4 di Quaresima 6 Marzo 2016
Ecco una delle parabole più belle e famose di tutto il Vangelo: la si è chiamata in molti modi: “Parabola del figliol prodigo”, oppure “il Padre misericordioso”… insomma chiamatela come volete, talmente è ricca di significati! Oggi a me piace definirla come la “Parabola del volto di Dio”, poiché ci parla della nostra relazione con Dio, del suo volto e delle nostre relazioni con gli altri. "Il Figliol Prodigo", Pierre Puvis de Chavanne, 1879, National Gallery - Washington
Gesù ci insegna che non è mai tardi per tornare, perché il Padre è la che aspetta! Dio, come abbiamo visto anche domenica scorsa, non vuole tagliare, ma vuole che portiamo frutto … e Lui sa bene che il frutto migliore che l’uomo può dare è l’amore … frutto raro e prezioso, che come tale richiede cura e pazienza, attesa e fiducia!
A partire dall’800 si assiste ad un profondo mutamento iconografico nelle rappresentazioni della Parabola del Padre Misericordioso cfr. Luca 15, 11-31. A differenza del passato quando si prediligeva in particolare il momento della riconciliazione con il Padre o lo sperperare del figlio errante, constatiamo, infatti, una maggiore attenzione sul pentimento del “Figliol prodigo”. Ciò accade poiché la tematica era congeniale allo spirito del Romanticismo: i pittori che si misurarono con la rappresentazione della parabola erano infatti interessati ad indagare lo stato d'animo dello sventurato protagonista, nella sua solitudine e nella sua introspezione.
Una delle prime interpretazioni di questo tipo è offerta, nel 1879, da Puvis de Chavanne, pittore simbolista francese.
Si tratta di una tela in cui si respira un’atmosfera suggestiva, in certo senso fuori del tempo, dove la triste figura del figlio, col capo chinato e con una postura del corpo seminudo quasi fetale, occupa l'intero primo piano e sullo sfondo un paesaggio desolato.
Il volto mostra un'espressione rassegnata e malinconica, mentre le mani giunte esprimono bisogno di riconciliazione dell'uomo con Dio, possibile solo in virtù di una ritrovata spiritualità, tipico della cultura romantica. La scena ci presenta il momento del massimo abbassamento del protagonista, che ha perduto tutto e che si trova costretto ad accettare un lavoro servile, indegno per un uomo libero … e tanto più per un ebreo che considerava i maiali degli animali impuri. Scrive l’esegeta Ortensio da Spinetoli: “Il salario non doveva essere alto se non riusciva neanche ad avere il necessario per sfamarsi. Si sarebbe saziato con le carrube o e ghiande che venivano date ai maiali, ma non poteva averle”.
Ecco dunque le estreme conseguenze di un tragico errare, così come è stato interpretato in modo magistrale in questo dipinto: abbiamo sotto gli occhi l’immagine di chi è partito inseguendo un sogno di libertà e di felicità e che si ritrova alla fine, vittima della fame, nella condizione di chi è messo a terra dalla vita. Eppure, come lui, ciascuno può sempre intraprendere la “via della misericordia che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato” Papa Francesco.
Puvis de Chavanne ha interpretato questo personaggio della parabola con la “semplificazione delle forme e il trattamento a stesure uniformi di colori tenui, elementi tipici della sua produzione artistica che rappresentano anche il suo principale merito” M. Gibson.
I suoi paesaggi, come in questo caso, sono sempre ridotti agli elementi essenziali e sono popolati di figure nude o avvolte in panneggi ben curati, caratterizzate da calma e dignità. Il disegno è semplice, senza drammaticità; le sue composizioni sono relativamente quiete e prive di azione. Alcuni critici contestano a Puvis de Chavanne il fatto che la sua pittura può sembrare un po’ anemica. Ricordiamo che, insieme a Manet, l’artista aveva coltivato il suo talento per alcuni mesi nella scuola di Couture, maestro di estrazione accademica, ma che impostava il suo insegnamento su regole meno tradizionaliste di quelle della Scuola di Belle Arti. Couture conduceva i propri allievi a dipingere all’aperto, invitandoli a portare sempre con sé un album pratico, maneggevole, per poter schizzare particolari situazioni o dettagli colti direttamente al momento, come per esempio si può vedere nei maiali al pascolo della nostra tela.
A partire da queste basi, Puvis de Chavanne elaborò poi una sua pittura caratteristica, chiara, carica di simboli e di atmosfere spirituali, modellati leggeri e ombre tenui, ispirate agli affreschi antichi e a quelli del Rinascimento italiano: queste sue note artistiche furono tenute in grande considerazione sia dagli ambienti ufficiali come pure dalle avanguardie moderne, e gli favorirono commissioni molto importanti, quali la decorazione del Pantheon, del Municipio e della Sorbona a Parigi, e di altri edifici pubblici francesi.
Quanti giovani e adulti si rispecchiano nel personaggio rappresentato con tanta maestria da Puvis de Chavanne? Sono tutte quelle persone sfiduciate che forse non cercano più soluzioni o risposte, perché non intravedono alcuna meta da raggiugere e, di conseguenza, non hanno nemmeno più una direzione precisa.
Proprio a partire da queste situazioni, è bello constatare che c’è una Chiesa che oggi si fa in quattro per ridonare a tanti figli erranti del nostro tempo, la veste, i calzari e l’anello, cioè una nuova dignità. Possiamo pensare tra le diverse realtà, alla creazione di tante associazioni, gruppi e cooperative che cercano di far rialzare e rimettere in cammino non solo le persone, ma anche intere comunità.
Con il loro impegno, queste iniziative sono in grado di ridipingere con pazienza la desolante scena di Puvis de Chavanne, trasformandola in tanti quadri pieni di vita e di speranza.
Facciamo tesoro dunque di questo dipinto di Puvis de Chavanne, che davvero ci dà da pensare alla nostra vita e a quella di tante persone che forse conosciamo.