3 di Quaresima 28 Febbraio 2016
Durante il Medioevo, per la Liturgia Eucaristica e la Liturgia delle Ore erano necessari dei libri che riportassero insieme ai testi anche le melodie da eseguire durante le funzioni. Presso le chiese cattedrali e i monasteri tali libri vennero assumendo dimensioni sempre più grandi per rendere possibile la lettura di testo e musica a folti gruppi di cantori radunati nel coro. Essi presero il nome di Corali che venivano eseguiti a coppie per poter essere disposti ai due lati del coro.
"Il fico sterile", Miniatura dai Corali del Turone, Secolo XIV - Biblioteca Capitolare di Verona
La Biblioteca Capitolare possiede 17 di questi volumi, in origine erano 18: uno venne disperso e sostituito da una copia tarda, con musica gregoriana: i quattro righi e note quadrate, che vennero attribuiti alla scuola di Turone di Maxio che è considerato il più importante miniatore del 300 veronese. Originario di Camnago nel Milanese è presente a Verona tra 1356 e il 1387. Qui istituì sotto la sua direzione una scuola. È ricordato non solo come miniatore ma anche come pittore - polittico della Trinità conservato a Castelvecchio - e affrescatore - Madonna in trono nella chiesa di Santa Maria della Scala -.
La miniatura proposta è inserita nel corale MLX.
Prima di esaminare l'immagine bisogna ricordare che la miniatura, in questo tempo, non ha l'esclusivo scopo di rendere bella la carta, di illuminare cioè il foglio - la miniatura veniva anche chiamata ars illuminandi - come si avrà più tardi nel Rinascimento, ma soprattutto deve esprimere concetti e simboli religiosi. Contemplando l’immagine il fedele comprende la storia sacra. Si ripete dunque nella miniatura di questo tempo la motivazione che spinse a produrre i primi affreschi delle chiese chiamati anche “la Bibbia del povero, o meglio dell'analfabeta”.
Nella miniatura nulla è dato al caso, ma tutto è simbolo che deve essere interpretato.
E veniamo alla miniatura raffigurante “l'albero che non da frutti...”. In primo piano vi è un contadino con una sega in mano, che si identifica come tale per l'abito indossato: tunica corta abbondante, di taglio semplice perché serve per il lavoro, in parte sollevata, lunghi calzari. Nel Medioevo l’abito era un vero e proprio “Status Symbol” : identificava chiaramente il ceto sociale di appartenenza. Anche il colore aveva il suo peso.
Per il contadino doveva essere di tonalità spente o marrone, come nel nostro caso, o grigio, o colore della lana grezza.
Perchè allora il secondo contadino, quello sull'albero rigoglioso, ha la tunica rossa che si impone allo sguardo dello spettatore? E qui viene fuori tutta la simbologia dei colori. Il rosso che è il simbolo della regalità - il mantello del Cristo è spesso rosso - sta anche a simboleggiare la vita, la vittoria sulla morte. Il contadino sta raccogliendo i frutti da una pianta piena di vita. Se osserviamo attentamente anche il colore verde delle due piante è diverso. Il verde luminoso della pianta con frutti sta a simboleggiare la crescita, la fertilità, quello più cupo dell'altro albero, che sta per essere tagliato, significa il contrario.
Se abbassiamo lo sguardo, sotto i piedi del contadino che taglia c'è una zona di colore bianco, ovvero l'assenza di colore che se può essere simbolo di luce, di potenza nel nostro caso, proprio perché assenza di colore è simbolo della distruzione: “L'albero che non dà frutti va tagliato”.
Lo sfondo della scena rincuora: “dopo la distruzione c'è la rinascita”. Per questo il miniaturista ha usato il blu, il colore della trascendenza, che trasmette un senso di calma con la certezza che poi ci sarà la rinascita.
Un bel Vangelo, anche se come sempre impegnativo, quello di questa Domenica! La logica dell’attesa: un atto di fiducia di Dio.
Le parole di Gesù ci vengono incontro come un grande segno di speranza: con una semplice parabola “agricola”, Gesù ricorda che ci sono due logiche diverse fra l’uomo e Dio. L’uomo, nella sua mentalità utilitaristica, elimina ciò che non porta frutto … Dio invece, va oltre la logica umana e, anche se non avrebbe senso, Lui aspetta …e questo aspettare non è altro che l’attendere noi, presi dal nostro peccato, dalle nostre chiusure, che mai vorremmo staccarci dal nostro Io. Noi, però, siamo gli stessi ai quali Dio non smetterà mai di tenere le braccia aperte, in attesa del nostro portare frutti… anche se gli dovesse costare un bel po’ di tempo e di fatica … proprio perché non siamo fatti per essere tagliati, ma per portare frutto… e se l’uomo è sempre pronto a tagliare, Dio aspetta … anche perché, cosa strana, al di là dei suoi errori, al di là del suo peccato…Dio si fida dell’uomo, Dio si fida di me!