Preghiera e Liturgia

Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso

GesPilatoChi crede si salva, chi non crede si perde.
«Tu, che sei uomo, ti fai Dio» Gv 10,33.


Nel Simbolo apostolico troviamo una successione incalzante di verbi storici per descrivere l’evento culminante e decisivo dell’esperienza storica di Gesù: fu concepito, nacque, patì, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte, salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Il catecumeno che riceve nella tradizione questo Simbolo della fede riconosce nella passione di Cristo il centro della fede, l’evento decisivo della salvezza. È importante che venga nominato Ponzio Pilato, non per altro motivo che per la datazione e la localizzazione. Non «patì» genericamente, ma «patì sotto Ponzio Pilato»...

quel «sotto» è una espressione tipicamente romana per indicare: al tempo in cui comandava il tale, nel luogo in cui era governatore Ponzio Pilato. Quindi questo riferimento precisa la Giudea e il decennio fra il 26 e il 36; è un modo per sottolineare il fatto storico.

Una parte rilevante dei Vangeli è dedicata alla passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Sono gli eventi del mistero pasquale nei quali si è realizzata la salvezza del mondo. Infatti, se l’opera della redenzione operata dal Figlio di Dio ha avuto inizio con l’incarnazione, il suo culmine è costituito dall’ignominia della croce e dalla gloria della Pasqua. Se la fede cerca di comprendere, per quanto è possibile, perché Dio si sia fatto uomo, ancor più si interroga sul perché della croce. Sotto il profilo storico è lecito chiedersi come sia potuto accadere che un uomo come Gesù Cristo, mirabile per sapienza, per santità di vita e per ricchezza di umanità, sia stato condannato a morte come un malfattore.
Nell’ottica della fede è inevitabile domandarsi perché mai il piano divino della redenzione abbia previsto tanta umiliazione e tanta sofferenza. Non era possibile redimere l’uomo per una via meno aspra di quella del Calvario? La riflessione sulla condanna a morte di Gesù ci porta al cuore del messaggio cristiano. Gesù è il Figlio di Dio che si è fatto uomo per salvarci. Nei suoi tre anni di vita pubblica egli ha manifestato in vari modi, con gesti e con parole, il mistero divino della sua Persona e della sua missione. Non solo le autorità religiose, ma anche il popolo è stato messo di fronte a una decisione che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Non è mancata l’adesione della fede di una parte del popolo ebraico, che ha dato origine alla Chiesa di Gerusalemme, madre di tutte le Chiese. Ma non sono mancati il rifiuto e la strenua opposizione di coloro che hanno voluto la morte di Gesù. Il capo inequivocabile di accusa, per il quale Gesù è stato ucciso, è quello di essersi messo alla pari di Dio, identificandosi con Lui, pur essendo un uomo.
La luce della fede mostra come attraverso una vicenda umana e storica, dove ognuno ha agito liberamente, portandone la responsabilità, si è realizzato il piano divino della Redenzione. Esso prevedeva la croce come momento estremo di umiliazione e di sofferenza, affinché tutto il peccato del mondo fosse espiato e tutto il dolore fosse redento. Gesù ha accolto e fatta sua la volontà del Padre, portando sulle sue spalle i peccati di tutti gli uomini. Con la sua umiltà, la sua obbedienza, e il suo amore ha riparato il male di tutti gli uomini di tutti i tempi. Dalla croce vengono il perdono e la pace, la vita e la gioia come doni di Dio, mai più revocabili. Dal cuore trafitto del Crocifisso sgorgano l’acqua e il sangue della grazia divina, unica medicina capace di guarire l’uomo e di saziare la sua fame di beatitudine eterna.

La vicenda pubblica di Gesù si è svolta in un arco di tempo di circa tre anni e si caratterizza per la sua brevità rispetto ai trent’anni anni della vita nascosta di Nazareth, dove ha trascorso un’esistenza senza apparente grandezza, condividendo la condizione umile e laboriosa di tutti gli uomini. Tuttavia la sua morte violenta non è affatto un evento occasionale e inaspettato, ma la realizzazione di un disegno divino di salvezza che fa della vita del Redentore un’opera perfettamente compiuta. per questo motivo «il mistero pasquale della croce e della risurrezione di Cristo è al centro della Buona Novella che gli apostoli, e la Chiesa dopo di loro, devono annunziare al mondo» CCC 571. Sotto il profilo del ragionamento umano è lecito chiedersi come mai sia accaduto che un uomo straordinario come Gesù di Nazareth, assolutamente eccezionale per la santità della vita, per l’altezza dei suoi insegnamenti e per l’umanità delle sue opere, abbia potuto essere condannato a morte come un malfattore, con l’approvazione non solo delle autorità religiose e civili, ma anche del popolo.

Nella prospettiva della fede è ugualmente lecito chiedersi come si sia concretamente realizzato il piano divino di sofferenza e di gloria che Gesù ha stesso ha più volte profetizzato agli apostoli e ha richiamato alla loro mente anche prima della sua Ascensione al cielo: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» Lc 24,26. Non vi è dubbio, infatti, che la volontà del Padre che Gesù ha abbracciato e fatta sua si è concretizzata in una vicenda storica ben precisa, di cui conosciamo i contorni e gli attori e dove ognuno ha recitato la sua parte con la sua libertà e con la sua responsabilità. La Redenzione del mondo si è compiuta in un luogo e in un tempo determinati, avente per protagonisti uomini con un nome e con un volto.
Noi, grazie alla fedeltà storica dei Vangeli, che sono confermati da altre fonti storiche, possiamo e dobbiamo cercare di comprendere lo sviluppo degli avvenimenti e coglierne il significato profondo. È infatti nella tragica conclusione della vita di Gesù che emergono con forza la verità sconvolgente del suo messaggio e nel medesimo tempo il valore di salvezza universale della sua vita e della sua opera. Se Gesù non si fosse elevato alla pari di Dio e non si fosse proclamato suo Figlio sarebbe stato ucciso? La morte di Gesù è spiegabile solo alla luce delle sue affermazioni su se stesso. Anche se è stata decretata dal potere civile del procuratore Ponzio Pilato e con uno strumento riservato ai malfattori, la croce, essa ha alla sua origine motivazione di carattere religioso. Per comprendere la resistenza del mondo a Gesù Cristo, non solo ieri, ma anche oggi e fino alla fine dei secoli, è necessario cogliere le ragioni profonde per cui si è voluto privarlo della vita con una morte infamante. Fin dal principio è incominciata una opposizione nei confronti di Gesù, al punto che i Farisei, con alcuni sacerdoti e scribi si sono accordati per farlo morire Mc 3,6.
Che dire poi dei suoi concittadini, che in occasione della sua predicazione nella Sinagoga di Nazareth, tentano di «gettarlo giù dal precipizio»? Lc 4,29. Oltre a questo Gesù è stato accusato di bestemmia, perché si attribuiva il potere di perdonare i peccati, che è riservato a Dio solo Mc 2,7 e perché «chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» Gv 5,18; 10,33. Non gli è stata risparmiata neppure l’accusa di essere un falso profeta, in quanto Gesù avrebbe ingannato la gente Gv 7,12. Queste insinuazioni erano particolarmente gravi perché la bestemmia ed essere falso profeta erano dei crimini religiosi che la legge mosaica puniva con la pena di morte mediante la lapidazione Gv 8,59; 10,31.
Se questo è stato l’orientamento prevalente delle autorità religiose di Gerusalemme, non bisogna però dimenticare che Gesù ha dei simpatizzanti e persino dei seguaci anche fra di esse, in particolare fra i Farisei. Ci sono infatti alcuni di loro che lo mettono in guardia dai pericoli che sta correndo Lc 13,31. Egli più volte mangia in casa loro e non esita in qualche occasione a lodarli come lo scriba che lo interroga sul comandamento più grande Mc 12,34. Gesù, quindi, ha ottenuto attenzione, rispetto e risposta dalla gente, tuttavia agli occhi dei più egli sembrò agire contro le istituzioni fondamentali del popolo eletto: l’obbedienza alla Legge, la centralità del tempio e la fede nell’unico Dio, del quale nessun uomo può attribuirsi il potere e la gloria. Queste sono le ragioni che hanno provocato la condanna a morte. In ultima istanza è però la sua affermazione di essere «il Figlio di Dio Benedetto» Mc 14,61 la causa prima di scandalo ieri come oggi.

Gesù, la Legge, il Tempio..
Non vi è dubbio che la sensibilità delle autorità religiose sia stata urtata per l’atteggiamento di grande libertà di Gesù nei confronti della legge mosaica e per le sue parole riguardanti la fine del tempio e la sua prossima distruzione. Egli non ha disprezzato queste due istituzioni fondamentali della religione ebraica, pur presentandole sotto una luce profondamente nuova. Per quanto riguarda la Legge, Gesù fa una precisazione solenne, ribadendo il valore originario: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno della legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel Regno dei Cieli.
Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli» Mt 5,17-19. Gesù, quindi, ribadisce il valore della Legge divina, ma la libera dalle incrostazioni umane Mc 7,8, che si erano sovrapposte col passare del tempo, e soprattutto la sottrae all’osservanza puramente esteriore, riportandola all’interiorità dell’uomo. Con Gesù la Legge non appare più incisa su tavole di pietra, ma scritta «nell’animo e nel cuore» Ger 31,33. Tuttavia ciò che ha urtato di più i dottori d’Israele è il fatto che Gesù non si è limitato a interpretare e a interiorizzare, ma insegnava «come uno che ha autorità» Mt 7,29. Si tratta di un’autorità superiore a quella di Mosè, che risuona con solennità nel discorso della montagna: «Avete inteso che fu detto agli antichi… ma io vi dico…» Mt 5,33-34. Agli orecchi attenti degli scribi e dei farisei non poteva sfuggire una espressione così inusitata, con la quale Gesù si attribuiva un potere di legiferare pari a quello che si è manifestato sul monte Sinai.
Anche nei confronti del tempio Gesù ha espresso profondo rispetto. Egli vi è salito più volte, secondo le abitudini di ogni pio israelita, come al luogo privilegiato dell’incontro con Dio. Per lui il tempio è la dimora del Padre suo, una casa di preghiera, e si accende di sdegno per il fatto che il cortile esterno è divenuto un luogo di commercio. Anche gli apostoli, sull’esempio del Maestro, hanno conservato un religioso rispetto per il tempio At 2,46. Alla vigilia della sua passione Gesù ha tuttavia profetizzato la distruzione di quella grandiosa costruzione, della quale non sarebbe rimasta pietra su pietra Mt 24,1-2. In una precedente occasione, parlando con la donna di Samaria, Gesù aveva preannunciato una nuova tappa della storia della salvezza, quando gli uomini avrebbero adorato il Padre «né su questo monte, né in Gerusalemme» Gv 4,21.
Non c’è dubbio che Gesù abbia proclamato la fine del tempio, tuttavia non l’ha fatto per motivi di ostilità. In quegli atrii, infatti, egli ha insegnato e ha voluto persino pagare la tassa, unendosi a Pietro, che pure era la pietra del tempio nuovo che è la Chiesa. In realtà Gesù si è identificato con il tempio, presentandosi come la dimora definitiva di Dio in mezzo agli uomini cfr. Mt 12,6. Egli appare come colui che è, nella sua Persona, la Legge e il tempio: questo non poteva passare inosservato allo sguardo attento, e pronto a cogliere in fallo, delle autorità religiose di Israele.

Gesù si è messo alla pari di Dio.
Ciò che però ha rappresentato per le autorità religiose di Israele una pietra d’inciampo, contro la quale si sono sfracellate Lc 20,18, è il ruolo che Gesù si è attribuito nella Redenzione dei peccati. Egli ha scandalizzato i Farisei mangiando con i pubblicani e i peccatori, quasi a lasciare intendere che li ammetteva al banchetto del Messia, come indica chiaramente la parabola del Padre misericordioso o del figliolo prodigo Lc 15,23-32. Gesù identifica il suo comportamento di misericordia verso i peccatori con quello di Dio stesso a loro riguardo Mt 9,13.
Ma soprattutto si attribuisce il potere divino di rimettere i peccati. L’interrogativo che si pongono le autorità religiose è assolutamente corretto: «Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?» Mc 2,7. Siamo qui al cuore del dilemma che riguarda non solo i contemporanei di Gesù, ma gli uomini di tutti i tempi. Chi è costui che si attribuisce poteri divini e che, apparendo esteriormente come un uomo, si pone alla pari di Dio? «Perdonando i peccati, Gesù, o bestemmia perché è un uomo che si fa uguale a Dio, oppure dice il vero e la sua Persona rende presente e rivela il nome di Dio» CCC 589.
Gesù quindi non è apparso agli occhi delle autorità solo come un trasgressore della Legge, ma anche e soprattutto come un bestemmiatore: «Proprio per questo i Giudei cercavano ancora più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» Gv 5,18.
Il Cristo, d’altra parte, sia pure con sapiente pedagogia, non ha esitato a manifestare la sua identità divina. Possiamo dire che il Vangelo è innanzitutto questa autorivelazione che il Figlio di Dio, venuto in carne umana, fa di se stesso. Egli afferma di essere ben più di Giona o di Salomone Mt 12,41-42, ben più del tempio Mt 12,6, e persino di Davide, che ha chiamato il Messia suo Signore Mc 12,36-37. Quando poi afferma: «Prima che Abramo fosse, Io sono» Gv 8,58, l’espressione è così eloquente che gli astanti raccolgono dalle pietre per lapidarlo Gv 8,59. La stessa scena si ripete quando afferma: «Io e il Padre siamo una cosa sola» Gv 10,30. In questa occasione il dialogo è serrato e non lascia spazio a equivoci sul perché Gesù sia stato condannato a morte: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio - dice Gesù. Per quale di esse mi volete lapidare? Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”» Gv 10,32-33.
Il dilemma è posto per gli uomini di tutti i tempi. Gesù è perentorio: chi crede si salva, chi non crede si perde. «Chi non è con me è contro di me» Mt 12,30. Il Sinedrio ha stimato Gesù meritevole di morte perché bestemmiatore Mt 20,65-66. I suoi membri agivano così per ignoranza At 3,17 e al tempo stesso per l’indurimento dell’incredulità Rm 11,20. Solo la grazia, che verrà riversata sul mondo dall’alto della Croce, permetterà di vedere il Dio fatto uomo in colui che gli occhi accecati ritenevano un uomo che si faceva Dio.

La morte di Gesù realizza la Sacra Scrittura..
La morte di Gesù Cristo è un dramma umano e storico col quale ogni generazione ha a che fare sino alla fine dei tempi. Gli attori di questo tragico evento sono persone sulla cui libertà e responsabilità, sia nel bene come nel male, non è lecito assolutamente dubitare. La morte di Gesù è stata oggetto di una profonda riflessione, volta ad afferrarne il significato. Fin dall’inizio gli Apostoli hanno cercato di comprendere il messaggio di quella che umanamente appariva come una tragedia senza speranza, ma che incominciava a svelare un valore trascendente che prima era nascosto ai loro occhi. Questa ricerca del perché della morte del Maestro è stata senza dubbio provocata dall’evento grandioso della Risurrezione. Gesù vivo non era dunque un uomo come tutti gli altri. La luce divina della Risurrezione ha inondato la mente e il cuore degli Apostoli che, aiutati dalla stessa parola del Risorto, hanno incominciato a comprendere il senso delle Scritture: «Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei Profeti - è il severo rimprovero del Signore ai discepoli di Emmaus - Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiego loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» Lc 24,25-27.
Sotto la guida del Risorto e dello Spirito Santo la comunità apostolica ha incominciato a riflettere. Quello che agli occhi umani poteva apparire il concorso di circostanze sfavorevoli, in realtà era la realizzazione di un piano preparato fin dall’eternità: «Egli fu consegnato a voi secondo il prestabilito disegno di Dio» At 2,23 afferma Pietro agli ebrei di Gerusalemme, nel suo primo discorso di Pentecoste. Gli uomini, operando liberamente e con piena responsabilità, avevano attuato il disegno eterno della salvezza. L’opera della redenzione com-prendeva anche la croce.
Nel piano di Dio era necessaria perché il peccato fosse riparato e l’umanità fosse riscattata dal male. Il fatto che gli autori della Passione abbiano, a loro insaputa, ha realizzato il progetto della divina misericordia, non diminuisce affatto il male che hanno compiuto. È proprio dell’agire divino permettere il male, per ricavarne un bene. Tuttavia chi ha compiuto il male ne deve rispondere. Anche il tradimento di Giuda era stato previsto, ma le parole di Gesù nei suoi confronti sono fra le più severe che abbia mai pronunciato.
Il Risorto ha anche insegnato agli Apostoli a leggere il piano della salvezza attraverso le profezie delle Scritture. Gesù fa comprendere che la morte del «Servo giusto» Is 53,11 era stata annunciata anticipatamente nelle Scritture come un disegno di redenzione. L’espressione «morì per i nostri peccati secondo le Scritture» 1Cor 15,3 ha il tono di una professione di fede e rappresenta il mistero della Croce come evento di salvezza. Gli Apostoli hanno così potuto finalmente comprendere quelle profezie sulla passione, morte e risurrezione che invano Gesù, nel tempo della sua predicazione terrena, aveva più volte annunciato, quando aveva presentato il senso della sua vita e della sua morte alla luce del Servo sofferente Mt 20,28.

Sia lodato Gesù Cristo.

ATTO DI FEDE.
Mio Dio,
perché sei verità infallibile,
credo fermamente tutto quello che tu hai rivelato
e la santa Chiesa ci propone a credere.
Ed espressamente credo in te,
unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte,
Padre, Figlio e Spirito Santo.
E credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio,
incarnato e morto per noi,
il quale darà a ciascuno, secondo i meriti,
il premio o la pena eterna.
Conforme a questa fede voglio sempre vivere.
Signore, accresci la mia fede.

Stampa Email

Autobus ATV

Giorni Feriali
Linea 70 (fermata Piazzale del Cimitero)
Linee 11-12-13-51 (fermata Chiesa di San Paolo) - 300m a piedi
Giorni Festivi
Linea 94 (fermata Piazzale del Cimitero)
Linee 90-92-98 (fermata Chiesa di San Paolo) - 300m a piedi