4 di Quaresima 26 Marzo 2017

Samuele unge DavideIl Primo Libro di Samuele ha uno dei suoi momenti più alti nella tragica storia di Saul: dopo essere stato designato da Dio re d’Israele viene sostituito da Davide. Per buona parte del libro si assiste alla lotta fra questi due protagonisti, con la lenta e inesorabile ascesa di Davide e all’altrettanto inesorabile declino di Saul, che si concluderà con la sua morte sul campo di battaglia. La prima esperienza regale – ahimè – non è granchè: Saul, primo re d’Israele, scelto per la sua forza e capacità combattiva, si rivelerà un fallimento: la sua fede appare fragile e Dio si stanca presto di lui e chiede a Samuele di scendere a Betlemme per ungere un nuovo re: Davide.

Si tratta di una missione pericolosa, perché Saul è potente e potrebbe vendicarsi. Questo stato d’animo viene riportato anche dal testo della narrazione, che arriva a far suggerire dal Signore stesso la scusa che permetterebbe a Samuele di muoversi per il Paese senza pericolo: Samuele rispose: «Come posso andare? Saul lo verrà a sapere e mi ucciderà». Il Signore disse: «Prenderai con te una giovenca e dirai: "Sono venuto a offrire un sacrificio al Signore. Inviterai Iesse al sacrificio; io ti farò sapere quello che dovrai fare e tu ungerai per me colui che ti dirò».

La chiamata di Davide è riportata per tre volte nella Bibbia, secondo tre modalità diverse. La prima versione dei fatti 1Sam 16, 1-13 ci dice che il vecchio Samuele è mandato ad ungere il più piccolo dei figli di Iesse, Dio non guarda l’apparenza, ma il cuore, e questo pastore adolescente suscita l’affetto di Dio. La seconda versione 1Sam 16, 14-23 ci parla del re Saul esaurito, abitato da uno spirito malvagio (forse una depressione?): solo la buona musica lo calma (!), il piccolo Davide, buon suonatore di cetra, riesce a placarlo e diventa un paggio a servizio della corte; grazie all’amicizia con Gionata, figlio di Saul, diventerà re d’Israele. La terza versione ci parla del giovane Davide che accetta la sfida dei filistei e combatte contro il gigante Golia. Il racconto è un misto di coraggio e Far West narrato con una scena memorabile. L’essenziale, però, risiede nella provocazione del filisteo: Davide lotta insieme a Dio, non fa affidamento sulla sua abilità, ma conta sulla protezione dell’Altissimo…

È bello pensare che Dio mi conosce da sempre e valorizza ciò che forse non conosco e non riesco a vedere. Come Giovanni Battista che scopre di essere “voce”. Come Simone che scopre di essere “Pietra”, anche Davide scopre di non essere solo un pastorello e un suonatore di chitarra, ma di avere in sé la forza per diventare un grande condottiero. Altre volte il Signore chiama attraverso gli eventi: persone che ci stanno accanto, casualità, esperienze inattese… Davide si trova al posto giusto nel momento giusto e aiuterà Saul a superare la sua misteriosa malattia. Conosco persone che hanno accolto con realismo gli eventi della vita e, così facendo, li hanno colmati di mistero. Infine la chiamata è anche un farsi avanti, un proporsi: davanti all’arroganza di Goliath il piccolo Davide non si tira indietro, non ha paura ma, al contrario, butta il cuore al di là dell’ostacolo. La scena della scelta di Davide e della sua unzione è molto famosa, in modo particolare il dialogo tra Dio e Samuele: Mentre entravano, egli pensò, vedendo Eliab: «Certo l'unto del Signore è qui davanti a lui». Il Signore disse a Samuele: «Non badare al suo aspetto né alla sua statura, perché io l'ho scartato; infatti il Signore non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell'uomo: l'uomo guarda all'apparenza ma il Signore guarda al cuore».
Il problema di questo famoso versetto sta nel fatto che ci sono due possibili interpretazioni. Quando si traduce «l'uomo guarda all'apparenza, ma il Signore guarda al cuore» c’è il rischio di travisare il senso della frase. Letteralmente il testo dice: «L'uomo guarda secondo gli occhi, ma il Signore guarda secondo il cuore». Ma il cuore di chi? Dell'uomo che è guardato o del Signore che guarda? È un peccato dover scegliere fra le due interpretazioni, in quanto tutte e due hanno un significato profondo. Se noi prendiamo la prima possibile traduzione, cioè che Dio non guarda all’apparenza delle persone, ma al loro cuore, noi cogliamo un importante insegnamento, soprattutto in un mondo come il nostro in cui vale più apparire che essere. Il testo, letto secondo questa prima linea interpretativa, ci ammonisce sul fatto che l’importante è la qualità della persona, ciò che si è e non come si appare. Ma probabilmente è più corretta la seconda interpretazione, cioè che il Signore giudica in base al suo cuore, che, tra l’altro, pare suffragata dal cap 13 in cui è detto: « Il Signore si è cercato un uomo secondo il suo cuore, e il Signore l'ha destinato ad essere principe del suo popolo ». Vale la pena citare per esteso un commento al riguardo: «Come si tratta qui degli occhi di colui che vede l'altro, così si tratta del cuore di chi vede e non già di colui che è visto. Senza dubbio c'è una differenza nel fatto che l'uomo non vede se non l'apparenza esteriore, mentre Dio penetra nell'interiore. Per Dio vedere significa concepire; per l'uomo significa percepire. E cioè: l'uomo vede ciò che è, ma Dio concepisce qualcosa che non è ancora e che diventa (viene al mondo) per il solo fatto che egli la concepisce ». Il senso della frase sarebbe: Dio guarda secondo ciò che ha in cuor suo, cioè secondo il suo progetto.

Forse più che di vocazione, il termine esatto qui sarebbe “elezione divina”, manifestata per mezzo di Samuele Per capire l’elezione divina abbiamo dei verbi: provvedere (ra’â) v.1b scegliere (bahar) vv. 8-10. Il primo verbo (ra’â) indica l’azione di Dio, che guarda quasi per cercare l’eletto e lo riserva per sé. Il secondo verbo (bahar) è un termine tecnico che nella Bibbia vuole indicare l’elezione divina del re, prima ancora di quella del popolo. Dio sceglie Davide, persona non di grande considerazione anche davanti alla sua famiglia «Per confondere i forti e ridurre a nulla le cose che sono» 1Cor 1,27-29. La vocazione di Davide è anche una consacrazione regale, un re-pastore capace di governare il suo popolo con saggezza e giustizia cfr. Sal 78,70-72.

Davide è l’unto del Signore, un’espressione che indica la stretta relazione che c’è tra Dio e il suo re. Entrato in casa di Iesse, Samuele osservando i figli e, guardando Eliab, chiede a Dio: «È forse davanti al Signore il suo consacrato? ». Credo che questa sia una domanda che ciascuno di noi deve farsi davanti a Dio: chiedere se siamo chiamati da Lui, se siamo suoi consacrati, se siamo da Lui prescelti. Davide è preso di mezzo al gregge. «Così dice il Signore “Sono io che ti ho preso dai pascoli, mentre andavi dietro alle pecore, perché tu fossi capo del mio popolo Israele”» 2Sam 7,8. Questo ci mostra un modo chiaro e costante dell’agire di Dio; la chiamata di Dio si manifesta quando ci troviamo nel pieno della vita, nel pieno dei nostri impegni. Davide da pastore di pecore sarà pastore di uomini, così come Pietro da pescatore di pesci a pescatore di uomini. Davide è l’ultimo, il più piccolo: Dio, quando chiama non guarda chi siamo, a quale stirpe apparteniamo, se della famiglia siamo i più grandi, cioé coloro ai quali è riservato un posto particolare. Dio passa davanti a questi e va oltre e sceglie l’ultimo, il più piccolo che sta con le pecore, colui che è indifeso e inesperto…perché Dio guarda il cuore!

Ecco la sintesi di questa Terza Domenica di Quaresima:
in una immagine: Samuele unge Re Davide;
in una azione: DIO GUARDA IL CUORE.

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