33 Domenica del Tempo Ordinario
Sono tre parabole che hanno in comune un insegnamento importante: le cose definitive. Ci sono delle vie di non ritorno. Viene un giorno in cui è troppo tardi, in cui non c'è più niente da fare. La vita, in modi diversi, in certi momenti dà a tutti la possibilità di cambiare. Tutti noi abbiamo degli incontri che portano in una certa direzione la nostra vita. Tutti noi incontriamo delle persone che ci fanno respirare un'altra aria. Tutti noi incrociamo, prima o poi, qualcuno che ci dice: "Provaci; dai che ce la puoi fare!". Tutti noi abbiamo vissuto delle situazioni - morte di un amico, di un nostro caro; un momento difficile di vita; una sofferenza interiore; una malattia… - che ci chiamano a vivere in modo diverso.
Cosa abbiamo fatto in quelle situazioni? Perché magari… rinuncia oggi e rinuncia domani, rimanda, abbandona, evita verrà un giorno in cui non sarà più possibile "fare domani". È troppo tardi. In queste parabole Gesù non è cattivo o duro, ma ci ricorda solamente che ciò che noi facciamo ha delle conseguenze su di noi. Se tu vivi così, se tu fai così, se tu agisci così, questo ha delle conseguenze a breve e soprattutto a lungo termine. Ed è per questo che ognuno raccoglie ciò che semina.
La Parabola delle 10 vergini: "Non vi conosco";
La Parabola de Talentii: "Gettatelo fuori nelle tenebre";
La Parabola del Giudizio: “Via, lontano da me maledetti”.
Sembra che davanti al giudizio di Dio ci sia di che tremare.
Che significano queste parole così dure?
Semplice – se vogliamo dire così - : che la vita è una cosa molto seria, non possiamo farne ciò che vogliamo perché dovremo renderla a chi ce l'ha data.
La preghiera del Capo Scout recita così:
Che io veda, ami e serva Te in tutti i miei fratelli,
ma particolarmente in coloro che mi hai affidati.
Te li raccomando perciò, Signore,
come quanto ho di più caro,
perché sei Tu che me li hai dati,
e a Te devono ritornare.
Come puoi avere un potere assoluto su una vita che non ti sei dato?
Niente ti sei dato: né il nome, né il colore dei capelli, né l'essere così come sei, né le persone intorno a te e che ti vogliono bene. A volte ce lo dimentichiamo perché il padrone dà i talenti e poi scompare e quindi crediamo che le doti e qualità siano solo nostre. Ma il padrone tornerà. Come gliele renderemo?
Nella Parabola dei Talenti, ciò che unifica il quadro non è tanto il dialogo tra il padrone e i due primi servi, quanto il dialogo tra il servo fannullone e il padrone che esige una giustificazione. A prima vista il servo sembra ragionare in modo giusto e con un comportamento che mette con le spalle al sicuro: è più sensato conservare quel poco che si ha, che non perderlo.
Il servo si crede nel giusto quando non osa rischiare e quando seppellisce il talento per poterlo restituire intatto; si difende dicendo che il padrone miete dove non ha seminato. Così, in nome della giustizia, contesta al suo padrone il diritto di chiedergli più di quello che gli ha dato: "Io sono giusto, sei tu che non lo sei". Come gli operai della prima ora che sono indignati per la condotta del padrone della vigna… come le recriminazioni del figlio maggiore contro il padre nella parabola del "figlio prodigo".
Le argomentazioni di questa parabola sono dirette contro gli scribi e farisei osservanti della legge e contro quanti cercano di evitare il rischio della responsabilità, il rischio di perdere la vita. In fondo il loro ragionamento ha una sua logica: Dio esige la perfezione; la Legge esprime la sua volontà; solo un’osservanza scrupolosa della Legge mette al sicuro. La logica del padrone della parabola è però diversa. La salvezza passa attraverso il rischio: "Sapevi che mieto dove non ho seminato, perciò...". Il dono che il servo ha ricevuto non dà salvezza da solo; la quantità dei talenti non può costituire una sicurezza. Il dono è per fruttificare. Chi non rischia non può guadagnare. La venuta del Signore, improvvisa per tutti, non permette di aspettare a trafficare i doni ricevuti. La difesa è la tattica della sconfitta. Non osare può sembrare prudenza ma alla fine è pigrizia. Chi non mette in atto l’annuncio ricevuto e non sa trarre alcun vantaggio da ciò che ha ricevuto, è come l’invitato alla festa che non veste l’abito di nozze o come le ragazze del corteo nuziale che non hanno riempito la lampada di olio: pigre e stolte.
Il Vangelo è un messaggio da cui lasciarsi trasformare.
L’immagine della donna perfetta, presentata nella Prima Lettura, è un modello di saggezza e di comportamento che deve caratterizzare l’attesa del Regno:
fedeltà coniugale, lavoro, autenticità di valori.
Non è invece un modello il servo della parabola: ha paura del padrone, una paura che il cristiano non deve avere dal momento che nel Battesimo è diventato figlio, come ci ha detto oggi San Paolo. Ed esorta: "Non dormiamo come gli altri". Impegnare i propri talenti non è costruirsi la propria fortuna, né usare le proprie capacità per sé solo: fanno parte del piano di Dio. Nel quotidiano noi sperimentiamo le nostre capacità di cambiare, la nostra grande fantasia creativa. Ma nel quotidiano sperimentiamo anche il peccato.
La vita oggi è molto dura per la maggior parte degli uomini: la concorrenza è spietata, la sicurezza professionale non esiste per nessuno, gli uomini si fidano gli uni degli altri in misura sempre minore, l’incertezza politica ed economica sembra schiacciare il nostro Paese, la sofferenza e la morte non risparmiano nessuno. Sull’umanità grava il pericolo di guerre… Chi può sentirsi al sicuro? Eppure proprio in questa umanità, Cristo agisce come forza di rinnovamento, diffondendo doni e talenti a uomini e donne che li sappiano far fruttare con disponibilità e con coraggio. Dio non ha l’abitudine di agire al nostro posto; ma lo Spirito di Dio ci spinge a divenire uomini nuovi, cioè uomini che malgrado contraccolpi e opposizioni continuano a costruire con amore un futuro più bello e il Regno di Dio già qui sulla terra.