25 Domenica del Tempo Ordinario
Siamo pronti a rimettere in gioco la nostra immagine di Dio? A lasciarci scardinare dallo Spirito Santo per gustare la novità del volto sorprendente di Dio rivelato da Gesù? Se la risposta è no, forse è meglio che ci fermiamo qui. Se la risposta è sì, allora andiamo avanti. Oggi, la liturgia ci propone la parabola di quel padrone che esce a prendere degli operai a giornata per la sua vigna...
scena ancora molto diffusa in alcune regioni del Sud Italia e in alcuni stati del mondo.
Vediamo da vicino il testo del Vangelo.
Il padrone di casa esce all’alba per cercare operai per la sua vigna. Alle sei del mattino arruola il primo gruppo e stabilisce la paga: un denaro… una cifra niente male. Poi esce alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque, e ogni volta arruola nuovi operai, ma senza stabilire la quota per il lavoro. Alla fine della giornata, al momento del pagamento, il padrone parte dagli operai delle cinque del pomeriggio, gli ultimi. E ad ognuno di loro viene dato un denaro.
Ai primi allora cosa darà il padrone? A quelli che hanno sopportato il peso della giornata, la fatica e il caldo, che mai verrà dato? Le speranze dei lavoratori della prima ora vengono subito sgonfiate: anche a loro viene consegnato un denaro, il prezzo stabilito al loro ingaggio.
Penso che proprio in quest’ultimo passaggio stia il centro della parabola. Gli operai della prima ora si aspettavano qualcosa in più, erano convinti di essersi meritati una paga più alta degli altri assunti poco prima del tramonto.
Proprio qui sta l’attualità della parabola: il rischio è quello di imbarcarsi con Dio in un rapporto di tipo quasi sindacale, dove la mia retribuzione è stabilita in base ad un merito.
L’altra sera sono andato a mangiare la pizza e per risparmiare un po’ sono andato in una pizzeria al taglio. Alla fine, quando è arrivato il momento di pagare il conto, la signora della pizzeria mi dice: “Vuole la nostra tessera? Quando ha mangiato 10 pizze ne diamo una in omaggio”.
A volte mi fa spavento sentire cristiani convinti di poter gestire la loro fede come la tessera di una pizzeria, come se la cosa più urgente fosse mettere tanti piccoli timbri per meritarsi un bel premio finale...
La logica di Dio – per fortuna! – non è come la nostra e il grande Isaia ce lo ricorda nella prima lettura: “Le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri” - Is 55,8 -. Mentre noi ci preoccupiamo di meritarci una buona paga e contiamo soddisfatti i timbri sulla nostra tessera, Lui ci lascia a bocca aperta:
♣ era meritata l’accoglienza del padre verso il figlio che è andato via di casa e ha sperperato tutti i soldi del padre?
♣ e la bontà nei confronti della prostituta in casa di Simone il fariseo?
♣ o il privilegio di un pasto nella casa di Zaccheo il pubblicano?
♣ era meritata la guarigione del servo del centurione romano e pagano?
♣ era meritata la promessa fatta al ladrone sulla croce di essere certo del paradiso?
A noi, fratelli e sorelle, la risposta...
La nuova e dirompente logica di Dio che questa parabola ci mette davanti agli occhi, ci provoca e ci fa riflettere molto. Gesù ci mette in guardia dall’orgoglio spirituale, dal sentirsi già a posto, fermi sulle nostre posizioni, come se fossimo già arrivati a destinazione. Il Regno di Dio è un dono così grande e se non lo si accoglie come chi sa di non meritarsi nulla, si corre il rischio di aver faticato invano...
Gesù si sta dirigendo verso Gerusalemme, la sede politica e religiosa del popolo ebreo, e lungo la strada racconta questa parabola. Gesù la dice forse per gli ebrei che si ritenevano i prediletti, i prescelti da Dio fin dall’antichità. Loro e solo loro erano il popolo di Dio e a loro spettava una ricompensa maggiore, un trattamento di favore rispetto agli altri. Gesù, però, con il suo modo di fare, cioè di rivolgersi ai pubblicani, ai peccatori e ai pagani, scardinava questa prospettiva. Gesù era venuto per tutti e questo sicuramente non piaceva agli ebrei.
Con questa parabola Gesù voleva dire: se Dio vuole salvare tutti, perché siete invidiosi? Se Dio è buono, se Dio ama tutti, perché siete gelosi? Volete Dio tutto per voi? Dio dovrebbe preferire voi agli altri?
Ogni figlio è unico per una madre, ma lei li ama tutti.
Ero stato ordinato sacerdote da poco e una signora un giorno mi ferma per la strada e mi dice: “Don Silvano, a che serve venire in chiesa fin da piccoli? Vede quello lì? Tutti sanno che era un ladro e adesso viene in chiesa. E io? Io che in tutti questi anni mi sono sempre comportata bene… Allora anch’io potevo fare così, fare la bella vita e poi cambiare alla fine! Allora cosa serve essere cristiani?!”.
Aveva mai capito, mai gustato, la bellezza del Signore quella donna? Forse non aveva ancora scoperto che il nostro Dio è così: ci lascia liberi sempre di scegliere come vogliamo e ci aspetta sempre!
Forse, se quella signora avesse vissuto fino in fondo ciò in cui credeva, al momento della conversione dell’altro, avrebbe detto: “Finalmente! Che bello, anche tu ora sei dei nostri, sei di Gesù Cristo. Sono proprio contenta per te!”. Invece purtroppo viveva l’arrivo dell’altro come una diminuzione di sé. Le era stato tolto qualcosa? No, è che aveva vissuto la sua fedeltà come un premio, come una medaglia: “Guarda come sono brava!”. Quando arriva l’altro che non è stato fedele all’insegnamento cristiano, si chiede a cosa era servita tutta la sua fatica. Così non si sente più brava, perché il premio, viene dato anche a chi non lo è, oppure a chi lo è diventato tardi.
Come nel Vangelo di oggi: quelli della prima ora che hanno il denaro pattuito, invece di gustare ciò che hanno, pensano a volerne di più. Chi vuole di più è perché non sa gustare, non è consapevole di quello che ha e vorrà sempre di più e questo non basterà mai.
Dio è buono, è gratuità assoluta, sconcertante, che ne svela la bontà. Gli operai della prima ora non hanno colto con chi hanno a che fare. Hanno ridotto la loro fede a fatica e sudore. Forse anche peggio: guardano con sospetto gli altri, quasi concorrenti dei loro privilegi.
Non è così per chi ha colto la luce del Vangelo.
Stupiti, abbagliati dalla bontà del padrone, facciamo festa per la grazia di poter lavorare nella vigna, facciamo festa per la possibilità che altri fratelli, anche all’ultimo, possano accogliere la grazia che ci ha trasformati.
La bontà di Dio contagi la nostra vita, in modo da rendere la nostra giornata lavorativa, sin d’ora, immagine di quella gioia che il Signore riverserà nei nostri cuori forgiati dalla fatica dell’amore.
"E quelli che hanno lavorato di più?".
Possiamo trovare una risposta nella preghiera con cui è iniziata la celebrazione di oggi. In questa preghiera siamo aiutati a "considerare destinatari dell' "impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino" chi ha scelto il Signore. Che vuol dire: la gioia di poter amare Dio, senza essere gelosi che anche altri lo possano amare come me… in qualsiasi momento.