XIII del Tempo Ordinario 26 Giugno 2016
Chi è Gesù per me?
Così, domenica scorsa, il Signore ci invitava a riflettere sulla nostra fede e la nostra adesione a Lui.
Chi sono io per lui?
Ora tocca a Lui parlare. E a noi rispondere… se ce la sentiamo. Diventare discepoli di Gesù è un impegno che dura tutta la vita, che richiede molta forza e molta verità con noi stessi. La posta in gioco è alta: il senso stesso della vita, scoprire la ragione del nostro esistere e il disegno nascosto dietro gli eventi della Storia.
Gesù non vuole tanti discepoli per la propria gloria, né abbassa il tiro per raccogliere la folla, né cede a compromessi per suscitare consensi: diversamente dai maestri di ieri e di oggi non desidera essere famoso, né di avere folle che applaudono. Egli vuole solo annunciare il Regno, mostrare lo splendido volto del Padre. Al contrario di quanto avveniva con i rabbini del suo tempo, Gesù non si fa scegliere, ma sceglie i discepoli e pone loro condizioni tutt’altro che scontate… egli vuole discepoli disposti a mettersi in gioco totalmente, non soltanto in alcuni momenti della vita. Con questo Vangelo inizia il cosiddetto "grande inserto lucano": dieci capitoli nei quali è descritto il viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Veramente, più che di un viaggio in senso proprio - dal momento che è letteralmente impossibile seguirlo su una carta geografica -, è un cammino in senso teologico e spirituale, come si capisce fin dal primo versetto: "Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme". Il Maestro, che in Galilea ha già incontrato l'ostilità di scribi e farisei, è ben consapevole che a Gerusalemme, sede delle massime autorità religiose, il conflitto crescerà al punto da mettere in pericolo la sua stessa vita; ma questo è il compito affidatogli dal Padre, e allora - come dice l'originale greco - "rende la sua faccia dura come pietra", segno questo di una decisione molto sofferta, ma anche molto ferma. Gerusalemme è il luogo dove l’annuncio del Vangelo verrà messo alla prova. Gesù assume la sfida: si incammina senza indugio verso la città che uccide i profeti, che massacra ogni opinione, che annienta ogni novità creduta pericolosa. Gesù è disposto a morire per raccontare il vero volto di Dio. E dai suoi discepoli pretende la stessa convinzione. Si capisce allora perché Luca abbia concentrato qui gran parte degli insegnamenti di Gesù, facendone una sorta di "testamento" del Maestro, dove per prima cosa troviamo delineata la fisionomia del discepolo cioè colui che il Messia chiama a mettere i propri piedi sulle sue orme, le orme di Gesù.
Il brano include 3 scene di vocazione, che Luca lascia volutamente indeterminate - non è nota l'identità degli interessati, e che cosa abbiano poi deciso di fare -, proprio perché ogni lettore del Vangelo possa rispecchiarsi nelle situazioni descritte, e sentire come rivolte a sé le parole di Gesù.
Anzitutto la chiamata è per tutti, non solo per gli apostoli che stanno accompagnando Gesù nel viaggio verso Gerusalemme. Luca non perde occasione per ricordarcelo; basti pensare al brano di domenica scorsa, quando Gesù, dopo aver domandato ai discepoli "Voi, chi dite che io sia?" e aver avuto la giusta risposta di Pietro, continua, rivolgendosi a tutti: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua." Lc 9,23.
In secondo luogo seguire il Messia richiede una totale radicalità. Il Signore non conosce mezze misure, non l conosce per Sé, non le ammette in chi decide di seguirlo. Gesù usa espressioni molto forti - secondo lo stile semitico - "Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". Chi sceglie di seguire Gesù è esposto alla precarietà e all’insicurezza. La vita cristiana è disponibilità incondizionata: "dovunque tu vada". Fin quando il Signore ci porta su sentieri che ci piacciono, va tutto bene; ma quando la sua Parola ci richiama, ci fa intuire che qualcosa non va, che bisogna cambiare o fermarsi un po' per fare il punto della situazione, allora iniziano i problemi. "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio".
Faccio un piccolo passo indietro, alla seconda lettura, che bene ci introduce al brano di Vangelo. Scrivendo ai Galati, Paolo scrive a persone che hanno ceduto alla tentazione di "guardare indietro", tornando all'idea che per salvare la propria vita erano necessarie la Legge e la circoncisione, mettendo in secondo piano l'amore gratuito di Dio. Anche la mentalità dei discepoli sembra rivolta al passato: vogliono dimostrare di essere più forti dei samaritani, sanno che nel passato Elia - usando il potere di Dio per difendere la propria vita - ha bruciato dei nemici e si pongono su quella linea. Hanno messo mano all'aratro, però stanno guardando al passato, ad un Dio vecchio, perché Gesù non è così: non si difende e non si difenderà nemmeno nel momento della sua croce. Chi risponde alla chiamata non può scendere a nessun tipo di compromesso, perché il regno di Dio comporta una novità di vita così radicale e sconvolgente che i residui del passato, se mantenuti, verrebbero fatti a brandelli, come un tessuto vecchio su cui venissero cucite toppe prese da una stoffa nuova cfr. Luca 5,36 e la "novità" stessa del regno verrebbe vanificata.
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio». Gesù vuole svelare senza ombre il primato assoluto del Regno di Dio nella vita del discepolo. La risposta di Gesù è assolutamente scandalosa, non solo alla luce della Scrittura, ma anche per il buon senso. Come si può non dare sepoltura al proprio padre? Ma il Rabbì di Nazareth, come in molte altre occasioni, vuole darci uno scossone. Esagera Gesù, lo sa che abbiamo bisogno di questo. C'è un primato da stabilire nella vita del discepolo, una precedenza assoluta dell'evento del Regno di Dio. Niente, nemmeno la sepoltura al proprio padre, può venire prima dell'annuncio del Regno di Dio. Il discepolo di Gesù è uno con delle priorità ben chiare, stampate a fuoco nella testa e nel cuore. Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». Anche qui la risposta sembra eccessiva ed effettivamente lo è, ma l'accento non è posto tanto sul passato, quanto sul futuro che attende ogni discepolo. La novità del Regno è tutta da scoprire e Gesù ci chiede anzitutto una totale disponibilità in tale direzione. Lo aveva capito bene Paolo: "Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta" Fil 3,8.14. E la riprova ne è che, per poco che ci si incammini al seguito del Signore, si sperimenta la verità dell'altra sua consolante Parola: "Non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà" Lc 18,29 -30. Il Vangelo di oggi è anche per gli eterni indecisi, per chi rinvia sempre, per chi fa un passo in avanti e due indietro, per chi vive di nostalgie per quello che ha lasciato e non gusta la novità, per chi vede passare molti treni e non si decide a sceglierne uno. Le esigenze della vita cristiana chiedono coraggio e decisione, movimento e cammino, guardando solo avanti e verso l’alto. Noi, discepoli del Signore di oggi, abbiamo il coraggio di lasciarci affascinare dalla chiamata di Gesù e di camminare con Lui verso Gerusalemme?