Preghiera e Liturgia

La Liturgia secondo Papa Benedetto

Benedetto5La Liturgia non è uno show!
Vive di ripetizioni solenni!


Dietro ai modi diversi di concepire la liturgia ci sono, come di consueto, modi diversi di concepire la Chiesa, dunque Dio e i rapporti dell’uomo con Lui. Il discorso liturgico non è marginale: è il cuore della fede cristiana! La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di «sorprese simpatiche», di «trovate accattivanti», ma di «ripetizioni solenni». Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere «fatta» da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il «successo» in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il «proprium liturgico» che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade qualcosa che noi non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è l’assolutamente Altro che, attraverso la comunità - che non ne è dunque padrona ma serva - giunge sino a noi.

Per il cattolico la Liturgia è la patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere «predeterminata», «imperturbabile», perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata «la vecchia rigidità rubricistica», accusata di togliere creatività, ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del «fai da te», banalizzandola perché l’ha resa conforme alla nostra misura. È divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all’utile. L’esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull’unica categoria del «comprensibile a tutti» non ha reso le liturgie più comprensibili, più aperte, ma solo più povere.

Liturgia «semplice» non significa misera o a buon mercato: c’è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica. Non è affatto trionfalismo la solennità del culto con cui la Chiesa esprime la bellezza di Dio, la gioia della fede, la vittoria della verità e della luce sull’errore e sulle tenebre. La ricchezza liturgica non è ricchezza di una qualche casta sacerdotale; è ricchezza di tutti, anche dei poveri, che infatti la desiderano e non se ne scandalizzano affatto. Tutta la storia della pietà popolare mostra che anche i più miseri sono sempre stati disposti istintivamente e spontaneamente a privarsi persino del necessario pur di rendere onore, con la bellezza, al loro Signore e Dio. Per un certo modernismo neo-clericale il problema della gente sarebbe il sentirsi oppressa dai «tabù sacrali». Ma questo, semmai, è il problema loro, di clericali in crisi. Il dramma dei nostri contemporanei è, al contrario, il vivere in un mondo sempre più di una profanità senza speranza. L’esigenza vera oggi non è quella di una liturgia al passo con il mondo, ma, al contrario, di un nuovo incontro con il Sacro, attraverso un culto che faccia riconoscere la presenza dell’Eterno.

La liturgia, per alcuni, sembra ridursi alla sola Eucaristia, vista quasi sotto l’unico aspetto del banchetto fraterno. Ma la Messa non è solamente un pasto tra amici, riuniti per commemorare l’Ultima Cena del Signore mediante la condivisione del pane. La Messa è il sacrificio della Chiesa, nel quale il Signore prega con noi e per noi e a noi si partecipa. È la rinnovazione sacramentale del sacrificio di Cristo: dunque, la sua efficacia salvifica si estende a tutti gli uomini, presenti e assenti, vivi e morti. Se l’Eucaristia è vissuta solo come il banchetto di una comunità di amici, chi è escluso dalla ricezione dei Sacri Doni è davvero tagliato fuori dalla fraternità. Ma se si torna alla visione completa della Messa - pasto fraterno e insieme sacrificio del Signore, che ha forza ed efficacia in sé, per chi vi si unisce nella fede - allora anche chi non mangia quel pane partecipa egualmente, nella sua misura, dei doni offerti a tutti gli altri. L’eucaristia è il nucleo centrale della nostra vita cultuale, ma perché possa esserne il centro abbisogna di un insieme completo in cui vivere.

L’Eucaristia presuppone gli altri Sacramenti e ad essi rinvia. Ma l’Eucaristia presuppone anche la preghiera in famiglia e la preghiera comunitaria extra-liturgica. Penso a due delle più ricche preghiere della cristianità, che portano sempre e di nuovo nella grande corrente eucaristica: la Via Crucis e il Rosario. Dipende anche dal fatto che abbiamo disimparato queste preghiere se noi oggi ci troviamo esposti in modo così insidioso alle lusinghe di altre pratiche religiose.

Infatti, «il Rosario porta a cullarci nel ritmo della tranquillità che ci rende docili e sereni e che dà un nome alla pace: Gesù, il frutto benedetto di Maria; Maria, che ha raccolto nel suo cuore la Parola vivente e può così diventare Madre della Parola incarnata. Maria è dunque l’ideale dell’autentica vita liturgica. È la Madre della Chiesa, anche perché ci addita il compito e la meta più alta del nostro culto: la gloria di Dio, da cui viene la salvezza degli uomini».

Sia lodato Gesù Cristo.

Joseph Card. Ratzinger, Rapporto sulla Fede, 1985.

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