San Giovanni Calabria 9 Ottobre 2016
Don Giovanni Calabria è una sorpresa storica. Coloro che lo hanno scartato, a cominciare dal suo primo datore di lavoro, fino ai suoi professori, e ai personaggi altolocati che si sono interessati di lui, si sono eclissati nell'ombra, mentre lui, a prima vista così sprovveduto, appare oggi un vero gigante, uno degli uomini che hanno dato una spinta ad un intero secolo. Chi l'ha conosciuto è concorde nell’affermare che, di là delle semplici doti naturali, di là dell’uomo, traspariva qualcosa che all'uomo non era riducibile, quel mistero che caratterizza una presenza, il carisma dell'uomo di Dio. Don Calabria consegna questo messaggio: fiducia nella propria vocazione.
Quando una persona trova la sua strada, mille altri la trovano con lui. “Va via, va a fare il prete, che non sei buono ad altro!”. Con queste invettive concitate il padrone di Giovanni gli molla uno scapaccione e lo mette alla porta. Col grembiule da bottegaio sotto il braccio Giovannino si avvia verso casa rimuginando pensieri amari. Eppure ce la metteva tutta, nel suo lavoro. Che colpa ne aveva lui se la mente gli andava via su altri pensieri? Bisognava tornare a casa senza lavoro. Come sarebbe rimasta la mamma, che dopo la morte del marito viveva nella miseria con tre figli a carico? Comunque lui voleva essere prete, e non ne faceva mistero a nessuno. Prete che si sacrifica intorno alla difficile pasta umana, per renderla migliore, per portarla alla salvezza. Che poteva importare a lui del lavoro di bottega, quando fuori c'era un mondo che bruciava, c'era povertà e miseria a non finire, soprattutto quei figli di nessuno che vagavano per il mondo in cerca di pane e d’amore? Quanto alla mamma, Giovanni sapeva che l'avrebbe capito.
Qual’era la spiritualità di don Calabria?
«Le opere degli uomini cominciano con una grande base, e terminano in punta; quelle di Dio cominciano con un punto e si allargano sempre di più. Le opere degli uomini sono come una piramide che poggia in terra; quelle di Dio vi poggiano appena in punta. Noi abbiamo le radici in su», ripeteva Don Giovanni. La sua opera, che si sarebbe tanto estesa, ebbe inizi umili e sofferti. I primi 6 anni di sacerdozio don Giovanni li spende in varie opere di bene che lo arricchiscono di preziose esperienze pastorali. Il suo confessionale è molto frequentato: la gente, che fiuta il santo, lo assedia per avere l’assoluzione, conforto. Quando c'è un malato o un moribondo chiamano lui. Il Cardinale di Verona, Bartolomeo Bacilieri, suo antico rettore del seminario, solo dopo pochi anni che era prete gli affida l'incarico di confessore del seminario. Un giorno, don Giovanni, incappa in un gruppo di suoi vecchi professori, fra cui l'illustre mons. Grancelli. Egli cerca di sgusciare via, ma quelli lo costringono a passare in mezzo a loro. Una voce lo abborda: «Che siete venuto a fare voi qui?» «Il Cardinale mi ha incaricato a confessare in seminario», risponde con umiltà don Giovanni. Allora mons. Grancelli proclama il versetto biblico: «La pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra d'angolo...».
«Ho proprio bisogno di parlarti». «C'è qualche disgrazia?». Mons. Chiot sale trafelato a san Zeno in Monte e trova Don Calabria raggiante che gli dice: «Ti devo dire una cosa grande».«Una cosa grande?». «Ho letto tutto il Vangelo». «Non è gran che. Quale prete non l'ha letto il Vangelo?». «Anch'io lo lessi e lo predicai, ma ieri l'altro dopo un giorno amaro, presi in mano il Vangelo e lo lessi tutto, così gli Atti degli Apostoli, tutto in una notte. Ed ebbi una sensazione insolita: che gran cosa il Vangelo! Ne restai ammirato, stordito, senti... senti...». E voltava pagine a salto, segnate in margine a matita. «Non vi affannate per il cibo: gli uccelli non seminano ne mietono, e il Padre mio li pasce. Non vi angustiate per il vestire: il giglio del campo non tesse la tela e veste meglio di una regina». In un'altra pagina, aveva segnato le Beatitudini. Mostrò annotato anche il detto: «Se avrete tanta fede quanto un granello di senape, direte a questo monte: portati in là, e il monte si scosterà al vostro cenno». Così Don Calabria comunicava a mons. Chiot, suo amico, un fatto decisivo della sua vita: la scoperta del Vangelo. Aveva segnati i paradossi del Vangelo, perchè in antitesi con le massime del mondo, così da sembrare irrealizzabili, ma i Santi, per essi, hanno vinto il mondo. La paternità di Dio lo aveva profondamente conquistato. Era l'intuizione di grazia che avrebbe fondato e guidato la sua opera.
Padre Flavio Roberto Carraro così diceva di lui: «Durante gli anni della sua vita sacerdotale ha trasmesso la Parola, non la sua parola, ma la Parola del Padre attraverso il Figlio presente nella Chiesa: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». «Cercare» esprime bene la genialità del suo carisma, cioè un desiderio sincero e appassionato fino alla morte. «Prima» è un avverbio che dice come i molti desideri dell'uomo devono avere un centro. In Don Calabria il progetto d'amore per tutti, la provvidenza preferenziale del Padre per i più poveri, è sempre stato prioritario, subordinando tutto ad esso. Ma il primato del Regno e della sua giustizia non ha mai rubato spazio alla ricerca di mezzi per soddisfare gli altri bisogni: l'educazione, la libertà, il cibo, il vestito, la salute, la cultura soprattutto per i più emarginati. Anzi, il primato del Regno è stato la base per garantire la possibilità di soddisfare tutti gli altri bisogni: «e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Condotto dalla guida dello Spirito, ha detto la verità in forza del suo contatto, soprattutto Eucaristico, con il Padre per mezzo di Cristo nella sua Chiesa: la verità per gli Anni 30 – 40 - 50, illuminando il futuro che noi stiamo vivendo ora. «Siamo in un'ora solenne dell'umanità! - scriveva in un Promemoria mandato al Beato Cardinale Schuster il 23 giugno 1951 -. È urgente irradiare di nuovo la luce del Vangelo in tutto il mondo!». È la nuova evangelizzazione su cui tanto oggi si insiste. Don Calabria leggeva in profondità e vedeva un ritorno al «paganesimo peggiore dell'antico» dell'Europa, perfino dell'Italia; «sento ripetere in fondo al cuore il lamento di Gesù: «La mia Chiesa, la mia Chiesa!». E continuava: «Qui ai piedi del mio crocifisso vado riflettendo sul mondo; mi pare proprio che siamo alla vigilia di qualche cosa di speciale (...). Il mondo intero guarda a noi dell'Italia, al cuore della Chiesa (...) di qui il mondo aspetta la luce e le direttive di una vita veramente cristiana, vissuta integralmente, francamente, senza compromessi. Solo il Vangelo integrale può salvare le nazioni (...) se noi saremo completamente di Gesù, se saremo cristiani non solo nell'intimo della coscienza e in Chiesa, ma anche nell'esercizio della vita pubblica, nelle relazioni di lavoro, di studio, di professione, di governo… diveniamo una forza perché è con noi Gesù Cristo. In tali condizioni di cristianesimo pienamente vissuto, noi non avremo più alcuna necessità di appoggi umani; saranno altri che sentono il bisogno di appoggiarsi a noi. Ma questo verrà solo ad un patto: che la nostra vita sia veramente e pienamente cristiana».
Se gli studi gli avevano fatto difetto ciò che invece non mancava a Don Giovanni era un profondo intuito spirituale e fu proprio questa intuizione a portarlo al centro stesso del Vangelo e ad individuare in quei versetti di Matteo la parola capace di rendere nuove tutte le cose e donargli quella pace di cui il suo cuore desiderava. Su quelle pagine egli ha trovato in Gesù il proprio maestro. «Niente domandare, niente rifiutare». È Gesù stesso che ha voluto l'Opera così: «E per le cose temporali segui la via ordinaria, senza angustie, senza ansie, con viva fede in Me, perché altrimenti come vi potete dire e chiamare figli della Provvidenza, mostrare questo e farlo conoscere al mondo?». E aggiunge Don Calabria: «Questa è la nostra gioia, il nostro vanto. A noi la Provvidenza ci guarda, ci cura, ci protegge, con modo del tutto particolare». Così «l'Opera deve essere una grande luce, un sole che mostra a tutti la Divina Provvidenza, che Dio esiste e pensa a noi; e che la sua Parola, la sua divina Parola non viene meno, mai».
Grazie alla scoperta del volto di Dio Padre, Don Giovanni ha vissuto la vera paternità nei confronti dei fratelli e di tutte le persone che avvicinava. Ogni fratello si sentiva il prediletto del padre Don Giovanni. Era una pedagogia che partiva dall'amore e dalla donazione di sé, perché l'altro crescesse. Questo creava legami profondi che lo facevano gioire con coloro che gioivano e soffrire con coloro che soffrivano. Ha vissuto la paternità nei confronti dei ragazzi abbandonati, degli ammalati, dei poveri, degli anziani e l'ha vissuta perché voleva rendere visibile il volto del Padre. Diceva: «Quando si getta la rete nel lago, non si prendono già tutti i pesci, ma alcuni certamente se ne tirano su ».
San Giovanni Calabria, prega per noi e per la tua città!