3 di Quaresima - 19 Marzo 2017
Nel deserto non solo Dio mette alla prova l'uomo, ma anche l'uomo mette alla prova Dio. Tutte le mormorazioni degli Ebrei, al di là della valutazione morale, mostrano un popolo che rivendica di continuo l'intervento di Dio per trovare una risposta alla domanda che campeggia in questo episodio ma che fa da sfondo anche al pellegrinaggio di fede di ogni uomo: «Il Signore è in mezzo a noi si o no?».
La tappa di Refidim, la quarta del cammino dell’Esodo, viene segnata dall'«ordine che il Signore dava di tappa in tappa». Il narratore ci informa che è Dio stesso a stabilire la tabella di marcia e si configura come il vero condottiero del suo popolo. Sembra che i nomi geografici abbiano qui un valore ermeneutico, interpretativo, dell'evento narrato:
Refidim significa "sostegni", ad indicare la continua ricerca di sicurezza da parte del popolo;
questo stesso luogo si chiamerà Massa - ''prova'' - e Meriba - "denuncia" - per ricordare che in questo luogo Israele ha messo alla prova il Signore e ha denunciato Mosè. Infatti, Mosè usa questi due verbi: "mettere alla prova" e "denunciare" per definire l'azione in atto contro Dio e contro di lui. È ancora il problema dell'acqua a provocare la mormorazione ed è ancora a Mosè, visto come luogotenente e mediatore, che è rivolta la richiesta «dateci acqua da bere»; la presenza di Aronne sembra essere implicita. Questa stessa richiesta assume il tono dell'accusa e della polemica: «Ci hai fatto uscire dall’Egitto per farci morire di sete nel deserto». Il momento è drammatico: il popolo si percepisce ormai prossimo alla fine, sono in pericolo i figli e il bestiame, segni della benedizione di Dio. La protesta monta al punto che Mosè teme per la sua stessa vita: non solo viene contestata la sua opera fino ad allora compiuta ma addirittura si minaccia di lapidarlo. «Che farò io per questo popolo?». Mosè, più che in altre circostanze, sembra essere sopraffatto dallo scoraggiamento. Mosè, sembra disperare dell'amore di Dio: egli non potrà entrare nella terra promessa ma solo contemplarla dal monte Nebo a causa della sua incredulità Dt 32,51.
L'intervento di Dio consiste in un ordine dato a Mosè di compiere un gesto solenne, quasi liturgico: Mosè deve passare davanti al popolo, cioè riaffermare il suo ruolo di guida autorevole, seguito in processione dagli anziani, che fungono da testimoni credibili, e deve recare in mano il bastone dei prodigi d'Egitto che è la reliquia tangibile delle opere compiute da Dio nei momenti più critici e qui assurge a simbolo della fedeltà del Signore. Questo stesso emblema della potenza e della fedeltà, percuotendo l'arida roccia, fa scaturire una sorgente zampillante che estingue la sete del popolo. La spiegazione del nuovo nome dato alla località fornisce una chiave di lettura dell'evento. Israele in quel luogo ha messo alla prova Dio. L'esperienza di Massa e Meriba diviene il paradigma di ogni atteggiamento che voglia piegare Dio alle pretese umane: «Non metterete alla prova il Signore vostro Dio come lo metteste alla prova a Massa» Dt 6,16. Questo non significa tanto rinunziare a chiedere che Dio intervenga e mostri la sua provvidenza ma implica piuttosto il divieto di imporre a Dio i nostri progetti. La nostra fede, soprattutto nell'ora della prova, a volte esige dei segni e non è detto che Dio voglia negarceli, solo non dobbiamo pretendere di imporre a Dio cosa debba fare.
«Il Signore è in mezzo a noi si o no?».
È la domanda che affiora inquietante quando siamo alla ricerca della sete di felicità e di vita. È allora che dobbiamo imparare a percuotere col bastone del nuovo Esodo, la Croce di Cristo, l'arida roccia della nostra miseria da cui, nonostante tutto, può ancora scaturire l'acqua viva che Gesù stesso ci ha garantito: ecco il senso del brano evangelico dell’incontro di Gesù con la donna di Samaria cfr. Gv 4,1-42. È utile notare che San Paolo individua in questo evento la prefigurazione del dono dell'Eucaristia. Egli vede, infatti, nella nube e nel passaggio del mar Rosso gli eventi anticipatori del Battesimo: «I nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare» 1Cor 10,1-2 ; nella manna e nell'acqua scaturita dalla roccia vede preannunciata l'Eucaristia: «Tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevvero, infatti, da una roccia spirituale che li accompagnava e quella roccia era il Cristo» 1Cor 10,3-4. Gli antichi commenti rabbinici ritenevano, infatti, che questa roccia zampillante acqua avesse accompagnato Israele durante tutto il cammino nel deserto. Di qui si vedrebbe spiegata la duplicazione di questo episodio nel Libro dei Numeri Nm 20,1-13. L'interpretazione di Paolo ci spinge a riconoscere nel Battesimo l'inizio del nostro cammino di liberazione e nell'Eucaristia la fonte di energia perché questo cammino progredisca ed il segno efficace della presenza premurosa e fedele di Dio. Se, infatti, Israele nel suo esodo potè godere di quei doni divini, la Chiesa, comunità della nuova Alleanza ha nel sacramento dell'Eucaristia la garanzia della presenza di Colui che si è reso cibo e bevanda di vita per il suo popolo. L'atteggiamento ingrato di molti israeliti indusse Dio al loro abbandono, la Chiesa e il cristiano rischiano nel loro esodo di fare la medesima esperienza qualora non corrispondano alla costante presenza di Dio: «Ciò avvenne come esempio per noi» cfr. 1Cor 10,5-13. Ignorare questa lezione significa rendere vana l'esperienza d'Israele e rendere sterile l'intera storia della salvezza.
Ecco la sintesi di questa Terza Domenica di Quaresima:
in una immagine: Nicolas Poussin 1594-1665, Il popolo ebreo a Massa e Meriba – Edimburgo, National Gallery of Scotland;
in un verbo: INCONTRARE.