Trasfigurazione 2023
«Non sapeva quel che diceva» Mc 9,5.
Grande dono è che nel cuore dell’estate questa domenica coincida con la festa della Trasfigurazione. Ironia della sorte: un 6 agosto esplose la bomba atomica su Hiroshima, un 6 agosto il Signore chiamò a sé l’animo di Paolo VI, Papa, fragile, ma possente cercatore di Dio. Tutte le Chiese d’Oriente e d’Occidente celebrano in questo giorno la solennità della Trasfigurazione del Signore. Essa fu celebrata in principio per ricordare la dedicazione di una chiesa sorta sul Monte Tabor. Denominata dall’Oriente «Pasqua di mezza estate» , questa festa ricorda Gesù trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni e che mostra la sua gloria mentre conversa con Mosè ed Elia. La Chiesa ricorda, così, il compimento in Gesù Cristo delle Sacre Scritture raffigurate da Mosè ed Elia. Festa della bellezza e della contemplazione di quel Volto in cui tutti siamo chiamati a rifletterci come in uno specchio. La luce e lo splendore di Cristo preannunciano il Regno in cui l’umanità tutta sarà resa dimora di Dio, bella come una sposa pronta per il suo sposo cfr. Ap 21,2-3.
«Non sapeva quel che diceva» annota Marco, diligente interprete di Pietro nel suo Vangelo, a proposito del grido d’amore e di felicità, che s’elevò dal cuore più che dal labro dell’Apostolo, nella contemplazione di Gesù, trasfigurato nella luce: «Signore, quanta gioia per noi star qui sempre!». Intendeva l’Evangelista, nel riportare queste parole, probabilmente udite dallo stesso Pietro, limitarsi ad indicare lo stato di stupore, di spavento, di estasi dei discepoli sul Tabor, oppure voleva farci comprendere, con la riflessione degli avvenimenti successivi, che la frase racchiudeva un più profondo significato?
«Non sapeva quel che diceva» Pietro, perché gli sfuggiva il nesso logico di quella vicina passione. Estasiato dal fulgore della faccia di Lui, splendente come il sole e delle vesti, diventate candide come la neve, Pietro non poneva mente a quanto dicevano con Gesù i due personaggi Mosè ed Elia, apparsiGli accanto. Ben lo nota San Luca: «Parlavano della sua morte», ed era morte di croce. Come poteva chiedere di rendere eterno quel momento di sublime felicità, colui che non era stato ancora socio a Gesù nella passione?
Non capiva che il gaudio della Sua gloria sarebbe stato il premio della partecipazione al Suo dolore? Non avvertiva, in quel dono di luce e di trionfo, una testimonianza, un documento, un pegno per la prossima bufera, quando «percosso il pastore, le pecorelle sarebbero state disperse?». «No, non sapeva quel che diceva».
È vero, ma chi di noi oserebbe dirgli una parola di rimprovero, chi di noi, pur nella conoscenza di quanto poi è avvenuto, cioè la passione, la morte e la risurrezione, si sarebbe comportato altrimenti?
Vedere Gesù nella Sua bellezza è gustare il Paradiso. E chi di noi, se potesse goderne per un istante, non bramerebbe che il tempo avesse a cessare? Questo insopprimibile desiderio di felicità, che portiamo sempre dentro di noi e che ci sforziamo di appagare nei piccoli frammenti di gioia che incontriamo sul nostro cammino, ci è stato posto in cuore da Lui. «Signore», diceva S. Agostino, «ci hai fatto per Te e per questo è inquieto il nostro cuore, finchè in Te non si riposi».
Purtroppo, affascinati dalle creature, dimentichi che quanto in esse vi è di bello, di buono, di vero, tutto è riflesso del Creatore. Spesso gli uomini si perdono dietro alle fallaci ed illusorie chimere di una falsa e vana felicità, illudendosi di eliminare il dolore nello stordimento del senso. Altra è la via regale che ci insegna il Vangelo: per ascendere alla felicità, bisogna camminare per i sentieri del dolore. La Redenzione non si compie sul Tabor, ma sul Golgota. Soltanto coloro che saranno stati i soci di Gesù nel portare la croce, avranno diritto di essere i Suoi soci nello splendore della gloria: «Si tamen compatimur ut et conglorificemur» Rm 8,17.
Dura condizione e in chiaro contrasto con la nostra sensibilità e con la dottrina del mondo… ma necessaria condizione, richiesta dalle esigenze di una infallibile giustizia e dalla solidarietà di una comune miseria. Sempre paterna, la Misericordia del nostro Dio viene in soccorso e ci dona a conforto momenti di vera gioia.
Beati coloro che gustano quanto è soave il Signore! Di preferenza Egli sceglie l’ora intima e raccolta della preghiera. E per un disegno d’amore, quasi sempre, agli intimi cui svela i segreti del Suo Cuore, Egli dà anche parte di quella Sua passione che durerà sino alla fine dei secoli. Ma come ai prediletti del Tabor venne imposto di mantenere il segreto, così a questi testimoni della Sua gloria e della sua passione, il silenzio è custode geloso delle divine compiacenze.
Cardinale Giovanni Urbani, 1900-1969,
Arcivescovo di Verona, 1955-1958,
Patriarca di Venezia, 1958-1969.
Colloquio Spirituale.
Ti rendiamo grazie, somma Trinità,
ti rendiamo grazie, vera unità,
ti rendiamo grazie, bontà unica,
ti rendiamo grazie, soavissima divinità.
Ti renda grazie l’uomo,
tua umile creatura e tua sublime immagine.
Ti renda grazie perché non lo abbandonasti alla morte,
ma l’ha strappato dall’abisso della perdizione
ed effondo a torrenti su di lui la tua misericordia.
Egli ti immoli il sacrificio di lode,
ti offra l’incenso della sua dedizione,
ti consacri olocausti di giubilo.
O Padre, ci hai mandato il tuo Figlio;
o Figlio, ti sei incarnato nel mondo;
o Spirito Santo, eri presente
nella Vergine che concepiva,
eri presente al fiume Giordano,
nella colomba sei oggi sul Tabor,
nella nube, Trinità intera, Dio invisibile,
tu cooperi alla salvezza degli uomini,
perché essi si riconoscano salvati
dalla tua divina potenza.
Dalle Prediche di San Tommaso da Villanova.