Mese di Maggio 2022 quarta Domenica
È buona cosa portare sempre con sé
la corona benedetta del Santo Rosario.
A chi porta con sé la corona del Santo Rosario e, molto più, a chi lo recita, vengono accordate tre grazie: primo, una devozione verso Dio sempre crescente; secondo, la difesa dai nemici visibili e invisibili; terzo, si è presentati davanti a Dio dalla Beata Vergine Maria. Queste tre grazie sono menzionate esplicitamente nella preghiera dell’Ordine dei Predicatori per la benedizione delle corone del Santo Rosario. Nel testo si legge che il Sacerdote le benedice chiedendo a Dio di «infondere in esse una forza così grande dello Spirito Santo affinché chiunque le porta con sé, o le tenga devotamente in casa, e preghi con esse contemplando i divini misteri cresca sempre più in un salutare e perseverante trasporto o devozione; sia liberato sempre e dovunque nella vita presente da ogni nemico visibile e invisibile e meriti di essere presentato a Dio pieno di buone opere dalla stessa beatissima Vergine Maria, sua Madre». È buona cosa dunque portare sempre con sé la corona benedetta del Santo Rosario. È facile e quasi immediato passare dal trovarla nella propria tasca alla sua recita. Se portata con devozione e, soprattutto, se recitata, reca a noi la protezione di Maria da ogni avversità.
La grazia più preziosa poi consiste nell’essere presentati da Lei stessa a Dio nel giorno del giudizio. Ci farà da Avvocata. Dirà all’eterno Padre che abbiamo sempre portato con noi un segno tangibile del suo affetto e della sua protezione. Chissà se era questo il motivo per cui Pier Giorgio Frassati la portava sempre con sé e ne faceva dono agli amici? Regalare agli amici una corona del Rosario perché la portino sempre con sé, è un singolare modo di voler loro, anzi, di dare loro un bene molto grande, per il quale ci saranno eternamente riconoscenti.
Recitando il Santo Rosario noi tocchiamo il mantello del Signore.
Il Vangelo ricorda quella donna che da tanti anni subiva perdite di sangue e ricorreva a tanti medici per guarire. Nella contemplazione dei misteri del Rosario Cristo passa accanto alla nostra vita e intende comunicarci la grazia legata agli eventi della sua vita. Non appena cominciamo a contemplare i misteri recitando il Pater e le Ave Maria, noi tocchiamo in qualche modo l’orlo del mantello del Signore e da lui esce una virtù che sana tutti Lc 6,19.
Nel mistero in cui contempliamo Maria che visita la cugina Elisabetta, il Signore desidera comunicarci l’esultanza che ha comunicato a Giovanni Battista, l’ardore della carità che ha messo nel cuore di Maria sua Madre… Nel mistero in cui contempliamo la morte del Signore, egli viene per rinnovare i prodigi compiuti sul Calvario: abbiamo bisogno anche noi che tanti cuori duri come rocce si spezzino, che tanti morti entrino in paradiso, che tante persone comincino a battersi il petto come il centurione e i soldati.
Il Santo Rosario attira la protezione degli Angeli e allontana l'influsso dei demoni.
Come la divina liturgia impegna direttamente gli angeli e allontana l’influsso dei demoni, così analogamente fa il Rosario. Nei misteri gaudiosi è un angelo che porta alla Vergine l’annunzio dell’Incarnazione del Verbo. Un altro angelo manifesta ai pastori la nascita del Salvatore. Ad esso fa seguito l’esercito celeste che irrompe sulla terra per cantare l’inno di gloria. Nei misteri dolorosi un angelo conforta Gesù nella sua lotta nell’orto degli olivi. Nei misteri gloriosi gli angeli in abito sfolgorante custodiscono il sepolcro, fanno da corteo a Cristo che sale in cielo come su un carro di trionfo e inneggiano alla Madre di Dio, che si leva dalla terra al cielo come splendente aurora che sorge.
Nel Padre nostro si fa cenno agli angeli quando si dice: «sia fatta la tua volontà come in cielo…». L’Ave Maria è il saluto dell’Angelo. La gioia immensa che si destò negli angeli quando si compì il grande mistero dell’incarnazione di Dio si rinnova negli spiriti celesti ogni volta che viene onorata la loro e la nostra Regina. Il Gloria è l’eco del canto di adorazione e di lode che le schiere celesti presentano continuamente a Dio. Questa presenza degli angeli non è solo coreografica, ma attiva. Essi prolungano nella nostra vita quanto hanno fatto nella vita di Gesù e di Maria.
Il Rosario è, poi, una preghiera e un’azione potente contro i demoni. È stato detto giustamente che la recita del Rosaio è come continuare la sconfitta di Satana schiacciato dal piede della Vergine, allontanato dalla presenza salvatrice di Cristo operante nei suoi misteri. La recita del Pater rammenta quel cielo dal quale Satana cadde come folgore. L’Ave Maria glorifica e rende operante Colei sulla quale il demonio non può nulla, e dinanzi alla quale fugge via svergognato. Il Gloria al Padre è una ferita all’orgoglio sconfinato dell’inferno, è come un colpo mortale al suo cuore. Aveva ragione don Bosco a definire il Rosario «la bancarotta del diavolo».
Nel Santo Rosario si sperimenta la protezione e il conforto di Maria.
Giovanni Paolo II ricorda che pregando con il Rosario «diventa naturale portare a questo incontro con la santa umanità del Redentore i tanti problemi, assilli, fatiche e progetti che segnano la nostra vita. “Getta sul Signore il tuo affanno, ed egli ti darà sostegno” Sal 55,23. Meditare col Rosario significa consegnare i nostri affanni ai cuori di Cristo e della Madre sua» Rosarium Virginis Mariae, 15. E riferisce la sua personale esperienza: «Fin dai miei anni giovanili questa preghiera ha avuto un posto importante nella mia vita spirituale.
Il Rosario mi ha accompagnato nei momenti della gioia e in quelli della prova. Ad esso ho consegnato tante preoccupazioni, in esso ho trovato sempre conforto» Rosarium Virginis Mariae, 2.
«Ripensando alle prove che non sono mancate nemmeno nell’esercizio del ministero petrino, mi sento di ribadire, quasi come un caldo invito rivolto a tutti perché ne facciano personale esperienza: sì, davvero il Rosario “batte il ritmo della vita umana”, per armonizzarla col ritmo della vita divina, nella gioiosa comunione della Santa Trinità, destino e anelito della nostra esistenza» Rosarium Virginis Mariae, 15.
Questa testimonianza è in linea con quella di tutti quelli che recitano devotamente il Rosario. Papa Paolo V dice che il Rosario è l’erario delle grazie. San Vincenzo de’ Paoli afferma che «dopo la Messa, la devozione al Rosario ha fatto scendere nelle anime più grazie che tutte le altre devozioni, e con le sue Ave Maria compie più miracoli di ogni altra preghiera». S. Bernardino da Siena afferma: «Ogni grazia passa per tre ordini successivi. Da Dio viene comunicata a Cristo, da Cristo alla Vergine e dalla Vergine a noi”. E noi nella recita del Rosario passiamo per tutti tre i gradini di questa scala; ma più a lungo ci tratteniamo sull’ultimo, ripetendo per dieci volte l’Ave Maria. Se ripetiamo tante volte lo stesso saluto a Maria, è perché la nostra preghiera venga rafforzata dalla fiducia che sorge in noi pensando che Maria, più che pregare per noi, prega in nostro nome. Le nostre voci saranno più gradite ed efficaci al cospetto di Dio se saranno appoggiate dalle preghiere della Vergine. Il Rosario commuove Maria in nostro favore. Muove a pietà verso di noi il cuore della Vergine».
La tradizione attribuisce a San Domenico la preghiera del Santo Rosario.
Ai tempi di San Domenico (siamo all’inizio del secolo XIII) era abbastanza diffuso il metodo di pregare con una cordicella, con 150 nodi. Era un metodo per contare i tanti Pater noster o Ave Maria che molte persone recitavano. Questa cordicella veniva chiamata Paternoster. Se si recitavano 150 Ave Maria, questo modo di pregare veniva indicato anche come Salterio mariano, in analogia col Salterio di Davide, composto di 150 Salmi. Sappiamo che già i domenicani della prima generazione tenevano con sé questa cordicella. Lo testimonia il capitolo della provincia romana del 1261, che chiedeva di non usare i «Paternoster» in ambra o in corallo, ma di accontentarsi di cordicelle meno preziose. Anche San Domenico conosceva questo modo di pregare, di «recitare ogni giorno, ovunque si trovasse, il corrispondente delle ore canoniche, cioè dicesse sette volte al giorno una decina di Pater noster, a mezzanotte venti Pater Noster».
«I contemporanei di S. Domenico ed i primi scrittori domenicani non fanno riferimento al Rosario tra le devozioni dell’ordine perché a quell’epoca il Rosario non era una devozione, ma era uno speciale metodo di predicazione. In un momento di abbattimento S. Domenico, ispirato dalla SS. Vergine, inaugurò un nuovo metodo di predicazione: incominciò cioè ad esporre al popolo i misteri della fede uno ad uno; e perché la sua parola fosse più facilmente da Dio benedetta, introdusse l’uso di interrompere la predicazione con la recita del Pater Noster e dell’Ave Maria, così la spiegazione di ciascun mistero era intercalata dalla preghiera. Il Rosario non sarebbe stato dunque in origine che un nuovo genere di predicazione. Questo metodo di predicazione si trasformò in una formula di preghiera».
Quando San Domenico predicava agli Albigesi, all’inizio non ottenne che scarsi risultati. Un giorno, se ne lamentava con la SS. Vergine, mentre devotamente pregava. Essa allora gli rispose: «Non meravigliarti se fino ad ora hai ottenuto così poco frutto dalle tue fatiche, perché hai seminato in un terreno sterile, ma non ancora bagnato dalla rugiada della divina Grazia. Quando Dio volle rinnovare la faccia della terra, cominciò col mandare su di essa l’acqua fecondatrice. Predica il mio Salterio, composto di 150 salutazioni angeliche e di 15 Pater Noster, ed otterrai così una messe abbondante». Da quel momento il servo di Dio cominciò a predicare questa devozione, la fece conoscere al popolo e ottenne la conversione di moltissime anime.
La preghiera di San Domenico.
Il domenicano Bartolomeo da Trento segnala l’usanza, vigente già al suo tempo, di recitare, per ben tre volte, 50 Ave Maria in onore della Beata Vergine. Stefano di Borbone, scrittore assai apprezzato dagli studiosi del Medioevo, scrive: «Perché si deve salutare e lodare la Beata Vergine», portando dieci ragioni a sostegno della pia pratica. Ricorda che molti del suo tempo coltivavano la devozione di recitare la salutazione angelica per cento o per cinquanta volte al giorno… e taluni anche per mille volte! Ecco qui la pratica di quello che in seguito sarà chiamato: «Il Santo Rosario»: si tiene in mano una cordicella per contare le Ave Maria, si medita e si recita la preghiera.
Il vero devoto della Beata Vergine deve ripetere spesso e con filiale fiducia il dolcissimo saluto «Ave Maria» persuaso che non si può offrire alla celeste Madre una lode a lei più gradita.
Un testimone del Santo Rosario: il Beato Alain de la Roche (Alano della Rupe).
Alain de la Roche 1428-1475 fu un domenicano bretone (Francia settentrionale), della congregazione riformata di Olanda. Nel 1463 prese coscienza della sua missione rosariana, disse di aver avuto per rivelazione la missione di predicare e propagare il Rosario. Da allora la sua predicazione e i suoi scritti non ebbero altro scopo che far conoscere questa forma di preghiera. Alano preferì il termine «Salterio» a quello di «Rosario» per definire il suo metodo di preghiera. Consisteva nella recita di 150 Ave Maria, divise in gruppi di 10, intercalati da un Pater noster. A ogni Ave Maria egli aggiungeva un pensiero sui principali misteri della fede, che commentava con una breve predica. La contemplazione dei misteri relativi alla vita, passione, glorificazione di Gesù era la cosa che maggiormente gli interessava. Alano creò anche alcune confraternite che riunivano i devoti del Salterio. La prima fu la «Confraternita del Salterio di Gesù e Maria». Nello statuto si legge che i confratelli si impegnavano a recitare l’intero salterio, a confessarsi e a comunicarsi al momento dell’iscrizione e almeno tre volte all’anno. Ogni iscritto partecipava ai meriti ed ai benefici delle preghiere di tutti. Il «Salterio di Gesù e di Maria» fu presto accettato dalla congregazione riformata dei domenicani di Olanda. La congregazione lo impose ai suoi frati come preghiera di suffragio da recitarsi per i vivi e per i defunti. Alano è venerato, a furor di popolo, con il titolo di beato (9 settembre).
San Pio V e il Santo Rosario.
Papa Pio V 1504-1572, uomo di orazione, di studio e di dottrina, di grande zelo personale, guidò la Chiesa nel periodo post tridentino tenendo in una mano, come qualcuno ha detto, i decreti del Concilio di Trento e nell’altra il Rosario. Pubblicò il catechismo, il breviario e il messale voluti dal Concilio. Il 17 settembre 1569 emanò la bolla «Consueverunt romani pontifices», considerata la «magna charta del Rosario». Vi si descrive l’origine del Rosario, il nome, gli elementi essenziali, gli effetti, la finalità e il modo di propagarlo. In particolare, in questa bolla il Papa aggiunge la seconda parte dell’Ave Maria. È il saluto e l’invocazione della Chiesa che si aggiunge al saluto del Cielo. In questo documento il Pontefice dichiara, per la prima volta, che per lucrare le indulgenze del Rosario è indispensabile la meditazione dei misteri, che gli fissa in quindici. In alcune forme precedenti si presentavano 50 eventi della vita di Cristo.
Legata a San Pio V è anche la straordinaria vittoria di Lepanto, che impedì all’impero ottomano, che dominava tutto il Mediterraneo, di penetrare in Europa. Il 7 ottobre 1571, che in quell’anno cadeva di domenica, le forze cattoliche unite vinsero a Lepanto (Grecia) contro i turchi una dura battaglia navale, decisiva per le sorti di tutto l’Occidente. Subito si diffuse la convinzione che la vittoria fosse da attribuire ai tanti Rosari recitati per quell’evento e quindi alla speciale intercessione di Maria, Regina del Rosario.
S. Pio V con la bolla «Salvatoris Domini» del 5 marzo 1572 suffragò tale convincimento affermando che «per i meriti e l’intercessione della sempre Vergine Madre di Dio è stata ottenuta la vittoria contro i turchi». Fece scrivere sotto una pittura rappresentante la battaglia di Lepanto: «Non virtus, non arma, non duces, sed Maria rosarii victores nos fecit» -Non la forza, non le armi, non i capitani, ma la Madonna del Rosario ci ha resi vittoriosi.
Il Beato Bartolo Longo apostolo del Santo Rosario.
Bartolo Longo, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1980, è un esempio di devozione alla beata Vergine del Rosario.
Fu certamente uno strumento della divina Provvidenza per l’esaltazione di Maria in un periodo di scetticismo e di anticlericalismo. Ricondotto alla fede fu accolto nel terz’Ordine domenicano il 7 ottobre 1871 col nome di fra’ Rosario e dedicò la propria esistenza alla devozione del santo Rosario e all’assistenza dei poveri. In una piccola chiesa Bartolo Longo espose alla venerazione dei fedeli una immagine della Madonna del Rosario. Qui volle erigere nel 1876 quel famoso Santuario dedicato alla Vergine del Rosario, ormai noto in tutto il mondo. L’Ordine domenicano per lui è soprattutto «l’Ordine del Rosario di Maria». Per alimentare la pietà mariana e diffondere la devozione al santo Rosario, scrive «I quindici Sabati in onore della Vergine del Rosario» (1877) e nel 1894 dà inizio alla pubblicazione del periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei». Collabora poi alla stesura della Supplica, divenuta famosa in tutto il mondo e che tanto ha contribuito a far amare il Rosario. Nel suo testamento scrive: «Voglio morire da vero terziario domenicano, nel Cuore sacratissimo di Gesù, tra le braccia della madre mia santissima, la Regina del Rosario. Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. Chi propaga il Rosario è salvo!».
La corona del Santo Rosario e le indulgenze.
Merita una riflessione anche lo strumento che viene usato per recitare il Rosario. Dice Giovanni Paolo II: «Strumento tradizionale per la recita del Rosario è la corona. Nella pratica più superficiale, essa finisce per essere spesso un semplice strumento di conteggio per registrare il succedersi delle Ave Maria. Ma essa si presta anche ad esprimere un simbolismo, che può dare ulteriore spessore alla contemplazione. A tal proposito, la prima cosa da notare è come la corona converga verso il Crocifisso, che apre così e chiude il cammino stesso dell’orazione.
In Cristo è centrata la vita e la preghiera dei credenti. Tutto parte da Lui, tutto tende a Lui, tutto, mediante Lui, nello Spirito Santo, giunge al Padre.
In quanto strumento di conteggio, che scandisce l’avanzare della preghiera, la corona evoca l’incessante cammino della contemplazione e della perfezione cristiana. Il beato Bartolo Longo la vedeva anche come una ‘catena’ che ci lega a Dio. Catena, sì, ma catena dolce; tale sempre si rivela il rapporto con un Dio che è Padre. Catena filiale, che ci pone in sintonia con Maria, la «serva del Signore» e, in definitiva, con Cristo stesso, che, pur essendo Dio, si fece servo per amore nostro Fil 2,7. Bello è anche estendere il significato simbolico della corona al nostro rapporto reciproco, ricordando con essa il vincolo di comunione e di fraternità che tutti ci lega in Cristo» Rosarium Virginis Mariae, 36.
Giova infine ricordare che la Chiesa ci tiene così tanto a questa preghiera che nel corso del tempo ha voluto arricchirla di tante indulgenze. «La recita è poi conclusa con la preghiera secondo le intenzioni del Papa, per allargare lo sguardo di chi prega sull’ampio orizzonte delle necessità ecclesiali. È proprio per incoraggiare questa proiezione ecclesiale del Rosario che la Chiesa ha voluto arricchirlo di sante indulgenze per chi lo recita con le debite disposizioni. In effetti, se vissuto così, il Rosario diventa veramente un percorso spirituale, in cui Maria si fa madre, maestra, guida, e sostiene il fedele con la sua intercessione potente.
Come stupirsi se l’animo sente il bisogno, alla fine di questa preghiera, in cui ha fatto intima esperienza della maternità di Maria, di sciogliersi nelle lodi per la Vergine Santa, sia nella splendida preghiera della Salve Regina, che in quella delle Litanie lauretane? È il coronamento di un cammino interiore, che ha portato il fedele a contatto vivo con il mistero di Cristo e della sua Madre Santissima» Rosarium Virginis Mariae, 37.
Viene concessa l’indulgenza plenaria recitando il Rosario in chiesa o pubblico oratorio, oppure in famiglia, in una Comunità religiosa, in una Pia Associazione.
Padre Angelo Bellon op.
Sia lodato Gesù Cristo.