5 di Quaresima 2 Aprile 2017
Ezechiele è un sacerdote deportato a Babilonia dal re Nabucodonosor con la prima ondata di esiliati nel 597 A. C. e vive in tutta la sua tragicità il periodo dell’esilio. La sua attività profetica si svolge per 22 anni. Questo è stato il momento più buio della storia di Israele. La città Santa distrutta nel 586, il Tempio, Luogo della presenza di Jhwh distrutto. La dinastia di Davide, cui Dio aveva promesso di durare per sempre e di dare vita al Messia, è annientata nella sua linea diretta. Le dieci tribù del Nord già deportate da tempo, sono sparite fra i popoli asserviti dalla potenza assira. Adesso il resto di Giuda è deportato a Babilonia e la “terra promessa” da Dio è occupata da stranieri.
Dio, il Creatore, il Signore della storia, il Dio dell’Esodo, è una divinità sconfitta davanti al vittorioso Marduch, dio di Babilonia. Un Dio umiliato che ha scelto di essere deportato con il suo popolo. E quello che è peggio, Israele sa di essere stato infedele e di aver meritato tutto questo. Il pericolo è la disperazione. Dio non ci ama più, non ci protegge più. È cambiata la destra dell’Altissimo. Dio non può amarci più, perché abbiamo spezzato l’alleanza con Lui.
Dio suscita Ezechiele, Geremia prima di lui, il secondo e terzo Isaia e altri profeti di cui non conosciamo il nome per sostenere il popolo e dare speranza. È vero, l’alleanza non è stata vissuta da Israele, ma prima dell’alleanza c’era una promessa unilaterale di Dio, cui Dio è fedele. La breve lettura di oggi è l'interpretazione di una celebre e impressionante visione che il profeta ha appena descritto: una moltitudine di ossa aride è divenuta, per opera dello Spirito di Dio, una moltitudine di persone vive 37,1-10. Ezechiele stesso ci dà la chiave di lettura della visione: le ossa rappresentano Israele in esilio, è questo un grido di disperazione che sale da un popolo che ha perso la sua identità e si è disperso in mezzo a nazioni straniere, che si sente ormai perduto senza speranza, definitivamente finito. L’interpretazione della visione viene fatta mediante una promessa di liberazione: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese di Israele». L’immagine della distesa di ossa inaridite lascia qui il posto a quella di un grande cimitero con una moltitudine di tombe. Questa immagine richiama lo she’ol, il regno dei morti, nel quale il popolo è precipitato. Da esso ora Jhwh lo fa risalire per condurlo nella terra di Israele. Con questa espressione si evoca l’uscita dall’Egitto, che rappresenta il prototipo di ogni liberazione, e l’ingresso nella terra promessa. In altre parole Dio promette un nuovo esodo che, dopo la catastrofe dell’esilio, assume i connotati di una risurrezione. La liberazione comporterà una nuova presa di coscienza da parte del popolo: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio». Il nuovo intervento di Jhwh farà sì che il popolo lo conosca. Il verbo «conoscere» non indica qui, come in genere nel linguaggio biblico, una conoscenza puramente teorica e astratta, ma un nuovo rapporto di amicizia basato sul compimento della volontà di Jhwh contenuta nella legge. Si attua così quanto era stato promesso da Geremia nella profezia della nuova alleanza: «... tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande» cfr. Ger 31,34. Israele farà l'esperienza di «conoscere», chi sia Dio, di chi abbia la signoria sulla storia, di quanto infallibilmente la sua Parola sia efficace, quanto potentemente creatrice. Si conosce davvero il Signore solo nella misura in cui si fa l'esperienza del suo amore e della sua potenza liberatrice, che risalta tanto più netta quanto meno è possibile aspettarsi dalle forze umane. L'immagine delle ossa inaridite esprime come meglio non si può l'assoluta inaccessibilità della salvezza: «Queste ossa potrebbero mai rivivere?». No, dobbiamo prenderne coscienza con chiarezza: i mezzi umani, di qualunque genere, non possono salvarci. Arte, scienza, tecnica, ricchezza, successo, lo stesso impegno etico, ci lasciano preda della morte; anzi, proprio tramite essi noi non facciamo altro che costatare e riconoscere una volta per tutte il potere della morte. Abbiamo bisogno di uno Spirito nuovo, di una vita che non può venire da noi.
La promessa viene ripetuta secondo il linguaggio tipico di Ezechiele: «Farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò». Venendo in noi, lo Spirito ricrea quanto è distrutto, e con ciò apre a una conoscenza nuova del Signore. Il dono dello Spirito rappresenterà una dotazione stabile per Israele che, in forza del suo influsso vivificante, ricomincierà a vivere in modo pieno. Dio lo «farà riposare» nel suo paese, come aveva fatto riposare Adamo nel giardino dell’Eden cfr. Gn 2,15. È in forza di questa esperienza che gli israeliti «sapranno» (sperimenteranno) che «Io (sono) il Signore» il quale realizza quello che ha promesso: come garanzia del suo intervento Dio dà il suo nome, Jhwh, che significa la sua presenza costante accanto al popolo per salvarlo cfr. Es 3,14. In forza del suo nome Jhwh non potrà non realizzare le sue promesse.
Ezechiele si serve del linguaggio della risurrezione per spiegare la liberazione del popolo dall’esilio. Non si tratta certo di una risurrezione in senso proprio, ma del ritorno a una vita piena dopo l’esperienza di una sofferenza che è considerata come una morte. Senza libertà la vita non è degna di essere vissuta. La liberazione è un dono gratuito di Dio, che ha certo una componente politica, ma in ultima analisi si identifica con la ripresa di un rapporto con Jhwh che comporta una fedeltà costante a lui. Proprio nel riconoscere in Dio il garante della sua liberazione, il popolo eviterà di cadere schiavo di potenze straniere, anche quando sarà politicamente sottomesso ad esse. Pur non riferendosi alla risurrezione individuale dopo la morte, l’immagine usata da Ezechiele ha posto le premesse per il successivo sviluppo della fede di Israele: sorgerà il problema del destino di coloro che sono morti prima, e soprattutto dei martiri che hanno dato la vita perché si attuasse la gloria finale del popolo. È allora che l’immagine della risurrezione sarà utilizzata per indicare che tutti i la defunti parteciperanno alla beatitudine finale. Alla fine tutti i giusti torneranno in vita per entrare nel Regno di Dio. La rinascita del popolo è molto profonda. Senza tempio il cuore nuovo donato da Dio diventa tempio. La Parola di Dio pregata, meditata e vissuta, la lode e il ringraziamento sostituiscono i sacrifici. Chi accoglie la Parola e la speranza dà vita ad una spiritualità nuova, ad un nuovo modo di vivere il rapporto con Dio. Il ritorno a Gerusalemme diventa segno della vittoria della speranza, opera del Signore e del suo Spirito.
Ecco la sintesi di questa Quinta Domenica di Quaresima:
in un disegno e una immagine: Marko Ivan Rupnik, La visione di Ezechiele delle ossa aride del 2006 che si trova a Madrid;
in una azione: DARE VITA.