XXVI del Tempo Ordinario 25 Settembre 2016
Oggi l'interpretazione del Vangelo sembra di facile interpretazione, quasi scontata. Semplificandola molto si potrebbe dire: “Il ricco va all'inferno, il povero in paradiso”. In realtà come sempre accade con le parole di Gesù è necessario andare più in profondità, per comprendere che questo racconto dice molto di più di un semplice premio o castigo a seconda di come abbiamo gestito i nostri beni.
Il centro del racconto non è tanto la descrizione dell’aldilà e delle dinamiche di premio o castigo ad esso legate; a riguardo, infatti, Gesù usa immagini semplici ed immediatamente accessibili e comprensibili dagli ascoltatori di allora.
In realtà, il cuore del messaggio di Gesù sta nell'invito alla conversione che emerge dal racconto, in quel rendersi conto che si è ancora in tempo cambiare … ma proprio qui sta il nostro problema! La parola ebraica che indica conversione – Teshuva - vuole dire letteralmente “invertire la rotta” ed è proprio questo che dovrebbe significare conversione. Eppure, nel nostro modo di vivere ambienti e relazioni non c’è mai spazio per una conversione: siamo troppo pieni di noi stessi, troppo convinti che non siamo mai noi a sbagliare, non accettiamo mai l’idea di aver sbagliato strada… Anzi, a volte capita che in qualche modo riusciamo a comprendere che non stiamo camminando sulla strada giusta, ma siamo dei maestri ad adattare ciò che facciamo a ciò che vorremmo essere, ed in questo modo ci avviciniamo sempre più ad una caduta e ci allontaniamo dal cammino del bene e della verità. Quanta gente si è rovinata per troppo orgoglio e per l’incapacità di riconoscere di essere in errore!
È proprio questo atteggiamento di chiusura che crea l’abisso che ci viene raccontato nella parabola. In effetti, ha un che di alquanto ironico il dialogo fra Abramo (che nella sua figura rappresenta la comunione con Dio) ed il ricco finito nel calore infernale: è proprio da questo dialogo che apprendiamo l’esistenza di un abisso fra chi sta con Dio e chi si trova lontano da Lui, un abisso che tra l’altro è impossibile valicare. Sono sempre rimasto un po’ contrariato dalla durezza di questa immagine: com'è possibile che il Dio di misericordia accetti che non sia in alcun modo possibile attraversare lo spazio che separa le due dimensioni? Pensandoci bene, però, mi sono reso conto che questa distanza non è tanto voluta da Dio, quanto creata dall'uomo stesso. Se guardiamo bene vediamo che il ricco crea questa distanza con la sua chiusura totale nei confronti di Dio (le parole alla fine fanno capire che non abbia poi prestato tanto ascolto alla Legge, all'Alleanza con Dio) e soprattutto nei confronti dei suoi fratelli: era troppo impegnato a godere della propria ricchezza da non essersi mai accorto del bisogno di un fratello che mendicava alla porta! Ecco dove nasce l’abisso: quando vogliamo essere noi e solo noi al centro della vita, senza considerare che non vi è esistenza senza un rapporto con Dio e con gli altri! Da questa consapevolezza deve nascere la nostra conversione: non un astratto desiderio o impegno, ma un concreto essere ed agire, che sappia far spazio sempre più a Dio ed ai nostri fratelli e sorelle. Non possiamo accontentarci di parole: l’ascolto della Parola di Dio, il compiere la sua volontà di bene, il vivere una profonda solidarietà coi nostri fratelli, specialmente quelli che sono nel bisogno! Ecco cosa significa “cambiare rotta” oggi, soprattutto considerando che siamo dentro un mondo dove ciò che conta è solo il proprio interesse, l’individualismo e la supponenza di pensarsi padroni della vita e del mondo.
Una cosa che mi ha sempre colpito leggendo questa parabola è il fatto che, mentre il ricco è anonimo, il povero viene descritto col suo nome, Lazzaro. Si tratta di una particolarità che sbatte contro il trend del nostro pensiero occidentale che ha saputo rendere dei numeri tutte le persone che si trovano in difficoltà. Abbiamo costruito muri di indifferenza, di diffidenza e di rivalità, in modo che l’altro non abbia più un volto, né un nome, ma che sia un freddo numero… in tal modo non ci disturba! Invece, un nome ed un volto ci inquietano, perché ci fanno capire che là si trovano persone non numeri, con una storia fatta di speranze ed amori, di drammi e tragedie, di gioie e dolori… come noi. Potremmo arrivare a capire che l’altro non è più “altro”, ma diventa ciò che anche noi potremmo essere, se non avessimo avuto in sorte di essere nati in un paese ricco dell’Occidente! Ecco, un primo passo verso la conversione cui ci chiama Gesù potrebbe essere proprio quello di dare un nome ed un volto ai tanti poveri del nostro tempo: questo dovrebbe permetterci di aprire un po’ di più il nostro cuore in modo da lasciarsi toccare per ciò che il fratello sta vivendo, e di fare gesti concreti di amore e di solidarietà… non può esserci conversione senza passare dal “noi” dell’umanità.
Tratto dall'Omelia di don Cosma Ambrosini
Missionario Veronese a Yaoundè - Camerun