Morì e fu sepolto
«Il Cristo va verso la morte
con sovrana libertà e con decisa volontà» P. Livio Fanzaga.
La morte in croce realizza quindi il piano divino di salvezza. Salvezza da che cosa? Non si può comprendere il mistero Pasquale della morte e della Risurrezione di Gesù Cristo se non alla luce dell’intera storia dell’umanità, a incominciare dalla catastrofe delle origini. Nessuna religione ha messo in luce la condizione di perdizione in cui si trova il genere umano come lo ha fatto il cristianesimo.
La sofferenza e la morte sono soltanto le spie esteriori di un male assai più grande e più profondo, che si chiama peccato. Esso è separazione da Dio e da tutto ciò che proviene da Lui: la verità, la bontà, la bellezza, la felicità e soprattutto l’amore. L’uomo, dopo il peccato originale, si trova in una situazione di perdizione e senza la speranza della vita eterna. La sua storia è un precipitare inarrestabile lungo gli abissi tenebrosi della miseria morale. Il peccato, come un fiume in piena, avanza con una furia inarrestabile e travolgente. Da dove potrà venire la salvezza? Non potrà certo venire dagli uomini, fuscelli sbattuti dal vento, in balia di una forza maligna più potente di loro. La salvezza viene da Dio, che si è fatto uomo, assumendo la nostra condizione umana di sofferenza e di morte. Dio ha salvato l’uomo facendosi uomo. Questo è il cuore del cristianesimo. Cristo Risorto è l’esistenza umana salvata, alla quale ogni uomo è chiamato a partecipare: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» 1Gv 4,10. È lecito chiedersi perché mai sia stata necessaria la morte di Gesù in croce per redimere il genere umano dal peccato. Qui siamo dinanzi a un mistero profondo sul quale non si finirà mai di meditare. Per quanto sia stato scritto e detto, non si potrà mai esaurire il significato infinito della Croce. In essa possiamo contemplare tutto il mistero della bontà di Dio e della miseria dell’uomo. Chi è Dio e chi è l’uomo lo vediamo nell’icona della Croce. Gesù crocifisso è il simbolo vivente della nostra esistenza segnata dalla sofferenza, dal male e dalla morte. Ogni uomo nasce crocifisso. La croce è la chiave di lettura della nostra vita che è una notte oscura e angosciosa, senza la speranza dell’alba. Il Figlio di Dio crocifisso testimonia che l’Amore non ha lasciato l’uomo alla sua sorte di perdizione. Dio non ci ha abbandonato. Ha assunto e fatta sua la nostra vita crocifissa. L’ha riscattata, l’ha liberata e l’ha ricolmata di speranza. Gesù, con la sua passione e morte ha annientato la radice del peccato. L’ha fatto con la sua umiltà e con la sua obbedienza, con la sua pazienza e la sua sopportazione, col suo perdono e con il suo amore, con la sua preghiera e con la sua pace. Lui solo ha offerto al Padre quanto era necessario per estirpare la radice del peccato e per riparare tutto il male del mondo, dal primo all’ultimo uomo. Dal suo cuore trafitto zampillano i fiumi di grazia che purificano tutti coloro che vi si accostano, riscattando dalla schiavitù di morte e di disperazione la loro vita e facendo di loro delle nuove creature. La croce, dunque, è un segno dai molteplici e profondissimi significati. È un dono di Dio della cui grandezza e importanza non siamo pienamente consapevoli. Ci fa decifrare nel giusto modo la vita che ci è data da vivere, dove la croce ha la forma stessa della nostra persona. Ci manifesta l’Amore che ha inviato il Figlio per togliere dalle nostre spalle la maledizione del legno Gal 3,14. Infatti, senza la benedizione che ci viene da Cristo che cosa sarebbe l’avventura umana? È soprattutto la fonte della nostra salvezza, perché la croce, su cui è appeso il Verbo incarnato, annulla la nostra separazione da Dio e ci offre la sua grazia, il suo perdono, la sua pace e la speranza della vita eterna.
Gesù risponde al progetto di Dio.
I Vangeli mostrano come nelle sue parole e nelle sue opere Gesù fosse consapevole di adempiere la missione divina di salvezza che il Padre gli ha affidato. Tutta la vita di Gesù è una «missione» che egli realizza con somma perfezione. Egli la conosce fin dal principio e, giorno dopo giorno, istante dopo istante, la adempie come un compito di amore supremo verso il Padre e verso la moltitudine degli uomini. Gesù ha l’intima e immediata comprensione del piano divino e lo realizza sino alla fine. In nessuna parte dei Vangeli appare che Gesù, nella sua umanità, abbia avuto momenti di smarrimento, o di debolezza, o di ripensamento, come accade anche ai migliori degli uomini. Tutta la sua vita è l’adempimento libero e consapevole della volontà del Padre.
Questa sinfonia di amore va dal momento del suo concepimento fino al grido supremo del Calvario Lc 23,46. Anche la vita nascosta a Nazareth è un tempo nel quale il Figlio di Dio fatto uomo realizza il piano divino della redenzione, adempiendo la volontà del Padre del Cielo. «Dal primo istante della sua incarnazione, il Figlio abbraccia nella sua missione il disegno divino di salvezza» CCC 606. La volontà umana di Gesù è unita alla volontà divina, divenendo causa di salvezza, fin dal primo istante in cui il Verbo si è fatto carne nel grembo della Vergine Maria: «Entrando nel mondo dice… Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà… Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» Eb 10,5.7.10. Ogni istante dell’esistenza terrena di Gesù è stato un evento di salvezza per l’adesione totale della sua volontà al progetto della redenzione. «Questo desiderio di abbracciare il disegno del Padre suo anima tutta la vita di Gesù perché la sua passione è la ragion d’essere della sua incarnazione» CCC 607.
Egli sa quale sarà l’esito finale della sua esistenza, al quale va incontro senza esitazioni, preoccupandosi solo di percorrere quella strada che il Padre gli indica passo dopo passo. Gesù conosce l’ora in cui la sua missione avrà il compimento supremo, ma, lungi dal temerla, va incontro ad essa col desiderio ardente di un amore coraggioso e risoluto: «Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!» Gv 12,27. «Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?» Gv 18,11. Il cibo di cui il figlio di Dio si nutre in tutto il tempo della sua missione terrena è quello di fare la volontà di colui che lo ha mandato e di compiere la sua opera Gv 4,34. Di quale opera si tratta? Gesù non solo vive la sua vita come adempimento di una missione divina, ma ha nel medesimo tempo la piena consapevolezza del fine da raggiungere. Egli sa di essere l’Agnello di Dio col cui sacrificio toglie i peccati del mondo Gv 12,9. Adempie perciò la sua missione come il Servo sofferente che porta il peccato delle moltitudini e che, per la loro redenzione, si lascia condurre docilmente al macello Is 53,7. Gesù non si stanca di ripetere i suoi discepoli, poco disposti a sentire e a capire: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» Mc 10,45. Gesù ha accolto nel suo cuore l’amore del Padre per tutti gli uomini e non ha esitato a dare la propria vita per loro. «Così nella sofferenza e nella morte la sua umanità è divenuta lo strumento libero e perfetto del suo amore divino che vuole la salvezza degli uomini. Infatti, egli ha liberamente accettato la sua passione e la sua morte per amore del Padre suo e degli uomini che il Padre vuole salvare» CCC 609. Il Cristo va verso la morte con sovrana libertà e con decisa volontà. Il suo amore e la sua obbedienza hanno redento il mondo.
Nell'Ultima Cena Gesù dona la sua vita.
Tutta la vita di Gesù è un sacrificio di salvezza e ogni istante della sua esistenza ha un valore di salvezza universale. Tuttavia il disegno del Padre prevedeva la morte in croce, che Gesù ha più volte preannunciato ai suoi apostoli e alla quale è andato incontro all’ora stabilità fin dall’eternità. Proprio nell’imminenza del sacrificio supremo egli ha ribadito la sua volontaria adesione alla volontà del Padre durante l’Ultima Cena e l’agonia del Getsemani. Sono due momenti solenni dai quali emerge in modo straordinario l’offerta incondizionata che Gesù ha fatto della sua vita. La cena pasquale, che Gesù ha consumato con i suoi apostoli, è divenuta il memoriale del dono di sé che ha fatto al Padre per la salvezza degli uomini. È stata una vera e propria anticipazione del sacrificio della croce che Gesù ha voluto consumare con i suoi apostoli, che poi sarebbero stati travolti dalla forza del potere delle tenebre. «Questo è il mio corpo che è dato per voi» Lc 22,19. «Questo è il mio sangue dell’Alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» Mt 26,28. Le espressioni usate da Gesù: «dato» e «versato» indicano lo spirito da cui è animata tutta la passione, la quale non è stata subita da Gesù, ma è stata accolta con amore perfetto dalla divina volontà, al fine di salvare il genere umano. L’agonia del Getsemani mette in luce che anche Gesù ha dovuto vincere la naturale riluttanza della natura umana nei confronti della morte, essendo l’uomo stato creato per l’immortalità. Ma proprio per questo l’accettazione volontaria del calice di dolore che il Padre gli offre ha un valore ancora più grande.
L’orrore per la morte che Gesù ha sperimentato è espresso con parole drammatiche: «Padre mio, se è possibile passi da me questo calice Mt 26,39.
La natura umana di Gesù, «a differenza della nostra, è perfettamente esente dal peccato che causa la morte; ma soprattutto è assunta dalla Persona divina dell’autore della vita e del vivente. Accettando nella sua volontà umana che sia fatta la volontà del Padre, Gesù accetta la sua morte in quanto redentrice, “per portare i nostri peccati nel suo corpo sul legno della Croce” 1Pt 2,24» CCC 612. La santa umanità di Cristo, esente dal peccato, era anche esente dalla sofferenza e dalla morte. Gesù ne ha voluto fare l’esperienza per liberare la vita umana da questa maledizione.
La morte di Gesù salva il mondo.
Essendo la morte di Gesù Cristo l’adempimento della volontà del Padre e il dono della propria vita per la salvezza degli uomini, essa è un vero e proprio sacrificio, il cui effetto è di riconciliare l’umanità con Dio, mediante il sangue versato in remissione dei peccati. Con la sua morte in croce Gesù realizza il vero sacrificio pasquale, in quanto è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo Gv 1,29 e nel medesimo tempo celebra nella sua Persona il sacrificio perenne della nuova Alleanza. «Questo sacrificio di Cristo è unico: compie e supera tutti i sacrifici. È anzitutto un dono di Dio che consegna il Figlio per riconciliare noi con Lui. Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo, che, liberamente e per amore, offre la propria vita al Padre suo e nello Spirito Santo per riparare la nostra disobbedienza» CCC 614. Il sacrificio della croce è l’epifania dell’amore trinitario che si manifesta al mondo e lo salva con la risposta generosa e incondizionata che viene data dal Verbo fatto carne. Egli, col suo cuore di uomo, con la sua umile obbedienza e con il suo amore sconfinato, ripara l’orgoglio, la ribellione, l’indifferenza e l’egoismo che alimentano il peccato del mondo e di ogni singolo uomo.
«Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» Rm 5,19. La santità che Gesù ha espresso nella sua umanità in tutta la sua vita, e specialmente durante la sua passione e morte in croce, ha riparato la cattiveria di tutti gli uomini di tutti i tempi, a partire da Adamo sino alla fine del mondo. La pienezza di grazia del Cristo è infinitamente superiore alla forza distruttiva del peccato. La sua umiltà è più grande di ogni orgoglio, la sua obbedienza di ogni ribellione, il suo amore di ogni disamore, la sua luce di verità di ogni menzogna. «Gesù ha riparato per i nostri errori e ha dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati» CCC 615. Non bisogna rappresentarsi Dio come qualcuno che vuole il sangue del Figlio per soddisfare la sua esigenza di giustizia. È il Padre infatti che dona il Figlio per amore 1Gv 4,10, ed è il Figlio che accetta la croce per amore Gv 15,13. La giustizia divina però esige che il male sia vinto e cancellato dal bene. Questo l’uomo non era in grado di farlo. L’iniziativa divina era dunque necessaria perché gli uomini fossero salvati. Dall’abisso della loro miseria, infatti, non avrebbero mai potuto risalire da soli. «È l’amore sino alla fine che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo. Egli ci ha tutti conosciuti e amati nell’offerta della sua vita. Nessun uomo, neppure il più santo era in grado di prendere su di sé i peccati di tutti gli uomini e di offrirsi in sacrificio per tutti» CCC 616. L’uomo non può salvare. Solo Dio, nel suo infinito amore, può riscattare la condizione di perdizione in cui ognuno nasce. Se Gesù Cristo non fosse il Figlio di Dio fatto uomo, la nostra fede nella salvezza sarebbe un’illusione. Essa invece è un’esperienza di grazia reale e vissuta perché Cristo è vivo nello splendore della sua divinità ed è la fonte di vita eterna per ogni uomo. È però necessaria la nostra partecipazione, prendendo sulle spalle la nostra croce e seguendolo lungo la via che egli ci ha tracciato.
Il mistero della sepoltura di Cristo.
La sepoltura di Gesù non è un’appendice minore del dramma della redenzione, ma costituisce un vero e proprio mistero di salvezza. È il mistero del Sabato Santo «in cui Cristo deposto nel sepolcro manifesta il grande riposo sabbatico di Dio dopo il compimento della salvezza degli uomini che mette in pace l’universo intero» CCC 624. Il mistero del Sabato Santo è nello stesso tempo mistero di morte e di vita. La morte è la separazione dell’anima dal corpo, con la quale è posta fine all’esistenza umana sulla terra. In questo senso Gesù è realmente morto. Tuttavia il suo corpo è rimasto unito alla divinità e, diversamente dal nostro, non è rimasto in potere della morte At 2,24 ma è stato preservato «per virtù divina» dalla corruzione. Il terzo giorno, infatti, Gesù è risuscitato dai morti. Pur essendo stato eliminato dalla terra dei viventi Is 53,8, Dio non ha permesso che il suo Santo vedesse la corruzione At 2,27. Il mistero della sepoltura di Gesù e quello della Risurrezione sono diventati il simbolo del battesimo cristiano. L’immersione significa la discesa nella tomba del cristiano che muore al peccato con Cristo in vista di una vita nuova nello Spirito, secondo l’insegnamento di San Paolo: «Per mezzo del Battesimo siamo stati dunque sepolti insieme a lui nella morte, perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» Rm 6,4.
Sia lodato Gesù Cristo.
ATTO DI FEDE.
Mio Dio,
perché sei verità infallibile,
credo fermamente tutto quello che tu hai rivelato
e la santa Chiesa ci propone a credere.
Ed espressamente credo in te,
unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte,
Padre, Figlio e Spirito Santo.
E credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio,
incarnato e morto per noi,
il quale darà a ciascuno, secondo i meriti,
il premio o la pena eterna.
Conforme a questa fede voglio sempre vivere.
Signore, accresci la mia fede.