3 di Avvento 13 Dicembre 2015

3Avvento2013bisGaudéte in Dómino
semper: 

íterum dico, gaudéte. 
Dóminus enim prope est.

Rallegratevi sempre
nel Signore:

ve lo ripeto, rallegratevi,

il Signore è vicino.
 
                              Fil 4,4-5

Oggi è la domenica cosiddetta “Gaudete”, è la giornata della gioia. Sofonia ci invita a gioire: “Rallegrati, grida di gioia, Israele e acclama con tutto il cuore”. San Paolo ci chiede di stare sempre lieti: “Fratelli, siate sempre lieti”.
Questa Domenica allora, è tutta caratterizzata dall’annuncio gioioso a “rallegrarsi perché il Signore è vicino”.
Che strane queste affermazioni proprio in questi giorni! La gente si lamenta, i soldi sono meno, c'è ancora la crisi. Sarà un Natale sottotono, dicono gli esperti. La crisi economica che sta travolgendo il mondo ci rende sempre insicuri. E abbiamo paura di quello che potrebbe succedere anche in Italia a causa del terrorismo. Quanto attuali risuonano, allora, gli inviti alla fiducia e alla gioia presenti in questa terza Domenica di Avvento!

Siamo tutti cercatori di felicità. La nostra vita si consuma dietro l'affannosa ricerca della gioia e possiamo leggere le nostre vite proprio dal desiderio che portiamo in noi stessi di abitare nella gioia. Tutti, bene o male, cerchiamo la felicità. Eh sì, la gioia è proprio una cosa bella. Chi di noi non vuole essere nella gioia? Oggi si parla di gioia, quella vera, quella che scaturisce dalle cose belle, buone, quella che è frutto di uno star bene e di un far star bene quelli che ci sono accanto, anche se tutto questo ci chiede qualche impegno e qualche fatica in più.
Anche la Parola di Dio ha qualcosa da dirci: nella Scrittura si usano più di venticinque termini per descrivere la felicità! Questo per smentire chi pensa che la fede sia un'esperienza mesta. E in questa domenica è proprio la gioia ad essere la protagonista della liturgia.
C'è un Dio, che quando entra nella tua vita dice: “Non avere paura. Non avere paura perché io sono con te. Non avere paura perché tu vali per quello che sei. Non avere paura perché tu sei importante per me. Non avere paura perché io ho fiducia in te. Non avere paura perché ce la puoi fare. Non avere paura perché io ti voglio bene. Non avere paura perché come te non c'è nessuno e mai ci sarà. Non avere paura!”. Per poter sognare abbiamo bisogno di parole che ci aiutino ad uscire dalle nostre paure e il primo che pronuncia queste parole nella nostra vita è Dio. Però dobbiamo imparare anche noi a pronunciare queste parole per noi e per gli altri. Abbiamo bisogno di sostenerci reciprocamente con parole che ci facciano uscire dalle nostre paure. 


L'invito alla gioia ritorna incalzante nella Lettera ai Filippesi. Paolo detta queste parole mentre è in carcere a Roma vicino a Trastevere - dice la tradizione - e forse ha già di fronte la prospettiva della sua sentenza. Scrive agli abitanti di Filippi invitandoli ad avere gli stessi sentimenti di Gesù Cristo ed esortandoli, ripetutamente, a rallegrarsi e a "gioire nel Signore!". È straordinario pensare come un uomo in catene per Cristo, possa invitare altri a rallegrarsi. Mentre rileggevo queste pagine, mi risuonavano nel cuore le parole della "predica della perfetta letizia" di Francesco d'Assisi. Perfetta letizia, gioia vera si ha quando nonostante le prove più grandi non cediamo alla disperazione, ma restiamo ancorati a Cristo, perché nessuno può separarci da Lui.
Cristo è la fonte della vera gioia, che nessuno potrà mai toglierci! Infatti, se ritorniamo alla Lettera ai Filippesi, al testo originale greco, vediamo che la parola “rallegratevi” ha la stessa radice di “grazia”. La gioia, dunque, è strettamente legata alla grazia e la grazia è l'effetto della presenza del Signore. La vicinanza del Signore, dunque, è il vero motivo della nostra gioia!

Credo anche che il desiderio della gioia sia sotto la domanda che la folla, i pubblicani e i soldati fanno a Giovanni Battista: Che cosa dobbiamo fare?
Il Vangelo di Luca ci presenta alcuni aspetti di conversione nella predicazione di Giovanni, che rende testimonianza a Gesù. Il testo si può dividere in due parti: nella prima, Giovanni risponde ad alcune persone preoccupate di come mettere in pratica la conversione; nella seconda il Battista dà una bella testimonianza di Gesù Cristo come colui che veramente bisognerà seguire. La domanda che emerge è di tutti coloro che si sono messi sulla via della conversione e chiedono cosa fare. Ricordiamo che prima di questo nostro testo era risuonato un vigoroso appello alla conversione.
La prima domanda è posta dalla folla. Essa viene dalla gente e alla gente è rivolta la risposta. Giovanni non gira tanto attorno ai discorsi. La sua risposta è concreta. La conversione esige la carità! E la carità consiste nel considerare ogni altra persona come un fratello: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Se tuo fratello ha freddo e tu hai due cappotti non puoi e non devi stare tranquillo. Il passaggio della tua conversione è quello di dare a lui il tuo secondo cappotto. “Senza se e senza ma!”. La conversione, cioè il volgersi verso Dio, deve passare dall’accorgersi della povertà del fratello e dal fare qualcosa.
E la proposta di Giovanni non è solo per i ricchi ma per tutti. Ricordiamo che la folla che seguiva Giovanni non era certo composta da ricchi. Quello del precursore, è un sistema di carità che ha come fondamento di vita, il possedere solo il necessario. Il resto è dei poveri, di coloro che non hanno nulla. Per Giovanni non basta una teorica presa di posizione di cambiare vita.
Sono poi due categorie di persone a porre la stessa domanda a Giovanni: i pubblicani e i soldati, due categorie particolarmente odiate dal popolo. I primi, esigendo più tasse, volevano poter guadagnare personalmente. I secondi, abusando del loro potere, erano violenti e depredavano quello che trovavano. In entrambi i casi si tratta di guadagni illeciti. Ad ambedue Giovanni dà una parola di conforto: anche per loro è possibile la via della conversione. È chiesto di vivere la loro professione senza esigere di più. E Giovanni non pretende da questi uomini l’abbandono della loro professione, bensì una responsabilità che consideri gli altri come fratelli. La conversione a Dio perciò non si realizza in astratto ma nel nelle scelte. La bellezza di questo atteggiamento di Giovanni mostra come la salvezza è un dono di Dio e come tale è possibile a tutti. È espressione di un amore che sorprende e che richiede una risposta libera: la gente deve imparare a condividere, i pubblicani ad essere equi e i soldati ad avere umanità.
Giovanni sa che il messaggio viene da Dio, per questo va al concreto delle cose. Il tempo è poco e il Messia è alle porte.
Nella seconda parte del nostro testo il Battista distoglie lo sguardo da sé per porlo su Colui che deve venire. Molti erano impressionati dalla vita e dalla parola di Giovanni. Ma lui dichiara apertamente di non essere il Messia e con umiltà profonda, annuncia la sua venuta.
È con un’immagine della vita delle case patrizie del tempo, che egli mostra tutta la sua piccolezza. Era infatti compito degli schiavi più vecchi e inutili, sciogliere i lacci delle calzature e lavare i piedi delle persone che entravano in casa. Ebbene Giovanni non si sente di essere nemmeno degno di questo umile servizio nei confronti di Gesù. Il Messia avrà il potere di comunicare il dono più grande del Padre, lo Spirito Santo.
Lui solo può appagare i desideri più nascosti del nostro cuore. Lui solo può trasformare la tristezza dipinta sui volti degli uomini in vera gioia, gioia che nessuno potrà mai strappare. La gioia vera, poi, è più eloquente di qualsiasi altra parola, dice molto, molto più di qualsiasi discorso, di qualsiasi predica. La gioia che dalla pienezza del nostro cuore straripa sui nostri volti e permea le nostre relazioni, sarà la testimonianza più vera del mistero dell'Incarnazione che celebreremo nei giorni del Natale.

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