3 del Tempo Ordinario 22 Gennaio 2017
Nell’antichità era in uso scrivere “Lettere”, da inviare attraverso dei messaggeri, alle persone con le quali si voleva comunicare. La maggior parte erano dei semplici biglietti con notizie personali, familiari, commerciali, di salute, di auguri, di ordini, di debiti o crediti, di fatti della vita. Venivano dettate a degli scrivani e stese su fogli di papiro. Alcune Lettere, invece, erano dei veri e propri trattati di filosofia, storici, morali, di galateo… scritti sotto forma di lettera e indirizzati ad un discepolo, ma in realtà rivolti a tutti. Queste venivano scritte sulla costosissima ma molto più durevole pergamena.
Brano di riferimento: 1Cor 1,1-25
Lo stile “Lettera Pastorale” 1,1-9
Le Lettere presenti nel Nuovo Testamento sono un genere particolare di lettera – detto Pastorale – perché non sono dei veri e propri trattati teologici o morali (eccetto forse la lettera agli Ebrei), ma non sono neppure dei semplici biglietti personali (eccetto la lettera a Filemone). Nascono dall’esigenza di rispondere a dei problemi presenti nelle comunità e sostituiscono la viva voce dell’Apostolo, impossibilitato ad essere presente di persona. Prendendo spunto da esigenze immediate, allargano la visuale al contenuto fondamentale del Vangelo e diventano così dei messaggi di approfondimento validi per tutte le Chiese. A partire dalla vita concreta delle comunità tracciano dei percorsi di fede e di traduzione del Vangelo nella vita, che sono validi per ogni Chiesa in ogni tempo. La Prima Corinzi è una lettera dettata da Paolo (e autenticata alla fine con la sua firma e una breve frase di saluto) durante la sua permanenza ad Efeso negli anni 54-55 d.C. È stata inviata a Corinto attraverso Timoteo. Non è la prima che manda (vedi 5,9-11: vi ho già scritto…) e si decide a dettarla dopo aver ricevuto notizie orali sulla comunità da parte della famiglia di Cloe e dopo che gli è pervenuta una lettera degli stessi Corinzi. Si erano accumulate una serie di notizie e di problemi che Paolo non poteva rimandare alla sua visita, programmata per l’estate dell’anno seguente. Pur essendo passati solo pochi anni dalla sua fondazione, la comunità di Corinto si era dimostrata molto vivace ma, insieme, anche molto problematica. Dopo il primo nucleo di convertiti si formano altri gruppi di credenti, che si riuniscono nelle “domus” di alcuni convertiti benestanti. Questi mettono a disposizione la loro casa per le riunioni comunitarie e diventano così – secondo il costume sociale in uso nel mondo romano – i “patroni” di quella comunità. Ogni “casa” rispecchia un gruppo sociale, che congloba familiari, parenti, amici, dipendenti, servi, schiavi di quel “patronus”. A Corinto sono citati Aquila e Priscilla, Erasto, Febe, Cloe, Stefana… Si può così arguire che la comunità di Corinto era formata da alcuni personaggi importanti, ricchi e ben inseriti nel contesto sociale e politico della città, e da un certo numero di persone più povere, lavoratori e schiavi, legate alla loro famiglia. La comunità cristiana era un po’ uno specchio della società del tempo. Paolo non ha mai voluto legarsi ad un patronato. Questo sarà un suo vanto in terra greca e il suo punto di forza per annunciare il Vangelo con libertà a tutti, senza compromessi, con la parresia - franchezza evangelica che permette di lodare o rimproverare, secondo le circostanze.
Le notizie più personali (16,1-24)
Le Lettere normalmente hanno questa struttura:
• introduzione: presenta il mittente e i destinatari, i saluti, gli auguri, una preghiera;
• corpo della Lettera: sviluppa gli argomenti che sono lo scopo dello scritto (a volte contiene delle brusche interruzioni, dei salti di tema, delle riprese, delle incongruenze… perché le Lettere venivano dettate in tempi diversi, in periodi lunghi, inserendo qualche altro scritto…);
• conclusione: riporta notizie pratiche, progetti per il futuro, i saluti, le ultime raccomandazioni e l’autentica da parte del mittente.
Leggendo l’introduzione e la conclusione della Prima Corinzi possiamo già cogliere lo spirito e gli atteggiamenti con i quali Paolo apre il dialogo con la comunità, cercando di stabilire un rapporto costruttivo con quei credenti tanto amati e contestati, cercati e temuti, lodati e rimproverati.
L’introduzione segue lo schema normale delle Lettere, con la presentazione del mittente e dei destinatari, seguita da una preghiera di ringraziamento. Ruota attorno ad alcune espressioni chiave: ”Uniti a Gesù Cristo siete diventati il popolo di Dio… Dio stesso vi ha chiamati a partecipare alla vita di Gesù Cristo, suo Figlio e nostro Signore”. I Corinzi sono invitati a ricordare il fondamento della loro fede: la chiamata di Dio; il fine a cui essa tende: vivere come Dio vuole; la strada per raggiungerlo; imitare Cristo. “Ringrazio sempre il mio Dio per voi, perché è stato molto generoso verso di voi. Vi ha arricchito con tutti i suoi doni per mezzo di Cristo Gesù”. Il riconoscimento dei molti doni fatti da Dio alla Chiesa di Corinto porta Paolo ad unirsi a loro nel ringraziamento e nell’impegno di perseveranza. Sottolinea il positivo presente nella comunità, la ricchezza di fede che vive. Il fondamento della Chiesa è sempre nella fedeltà di Dio ad essa.
La conclusione segue pure lo stile delle Lettere del tempo, con una serie di notizie di carattere pratico ( la raccolta di fondi per la Chiesa di Gerusalemme; i progetti di viaggio di Paolo e la sua visita a Corinto; la composizione della delegazione incaricata di portare la Lettera, con la raccomandazione per Timoteo e la giustificazione per Apollo). Prima di firmarsi, Paolo aggiunge un’ultima esortazione che richiama due atteggiamenti che possono tenere unita la comunità: ”Siate attenti, saldi nella fede, coraggiosi, forti. Fate ogni cosa con amore”. Riprende l’elogio dell’amore del cap. 13, e ne sottolinea il primato nei rapporti; la forza della fede si vive nell’amore fraterno. ”Stefana e la sua famiglia si sono messi al servizio dei credenti. Ebbene, io vi raccomando, fratelli, di lasciarvi guidare da quelle persone e da tutti quelli che lavorano e faticano insieme con loro. L’atteggiamento di servizio nella comunità fonda l’autorevolezza dei ministeri e rinsalda la comunione fra le persone ed i gruppi.
I saluti finali – con una frase autografa di Paolo ad autenticare la Lettera – sono un’invocazione a Gesù Cristo. L’importanza fondamentale della comunione con Lui è sottolineata anche dalla formula di scomunica verso chi non lo ama e dall’invocazione fiduciosa del suo ritorno. Gesù è il Signore della Chiesa; la grazia di Dio ne è la forza; l’amore di servizio la caratteristica e lo stile.
Già l’introduzione e la conclusione della Lettera offrono molti spunti di riflessione per le nostre comunità.
Come pensiamo noi la Chiesa? Come la sentiamo e la viviamo? Chi è al centro della Chiesa? Come viviamo il dialogo in essa? Quali “canali” di scambio fra comunità, fra pastori e laici, fra gruppi? Nel nostro modo di incontrarci partiamo dal positivo, dai doni presenti nella comunità e nelle persone, o sottolineiamo sempre il negativo, i problemi, i limiti, le infedeltà?
Le divisioni nella comunità
Dopo l’introduzione della Lettera, Paolo entra subito nel vivo del discorso annunciando il primo tema: “Non vi siano contrasti e divisioni tra voi, ma siate uniti”. Paolo affronta il problema con decisione e chiarezza, spinto dalla gravità della situazione. Le informazioni ricevute gli fanno mettere questo aspetto della vita della comunità al primo posto: c’è il rischio di frantumazione della Chiesa e di perdita della fede. Lo stesso annuncio del Vangelo può essere vanificato, sia tra i credenti che verso i lontani.
I gruppi a Corinto 1,10-12
I servi della famiglia di Cloe (forse operai che giravano per lavori o mercanti che avevano magazzini nelle varie città) riferiscono a Paolo di litigi fra vari gruppi presenti nella comunità di Corinto: “Uno di voi dice: io sono di Paolo; un altro: io di Apollo; un terzo sostiene: io sono di Pietro; e un quarto afferma: io sono di Cristo.”. Non si tratta di comunità distinte, ma di gruppi presenti nell’unica comunità, che si rifanno a dei leader carismatici e, forse, anche a modi diversi di capire e vivere la fede. Se sono facilmente individuabili i credenti che si rifanno a Paolo (fondatore della comunità) e ad Apollo (retore alessandrino di grande cultura ed eloquenza, che era stato a Corinto dopo la partenza di Paolo), nulla si sa del gruppo che si richiama a Pietro (era stato a Corinto o sono solo dei giudeo cristiani tradizionalisti legati a Crispo?) e, tanto meno, di chi si richiama a Cristo (per delle visioni private o dei carismi?). Anche se non conosciamo con precisione i contenuti delle scelte di ogni gruppo ed i motivi delle lotte fra loro, possiamo capire bene le radici da cui nascevano, rifacendoci al contesto culturale della società greca del tempo. Questa cultura e questo comportamento sociale hanno favorito la formazione di gruppi anche nella giovane e vivace comunità di Corinto, legati forse alle varie “domus” dove si riunivano.
Dopo duemila anni di cristianesimo dobbiamo constatare con amarezza che il fenomeno si è ingigantito sia sul piano istituzionale (con molte divisioni fra le Chiese cristiane e delle lotte ancora in atto), sia sul piano carismatico (con una miriade di fondazioni, istituti, associazioni, movimenti, gruppi che si rifanno a carismi, intuizioni, visioni, rivelazioni, fondatori o santi). Spesso più che la ricchezza delle diversità, si constata la divisione, il giudizio, la difficoltà di dialogo e comprensione reciproca. Il primato dell’uno o dell’altro, l’ortodossia o il riconoscimento ufficiale, la segretezza del lavoro, il carisma di fondazione o lo stile del gruppo, o la salvaguardia delle tradizioni, il leader carismatico o le doti delle persone, le scelte politiche o il peso economico… diventano prioritarie rispetto al Vangelo, alla sequela di Gesù Cristo e alla costruzione della fraternità ecclesiale.
La realtà dei gruppi di Corinto è specchio della realtà della Chiesa d’oggi, come la reazione di Paolo è una precisa pista di riflessione e verifica anche per le nostre comunità.
Cristo è l’unico fondamento della Chiesa 1,13-16
Paolo richiama subito i Corinzi all’unico fondamento sul quale poggia la loro fede e il loro essere Chiesa: Gesù Cristo morto e risorto, accolto come Salvatore attraverso il segno del Battesimo. L’unico salvatore è Cristo, non gli uomini; nel suo nome si è battezzati e si crede sulla sua parola. Gli uomini sono solo strumenti, non sono importanti per la salvezza. In modo forte, Paolo elimina ogni mediazione umana per richiamare l’assoluto di Cristo e il suo primato nella Chiesa. Arriva a dire di essere contento di aver battezzato poche persone, perché i credenti non accentuino il rapporto con lui. Rifiuta il gruppo che si richiama a lui e, rifiuta perfino il gruppo di chi si richiama a Cristo, perchè Lui è Salvatore di tutti e nessuno può vantarne l’esclusiva. Cristo unifica, non divide; porta amore, misericordia, salvezza, non giudizi, divisioni, condanne. Anche le nostre Chiese sono invitate a mettere Gesù Cristo come unico fondamento della loro fede e delle loro scelte.
Questo richiamo ritorna spesso anche nei documenti e nei discorsi ufficiali perché il rischio di mettere al primo posto le mediazioni umane, le persone carismatiche, le scelte ideologiche o politiche, i metodi pastorali o le tradizioni ecclesiastiche, è sempre in agguato.
La pazzia della croce 1,17-25
Messo in chiaro il fondamento su cui poggia l’unità della Chiesa, Paolo tocca la mentalità greca che favorisce quelle divisioni: la ricerca della sapienza e il culto dei maestri. Prima di tutto contesta i tentativi umani di giungere alla sapienza e le vie prese dalle religioni per portare gli uomini alla salvezza. L’uomo non è arrivato a conoscere Dio né attraverso i segni della natura e delle religioni umane che li interpretano. Con grande forza (e con sorprendente attualità) sottolinea questo fallimento umano che ha portato gli ebrei a cercare il Dio dell’onnipotenza, della forza, dell’orgoglio di essere popolo eletto, della legge e dei miracoli, della potenza e del giudizio. La sapienza umana ha portato i pagani a fidarsi solo della ragione, della scienza, delle ideologie costruite dall’uomo, rendendo così inutile Dio, fino a proclamarne la morte in un delirio di orgogliosa onnipotenza. Ancora oggi queste due mentalità dominano nel mondo e nelle Chiese provocando divisioni, giudizi, fondamentalismi fanatici e quella grande indifferenza che sta contagiando la società occidentale e le nuove generazioni (come un tempo aveva contagiato i sacerdoti ebrei, i saccenti greci e i pragmatici romani). A questa visione Paolo contrappone la via della salvezza, quella che Dio ha scelto: la morte di Cristo in croce, pazzia per la mentalità laica e scandalo per la mentalità religiosa, ma vera potenza e sapienza di Dio per chi la accoglie. Paolo accentua il tema della croce per contrasto con la ricerca della sapienza e della potenza da parte dei Corinzi e per mettere in risalto il fondamento vero della fede in Gesù: l’amore gratuito di Dio verso gli uomini. Non è tanto l’esaltazione della croce come sofferenza o come sacrificio per i peccati, ma croce come debolezza umana, come amore verso i fratelli, come totale fiducia in Dio e abbandono nelle sue mani. Non è l’uomo che si salva, neppure il più santo; non sono le opere di giustizia che egli compie; è Dio l’unica fonte della salvezza e lui si manifesta pienamente nella debolezza e nella scelta dell’ultimo posto. Così Lui ha deciso e ci ha mostrato nel suo Figlio Gesù.
Questo messaggio evangelico (ormai accettato e proclamato a parole e con i simboli in ogni parte del mondo, ma spesso banalizzato e ridotto a talismano contro il male e la malasorte) diventa ancora più “pazzia” nell’era della ragione, della scienza, dell’efficienza, del tecnicismo e del mercato globalizzato. È ancora “scandalo” per la nostra tiepida fede di cristiani desiderosi di non essere scomodati da un Dio troppo esigente e da un Vangelo preso troppo alla lettera.