Festa dei Santi Pietro e Paolo
«Dimmi, amico, che sta succedendo? Per tutta Roma si corre e si esulta». Questo lo scenario che, al primo impatto, si propone alla vista e all’immaginazione di un pellegrino illustre, recatosi da Calagurris, odierna Calahorra in Spagna,a Roma per le celebrazioni del Dies Natalis, il giorno del martirio, di Pietro e Paolo.
È il poeta Prudenzio che, ritornato in patria dopo la visita ad limina Petri et Pauli, rievoca in versi una straordinaria esperienza vissuta in prima persona: le liturgie, la processione dal Vaticano alla via Ostiense, e soprattutto le due Basiliche Apostoliche che, nel loro imponente e suggestivo impatto memoriale, diventano tema dominante della sua ispirazione: «La regione destra, il Vaticano, ha raccolto e custodisce Pietro in una splendida dimora... sul lato opposto, dove il fiume bagna i campi della riva sinistra, la via Ostiense conserva la tomba di Paolo».
È «il sacro Tevere» che «separa le ossa dei due, fluendo tra i loro santi sepolcri, posti il primo (di Pietro) su una riva e il secondo (di Paolo) sull’altra». Una metafora creativa e coinvolgente che riconosce nel “sacro fiume” un ruolo allo stesso tempo di distinzione e di unità: all’alveo che separa e distingue fanno da contrappunto le acque che, bagnando le due sponde, riconducono a unità il sacrificio supremo della coppia apostolica. Questa panoramica, che coinvolge nel suo insieme la città intera, è partecipata al lettore con l’“appello” di tradizione, già impiegato da Damaso nei suoi elogia martyrum: «Guarda aspice il popolo di Romolo plebs Romula si riversa su due strade diverse per bifidas plateas: uno stesso giorno si illumina di due feste».
Quest'anno la Domenica cade nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo e ci dà l'occasione di celebrare questa straordinaria festa. La tradizione dice che Pietro e Paolo morirono martiri nello stesso giorno, il 29 giugno dell'anno 67 o 68, l'uno crocifisso a testa in giù sul Colle Vaticano e l'altro decapitato sulla Via Ostiense. Questi Apostoli sono chiamati le colonne della Chiesa romana. Tertulliano li ricorda come coloro che donarono a Roma la loro dottrina assieme al loro sangue.
Per questo, insieme alla Chiesa d'Oriente - che li festeggia subito dopo il Natale - possiamo cantare "sia lode a Pietro e a Paolo, queste due grandi luci della Chiesa, essi brillano nel firmamento della fede".
Tornano oggi nelle nostre assemblee liturgiche e continuano a predicare sia con le parole che ci hanno tramandato che con la loro testimonianza di vita. Tornano insieme, quasi a ripetere quella missione antica: “Gesù chiamò i suoi discepoli e li mandò due a due”. Pietro e Paolo, dalla lontana Palestina, vengono mandati in Europa sino a Roma, per predicare il Vangelo. Erano molto diversi l'uno dall'altro: "umile pescatore di Galilea" il primo, "maestro e dottore" l'altro, come canta il prefazio della Liturgia di questo giorno.
Diversa fu anche la loro storia di credenti e di discepoli.
Pietro: fu chiamato da Gesù mentre riassettava le reti sulle rive del mare di Galilea: era un pescatore che svolgeva onestamente il suo lavoro, talora molto pesante. Uomo rude e semplice, di grande passione e istinto. E, non appena quel giovane Maestro di Nazareth lo chiama a “prendere il largo” e a pescare uomini e non più pesci, Simone, "lasciate subito le reti, lo seguì".
Il vero Pietro è quello che si lascia toccare dallo Spirito di Dio e, primo tra tutti, proclama: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente", come riporta il Vangelo annunciato oggi. Pietro ama profondamente Gesù, ne scruta e ne segue fedelmente i passi e viene scelto proprio lui per garantire nella fede i fratelli. Ma il vero Pietro è anche il discepolo che sbatte pesantemente il naso contro il proprio limite – basta la voce di una serva per portarlo al tradimento - .Nessuno di noi conosce la sua fede fino a quando questa non è messa alla prova: così Pietro che si sentiva ormai adulto nella fede, fondato nelle sue convinzioni, deve fare i conti con la sua - che è la nostra - paura, rinnega il Maestro e piange. Ma il Signore fa di questa debolezza la "pietra" che avrebbe dovuto confermare i fratelli. Su questa "pietra" avrebbe edificato la sua Chiesa. Ecco l'incontro, splendido, unico, al lago di Tiberiade, l'incontro col Risorto che gli chiede di amarlo. E Pietro abbassa lo sguardo, sente bruciare la ferita dentro di sé. Eppure crede, eppure ama: ora sì, è davvero capace di confermare i fratelli, ora sì, sul serio, può accompagnare il cammino dei fratelli.
E lo vediamo, Pietro, nel giorno di Pentecoste, uscire dal Cenacolo e predicare con la forza dello Spirito il Vangelo della Risurrezione.
Pietro si era finalmente lasciato condurre dallo Spirito. E, perché possa comunicare e testimoniare il Vangelo a Roma per compiere il suo misterioso disegno, il Signore lo libera dalla prigione, strappandolo dalla mano di Erode.
E Paolo, così diverso da Pietro.
Paolo, lo studioso, il polemico, il credente intransigente con le sue certezze. Da giovane, lo troviamo accanto a coloro che stanno lapidando Stefano; fa la guardia ai loro mantelli. È pieno di forza nel combattere la giovane comunità cristiana. Si fa autorizzare a perseguitarla, per sradicarla sul nascere. Ma sulla via di Damasco il Signore lo fa cadere dal cavallo delle sue sicurezze e del suo orgoglio, ben più forti e salde del cavallo su cui stava. Si trova a terra, nella polvere, alza gli occhi al cielo e sente il Signore. Questa volta, come Pietro dopo il tradimento, anche Paolo si sente toccare l’animo; i suoi occhi rimangono chiusi e non vede più. Lui, abituato a guidare gli altri, viene afferrato per mano e condotto a Damasco. E lì, con l'aiuto dei fratelli, ascolta il Vangelo che gli apre gli occhi e il cuore. E subito, come Pietro, inizia a seguire il Maestro.
L'incontro con la Parola di Gesù, in ogni momento della vita genera sempre un "subito", un distacco deciso con il proprio passato per divenire discepoli del Vangelo. È la storia di Pietro, è la storia di Paolo, ma anche la storia di chiunque vuole seguire Gesù. Non è possibile ascoltare con il cuore la sua Parola e restare fermi, bloccati sulle proprie abitudini, saldi nel proprio orgoglio. Il Vangelo fa sempre cadere dal cavallo delle proprie certezze. Paolo, sedotto da Gesù, predica prima agli ebrei e poi ai pagani, fondando molte comunità cristiane nell'Asia Minore. Sbarca anche in Europa per annunciare il Vangelo di Gesù. Vuole giungere sino in Spagna, ossia sino agli estremi confini della terra allora conosciuti. Per compiere questa missione non manca di opporsi neppure a Pietro. "Il Signore mi è stato vicino - scrive a Timoteo - e mi ha dato forza, perché per mezzo mio si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili. Il Signore mi libererà da ogni male".
Paolo ci ricorda l'ardore della fede, l'ansia dell'annuncio, il dono del carisma, il fuoco dello Spirito, l’importanza della comunità. Senza di lui il cristianesimo sarebbe rimasto chiuso nel piccolo spazio dell'esperienza di Israele, grazie a Paolo le mura sono state abbattute, grazie a lui e alla sua forza il Vangelo ha travalicato la storia. Paolo, che ama e dona la sua vita alle sue comunità.
La Chiesa, fin dall'inizio, li ha voluti ricordare insieme, quasi a voler ricomporre in unità la loro testimonianza. Con le loro diverse ricchezze, con il loro carisma, hanno fondato un'unica Chiesa. Le loro caratteristiche fanno in certo modo parte della fede e della vita della Chiesa e di ogni comunità cristiana. Si potrebbe affermare che non si può essere cristiani in modo piatto, identico e uniforme. La nostra fede deve respirare con lo spirito di questi due testimoni: con la fede umile e salda di Pietro e con il cuore ampio e universale di Paolo, e soprattutto con la disponibilità a versare anche il sangue per il Vangelo. La Chiesa e ogni credente deve vivere perché il Vangelo sia annunciato sino agli estremi confini della terra.
È ancora una volta la “Nuova Evangelizzazione”.
Quella scena sulle rive del mare di Tiberiade e l'altra sulla via di Damasco, sono due modi diversi di mostrarsi della stessa chiamata. Ad ambedue viene detto: "Seguimi!". Ed essi seguono. È quel “Seguimi” che Papa Benedetto ha pronunciato varie volte, interrotto da moltissimi applausi, in Piazza San Pietro durante il funerale di Giovanni Paolo II. È il “Seguimi” che manifesta a noi tutti la forza della fede di Pietro e l'universalità del messaggio di Paolo. Il Santo Padre Francesco continua oggi a far brillare “nel firmamento della fede" la testimonianza preziosa di Pietro e Paolo.
Difficilmente si sarebbe riusciti a mettere insieme due figure più diverse, eppure la Chiesa è così, fatta di gioiosa diversità, di dilagante ricchezza: Pietro il pescatore, Paolo l'intellettuale, le due colonne su cui poggia la nostra fede. Pietro e Paolo, le colonne della fede, ci insegnino a vivere la gioia di appartenere a questa Chiesa.