quando abbiamo bisogno di lui?. Potremmo proseguire all'infinito, citando domande che ogni uomo, chi più e chi meno, in ogni epoca storica, si è posto nella vita, spesso senza trovare una risposta, ma non per questo smettendo di essere uomo di fede.
Sono sulla stessa barca i discepoli, icona della Chiesa, comunità di uomini e donne fragili e appassionati, santi e peccatori. Tommaso brama un lieto fine, una vittoria eclatante lui, che era pronto a morire con Gesù mentre andava a risvegliare l'amico Lazzaro dal sonno, preferiva gli eroi ai martiri. Perché Gesù, martire, è morto nel nascondimento, nel silenzio, nell'abbandono. E persino la Risurrezione non rientra nei canoni di chi vuole vedere la gloria di Dio rimbombare di suoni di trombe: Gesù viene e sta nel nascondimento dei suoi amici; sorride, commosso di amicizia più che zelante di conquiste. E nella sua tenerezza, Gesù va incontro alle esigenze dell'amico. Viene e sta anche per lui e con lui, ma sempre in mezzo alla comunità riunita. È la comunità dove si incontra il Crocifisso Risorto. Gesù propone a Tommaso di vedere, di toccare, proprio come desiderava. E Tommaso, in quelle stesse parole colme di misericordia, riconosce che... non ha bisogno di vedere e di toccare per riconoscerlo! Non è questa la radice della fede. Non è la presunzione di avere dimostrazioni, ciò che muove alla fiducia. Piuttosto, avviene il contrario. Tommaso, e prima di lui gli altri dieci, forse ancora frastornati dal gesto profetico della lavanda dei piedi, capiscono che sono loro a dover lasciarsi toccare, a dover permettere allo sguardo di Gesù di posarsi sulle loro piaghe. La fede, la nostra fede, la mia fede nasce quando io mi riconosco peccatore ferito, creatura povera e permetto alla mano dolce del mio Signore, al dito creatore del mio Dio, di toccare le mie piaghe per guarirle. Come il caos all'origine della storia, come le stelle nella bellezza del firmamento, come il cuore della peccatrice liberato dalla condanna: il dito di Gesù è il dito dell'Artista divino che modella le sue opere d'arte restituendo loro dignità e grazia. Questo accade a Tommaso e agli altri, come era accaduto a Maria nel giardino.
Ecco perché la missione, che viene dalla potenza dello Spirito innervata nelle nostre vene, è un traboccare di gratitudine. I peccati perdonati sono i miei, i nostri, quelli della Chiesa. E, come vino nuovo a Cana, questa Chiesa lascia zampillare dal cuore squarciato l'acqua e il sangue che fanno partecipi di tanta grazia. Il perdono ricevuto non può essere trattenuto. La Chiesa è viva quando non chiude più le porte e permette a Gesù, che viene e sta in mezzo, di andare e stare con tutto il suo amato popolo, peccatore e perdonato. Oggi come allora c'è un Signore che ha pazienza e misericordia, ti rialza quando la tua fede vacilla e poi cadi, e che ti porta poi a professare come Tommaso: "Tu sei il Mio Signore; Tu sei il Mio Dio". La Chiesa oggi ha bisogno di testimoni credibili della fede, di gente che fa fatica, che a proposito di Dio e della fede ha mille dubbi al giorno, ma che nonostante tutto sia capace di affidarsi a Lui e di andare avanti, perché sa che è Lui che conduce la nostra vita. Occorre, soprattutto, gente che non vive la sua esperienza di fede come un fatto isolato, ma come un momento di condivisione con una comunità di fratelli, che vive delle stesse gioie e delle stesse fatiche della fede. Tommaso salverà la sua fede "otto giorni dopo", cioè la domenica, il Giorno del Signore, il giorno in cui accetterà di tornare a riunirsi con la sua misera e titubante comunità per essere, con i suoi fratelli, "un cuor solo e un'anima sola", pur senza togliere tutta la fatica del credere. Perché nessun cristiano, per quanto personalmente a posto, può sperare di salvarsi senza il riferimento a una comunità. E soprattutto, nessuno può avere la superbia di ritenersi capace di salvezza senza mai essere passato attraverso l'esperienza difficile ma appassionante del dubbio di fede.
Oggi siamo chiamati a credere senza vedere. Siamo beati se crediamo senza vedere. La fede è la fiducia in qualcosa che non vediamo, ma che sperimentiamo con la nostra vita. Incontrare Gesù risorto è un evento dell'anima, del profondo del nostro cuore. Tommaso, pur deluso, non se ne va, ma resta e aspetta. E fa bene ad aspettare, perché il Signore torna. Beati noi che non ce ne andiamo, che non ci sentiamo migliori, che soffriamo per la Chiesa che amiamo. Come Tommaso, vedremo i segni del Signore risorto anche nelle piaghe che ci attanagliano l’anima: “Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto! Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza”.