Fede e Ragione secondo Papa Benedetto
Dio è «l’amor che move
il sole e l’altre stelle» Dante, Paradiso.
Cari fratelli e sorelle, mentre la teologia pagana divinizzava gli elementi e le forze del cosmo, la fede cristiana, portando a compimento la rivelazione biblica, contempla un unico Dio, Creatore e Signore dell’intero universo. È l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso in senso non poetico, ma reale. Così lo intendeva lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio «l’amor che move il sole e l’altre stelle» Paradiso, XXXIII, 145. Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore cfr. Spe salvi, 5.
Se è così, allora gli uomini – come scrive san Paolo ai Colossesi – non sono schiavi degli «elementi del cosmo» cfr. Col 2,8, ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio. Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale «Logos» - Parola-Ragione - che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la potenza della sua grazia. C’è dunque nel Cristianesimo una peculiare concezione cosmologica, che ha trovato nella filosofia e nella teologia medievali delle altissime espressioni. Essa, anche nella nostra epoca, dà segni interessanti di una nuova fioritura, grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità.
Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un «libro» – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore che si esprime mediante la «sinfonia» del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un «assolo», un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo «assolo» è Gesù, a cui corrisponde, appunto, un segno regale: l’apparire di una nuova stella nel firmamento. Gesù è paragonato dagli antichi scrittori cristiani ad un nuovo sole. Secondo le attuali conoscenze astrofisiche, noi lo dovremmo paragonare ad una stella ancora più centrale, non solo per il sistema solare, ma per l’intero universo conosciuto. In questo misterioso disegno, che ha portato alla comparsa dell’essere umano quale coronamento degli elementi del creato, è venuto al mondo Gesù: «nato da donna» Gal 4,4, come scrive San Paolo. Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera.
Nel Gesù terreno si trova il culmine della creazione e della storia, ma nel Cristo risorto si va oltre: il passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna anticipa il punto della «ricapitolazione» di tutto in Cristo cfr. Ef 1,10. Tutte le cose, infatti – scrive l’Apostolo –, «sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» Col 1,16. E proprio con la risurrezione dai morti Egli ha ottenuto «il primato su tutte le cose» Col 1,18. Lo afferma Gesù stesso apparendo ai discepoli dopo la risurrezione: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» Mt 28,18. Questa consapevolezza sostiene il cammino della Chiesa, Corpo di Cristo, lungo i sentieri della storia. Non c’è ombra, per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo. Per questo, nei credenti in Cristo, non viene mai meno la speranza, anche oggi, dinanzi alla grande crisi sociale, di valori ed economica che travaglia l’umanità, davanti all’odio e alla violenza distruttrice che non cessano di insanguinare molte regioni della terra, dinanzi all’egoismo e alla pretesa dell’uomo di ergersi come dio di se stesso, che conduce talora a pericolosi stravolgimenti del disegno divino circa la vita e la dignità dell’essere umano, circa la famiglia e l’armonia del creato. Il nostro sforzo di liberare la vita umana e il mondo dagli avvelenamenti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futuro, conserva il suo valore e il suo senso, anche se apparentemente non abbiamo successo o sembriamo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili, perchè «è la grande speranza che poggia sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire» Spe Salvi n. 35.
C’è anche una teologia che vuole soprattutto essere accademica, che vuole apparire scientifica e dimentica la realtà vitale, la presenza di Dio tra di noi, il suo parlare oggi, non solo nel passato. Già San Bonaventura, nel suo tempo, ha distinto due forme di teologia: «C’è una teologia che viene dall’arroganza della ragione e vuole dominare tutto. Fa diventare Dio da soggetto ad oggetto che noi studiamo… invece Lui è soggetto che ci parla e ci guida. C’è oggi questo abuso della teologia, che non nutre la fede, ma oscura la presenza di Dio nel mondo.
L’altro tipo di teologia, invece, vuole conoscere per «amore dell’Amato», è stimolata dall’ amore e questa è la vera teologia, che viene dall’amore di Dio, di Cristo e vuole entrare più profondamente in comunione con Cristo». Le tentazioni oggi sono grandi, si impone una visione moderna del mondo, dove tutto si ripete e questo diventa l’ultimo criterio di giudizio, che esclude totalmente la novità del Vangelo, l’irruzione di Dio, cioè la vera novità che è la gioia della nostra fede. Che cosa fare? Anzitutto direi ai teologi di avere coraggio, in modo particolare ai teologi che fanno un lavoro buono, che vivono alla luce della parola di Dio, si nutrono dalla meditazione, vivono la fede della Chiesa e vogliono aiutare perché la fede sia presente nel nostro oggi. Questi teologi io li vorrei ringraziare e vorrei dire loro: «Non abbiate paura di questo fantasma della scientificità e abbiate il coraggio di resistere all’apparente dominio della scienza e non sottomettetevi alle ipotesi del momento… ma pensate alla grande fede della Chiesa, che è presente in tutti i tempi e apre l’accesso alla verità, soprattutto anche non pensare che la ragione, che esclude il trascendente, è la vera ragione. Questa è una ragione debole, che presenta solo le cose sperimentabili. È una ragione insufficiente. Noi teologi dobbiamo usare una ragione «grande» che dimostri di essere aperti alla grandezza di Dio. Dobbiamo avere il coraggio di andare oltre il positivismo e accogliere la novità di Dio per noi e di noi con Dio. Nella Chiesa non ci sono maggioranze… noi dobbiamo orientarci ai Santi. Dobbiamo saper dare ragione della fede e della speranza che è in noi.
Sia lodato Gesù Cristo.
Stralci dall’omelia del Santo Padre Benedetto XVI,
Solennità dell’Epifania, 6 gennaio 2009.