Presentazione di Gesù al Tempio - Candelora
«I giorni i sa slonghè». Così diceva mia nonna in questo periodo, quando, nel tardo pomeriggio, lei era vicino a me che lavorava la lana e io facevo i compiti per casa. Magari non ci avevo ancora fatto caso… ma se da oggi provate a guardare il cielo, vi accorgerete che abbiamo guadagnato un'ora di luce, a poco più di un mese dal solstizio d'inverno.
Questa considerazione potrebbe sembrare scontata, abituati come siamo all'illuminazione artificiale, che riesce quasi a cambiare la notte in giorno. Eppure, a pensarci bene, tale considerazione riempie l'animo di una sottile, ma sicura speranza: stiamo andando verso la bella stagione.
«Candelora: dell'inverno semo fora» mi diceva proprio ieri mia mamma, riferendosi ad un altro antico proverbio di questa Festa. Certo, il proverbio aggiunge pure che «se piove o tira vento de l'inverno semo ancora dentro»: e tuttavia la sensazione di essere fuori dalla lunga notte invernale è prevalente. In questo senso i nostri anziani vedono giusto quando dicono che i giorni si sono allungati: la loro vista è forse stanca e anche malata; ma il loro cuore sa intravedere una speranza in questa naturale rivincita del giorno sulla notte.
Così accade anche a Simeone, quel vecchio «giusto e timorato di Dio» che Maria e Giuseppe incontrano a Gerusalemme mentre portano il piccolo Gesù nel tempio per adempiere la legge, come racconta il Vangelo. Simeone ha certo la vista stanca, essendo ormai avanti negli anni; eppure soltanto lui sa vedere nel piccolo figlio di Maria e Giuseppe un segno di speranza: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza...» Lc 2,29 ss. È soltanto un bambino quello che Simeone stringe tra le braccia: e non c’è proprio nulla di straordinario in quel cucciolo di uomo. Ma grazie alla tenerezza suscitata da quel bambino, Simeone sa riconoscere la salvezza di Dio. Dobbiamo ammettere con grande sincerità che oggi la nostra vista è decisamente più spenta: noi fatichiamo a vedere la salvezza di Dio. Ogni giorno passano davanti ai nostri occhi tante immagini, e i mezzi di comunicazione hanno senza dubbio ampliato la nostra possibilità di vedere: grazie alla tecnologia, infatti, possiamo avere davanti agli occhi immagini provenienti da tutte le parti del mondo. Eppure attraverso queste numerose immagini fatichiamo a vedere la salvezza di Dio: il nostro sguardo sembra incapace di esprimere quello stupore che leggiamo invece negli occhi del vecchio Simeone. Al punto che quando siamo testimoni di un suggestivo spettacolo della natura – un tramonto, un temporale, una montagna o soltanto un fiore – subito ricorriamo alla macchina fotografica; e se non l'abbiamo a disposizione, ci rammarichiamo dell'occasione persa: ma quasi ci dimentichiamo di ammirare quello spettacolo. Così, a furia di voler vedere, rischiamo di avere sempre gli occhi annebbiati. Limpidi erano invece gli occhi del vecchio Simeone: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra» Sal 121,1-2. Nella sua preghiera al tempio di Gerusalemme, Simeone si era allenato ad alzare gli occhi: e in tal modo li aveva custoditi vivaci e penetranti. Allo stesso modo anche noi possiamo riaprire i nostri occhi: e mentre ci rallegriamo per i giorni che si allungano – annunciando l'arrivo della bella stagione – impariamo ad invocare ancora quell'aiuto che può venire soltanto dall'alto, dal Signore che ha fatto cielo e terra.
Simeone e Anna: sono figure cariche di valore simbolico. Hanno il ruolo del riconoscimento, che proviene da una vita condotta con l'attesa più intensa e fiduciosa. Simeone lo si definisce come un uomo tutto concentrato nell'attesa, uno che va incontro al bambino per accoglierlo.
Anna ha 84 anni, ma soprattutto con il suo modo di vivere - digiuni e preghiere - e con la proclamazione a chi "attendeva", completa il quadro. Appartiene alla più piccola delle tribù, quella di Aser: segno che i più piccoli e fragili sono più disposti a riconoscere il Gesù il Salvatore.
Però purtroppo nella quotidianità cittadina non ci si accorge quasi più che il 2 febbraio si celebra un’antichissima festa, comune alle Chiese dell’Oriente e dell’Occidente, che una volta aveva da noi una grande importanza nell’anno contadino: la Candelora. È una festa in cui sono confluite diverse correnti storiche, cosicché risplende di vari colori. L’occasione immediata: sono passati quaranta giorni dalla nascita del Figlio di Dio. Maria e Giuseppe, portano Gesù al Tempio di Gerusalemme per presentare il sacrificio di purificazione prescritto. Della scena descritta nel Vangelo di Luca, la liturgia ha posto l’accento soprattutto su un aspetto: l’incontro tra il Bambino Gesù e il vecchio Simeone; perciò nel mondo greco la festa ha ricevuto il nome di incontro. In questo stare insieme del bambino con l’anziano, la Chiesa vede raffigurato l’incontro tra il mondo pagano che va piano piano scomparendo e il nuovo inizio in Cristo; tra il tempo dell’Antica Alleanza che sta per finire e il tempo nuovo della Chiesa. Ciò che qui è espresso è più dell’eterno ciclo di morte e nascita: è più del fatto che al declino di una generazione ne segue sempre un’altra, con nuove idee e speranze. Se così fosse, questo bambino non rappresenterebbe nessuna speranza per Simeone, ma solo per se stesso. Invece è di più: è speranza per tutti, perché è una speranza al di là della morte. Così tocchiamo il secondo significato che la liturgia attribuisce a questo giorno: le parole di Simeone, che chiama il bambino “luce per illuminare le genti”. Sulla base di queste parole si celebra il giorno liturgico come festa delle luci. La luce calda delle candele è l’espressione della luce più grande che si sprigiona in tutti i tempi dalla figura di Gesù. A Roma la processione delle luci ha sostituito un corteo rumoroso e scatenato, il cosiddetto “amburbale”, che dal mondo pagano si era conservato a lungo nell’era cristiana. Il corteo pagano esprimeva elementi magici: doveva servire per purificare la città e difenderla dalle potenze cattive. In ricordo di ciò, la processione cristiana si teneva dapprima in vesti nere e poi – fino alla riforma liturgica del Concilio – viola. Così nella processione compariva ancora una volta il simbolismo dell’incontro. Il grido del mondo pagano che chiede purificazione, liberazione, superamento delle potenze oscure si incontra con la “luce per illuminare le genti”, la luce tenue e umile di Gesù Cristo. Il tempo che sta per finire, ma che è sempre presente, di un mondo caotico, si incontra con la forza purificatrice del messaggio cristiano. Questo ricorda una frase del drammaturgo Eugene Ionesco, esponente del teatro dell’assurdo, che aveva levato con chiarezza il grido di un mondo assurdo e, al tempo stesso, aveva compreso sempre più che questo grido è una invocazione a Dio. “La storia – aveva affermato - è rovina, è caos, se non è rivolta al soprannaturale”. La processione delle luci, con le vesti scure, l’incontro simbolico che vi si verifica del caos e della luce, dovrebbe ricordarci questa verità e darci il coraggio, nello sforzo di migliorare il mondo, di non considerare il soprannaturale come una perdita di tempo, ma come l’unica via che può dare un senso al caos. J. Ratzinger da “Le cose di lassù” 1986-2008 – Libreria Editrice Vaticana.
Il segno delle candele che abbiamo nelle nostre mani e l’episodio del Vangelo danno rilievo alle situazioni più semplici e familiari: una candela quando manca la luce in casa, gli sposi con il bambino in braccio; l'anziano che gioisce e abbraccia, l'anziana che prega e annuncia... E anche la conclusione del brano fa intravedere il borgo di Nazaret, la crescita del bambino in un contesto normale, l'impressione di un bambino dotato in modo straordinario di sapienza e bontà. Il tema della sapienza intrecciata con la vita di ogni giorno e nel contesto del villaggio, lascia come sospesa la storia: essa si riaprirà proprio con il tema della sapienza del ragazzo Gesù fra i dottori del tempio. Il Figlio di Dio è venuto in mezzo a noi e ci ha donato la vita, la vera vita per ogni bambino e per ogni persona che vive in questo mondo.
Noi ti lodiamo e ti benediciamo, Padre, perché attraverso Gesù hai riempito la nostra esistenza di luce e di speranza nuova. Fa' che le nostre famiglie accolgano con disponibilità il tuo progetto, aiutino e sostengano i sogni e l’entusiasmo dei loro figli, li avvolgano di tenerezza quando sono fragili, li educhino all'amore a Te e a tutte le tue creature. A te nostro Padre, Dio della Vita, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.