Cristo Re dell'Universo 2021
«Rex regum et Dominus dominantium».
Ci ha riscattato «per sanguinem Eius».
Dal Pretorio di Pilato, nel quale la regalità di Cristo è stata rifiutata a voce di popolo: «Non vogliamo che costui regni sopra di noi», al Gran Consiglio della Repubblica di Firenze, nel quale, ancora a voce di popolo per mezzo dei suoi più qualificati rappresentanti, la regalità di Cristo è stata solennemente proclamata. «Rex regum et Dominus dominantium».
È il 9 febbraio del 1526. Il Gran Consiglio, convocato dopo la pestilenza dell’anno precedente, ormai definitivamente debellato il contagio, presenta un aspetto imponente; sono 1100 i convenuti: i Consiglieri, i Priori, i Gonfaloni, i Capitani di parte e tutte le magistrature. Ed ecco in quel grande consesso che si alza a parlare il Gonfaloniere in carica, Nicolò Capponi, figlio di quel Pietro, che aveva fatto tacere le trombe di Carlo VIII con la minaccia dei rintocchi dei bronzi fiorentini. Egli parla con appassionata eloquenza, rievocando una predica infiammata del Savonarola e propone che Cristo Gesù venga eletto Re del popolo fiorentino. Il Consiglio approva, applaudendo a gran voce e sulla porta del palazzo della Signoria si scolpisce il monogramma di Cristo con la scritta: «Rex regum et Dominus dominantium» - Re dei Re e Signore dei signori. Ancora oggi il Palazzo Vecchio di Firenze porta la testimonianza della fede di chi ha promosso quella deliberazione e di coloro, che l’hanno solennemente sancita. Ma essa non è soltanto la voce, per quanto illustre, della Repubblica Fiorentina; è la voce di tutto il mondo cristiano, che riconosce in Gesù, Redentore del mondo, il Re immortale dei secoli.
Regalità di Cristo nella Liturgia.
«Festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re» così l’annuncia il Martirologio. Questa festa è la più recente tra tutte le feste del Signore, ed è stata istituita dal Santo Padre Pio XI l’11 dicembre 1925 alla chiusura dell’anno giubilare. Scopo della festa è di richiamare l’attenzione del popolo cristiano all’immagine di Cristo rappresentata dalla Chiesa primitiva: Cristo il Re divino che siede alla destra del Padre e che verrà alla fine del mondo con grande potenza e maestà. La liturgia non ha mai trascurato di presentare l’immagine del Re divino: essa ci accompagna tutto l’anno. Nel Natale Gesù è annunciato come Colui: «cuius imperium super humerum eius» - il cui potere è sulle sue spalle, all’Epifania come il «Dominator Dominus» - il Signore sovrano; la Domenica delle Palme canta nell’inno meraviglioso e nel ritornello della Processione «il trionfo del Pacifico Re» e perfino il Venerdì Santo, giornata di pianto e di lutto, la Croce è presentata come «il vessillo del Re, che regnò dalla Croce» e la trionfale sequenza di Pasqua finisce con l’invocazione: «Tu nobis victor Rex miserere» - Re conquistatore, abbi pietà di noi. Del resto, in tutto l’anno l’ufficio incomincia invocando Cristo Re di tutte le gloriose schiere dei Beati e nemmeno innanzi alla morte la liturgia dimentica la sua divina Regalità e lo invoca come Re di tutti i viventi: «Regem cui omnia vivunt» il Re al quale tutte le cose vivono.
La natura della Regalità di Cristo.
Ma di quale regalità si tratta? Forse di quella che si era preoccupato di soffocare nel sangue dei bimbi di Betlemme il vecchio Erode? O di quella, cui irrise Pilato, facendone il titolo di condanna da porre sul Capo coronato di spine del Crocifisso?
No, no! Proprio innanzi allo scettico e debole Procuratore della Giudea Gesù Cristo stesso ha rivendicato la natura del suo regno: «regnum meum non est de hoc mundo» - il mio Regno non è di questo mondo; non trae dal temporale la sua ragione di essere, perché ha destini eterni; non si sostiene con la forza delle armi, con la diplomazia, con il prestigio della potenza, con le risorse della ricchezza, con l’adulazione dei cortigiani, con la paura dei vinti e degli oppressi; ma è un «regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace» Prefazio della Messa.
I titoli della Regalità di Cristo.
E, pur non essendo Cristo Signore un re nel senso politico ed umano, ha tutti i titoli di regalità che fra gli uomini si ritengono validi: l’eredità, cioè la nascita, l’elezione, la conquista. Oh, ma in un senso incomparabilmente più alto! La nascita: perché l’unione della natura divina ed umana nell’unità della Persona, conferisce alla stessa natura inferiore le più eccelse perfezioni: dà al Cristo, anche come uomo, il diritto di esercitare sopra gli uomini la sua suprema autorità. Egli è, dice San Paolo, «l’erede di tutte le cose». Gesù Cristo è Re per elezione divina; perché tale è stato costituito, eletto, da Dio Padre: «dabo tibi gentes haereditatem» - le genti saranno la tua eredità. E nella preghiera sacerdotale, che precede immediatamente la passione, Gesù chiede che «il Padre glorifichi il Figlio...come ha dato a lui la potestà sopra tutti gli uomini». Questo potere Cristo lo ha ricevuto per i meriti della Redenzione, onde Egli è Re anche per diritto di conquista: ci ha riscattato «per sanguinem Eius» - per il suo Sangue; ci ha comprato a carissimo prezzo; si che noi siamo proprio «populus acquisitionis», il popolo che Egli ha conquistato.
Quando noi pensiamo ai re della terra, che la storia ha fregiato del titolo di «conquistatori», non possiamo non stabilire un confronto tra la gloria «che gronda di lacrime e di sangue» e la gloria di Cristo, che è pure martoriata di dolori e di sangue, ma dei «suoi» dolori e del «suo» Sangue.
La sua è una regalità «di amore» ed è proprio dell’amore donarsi, donarsi fino ad esaurirsi. «Nessuno ama, è la carta costituzionale del suo Regno, più di colui che da' la vita per quelli che sono l’oggetto del suo amore». E questo ci spiega come passano i secoli, cambianole generazioni, si alternano le civiltà, ma il suo Regno non tramonta. «Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli»; con noi nonostante le nostre incomprensioni, le nostre indifferenze, le nostre colpe. E questo spiega anche come la legge del suo Regno è una legge «di amore», come il comandamento che tutta la ricapitola è il precetto di amare. Chi non ama si pone da se’ fuori del Regno di Cristo, è spiritualmente un apolide, un «senza patria»; si condanna da se' a dare testimonianza alla legge di amore, ma fra quelli che ne subiranno l’eterna sanzione: «qui non diligit manet in morte» - chi non ama rimane nella morte.
La liturgia odierna è un vero inno trionfale che celebra la Regalità di Cristo. Egli, già nostro Re per la sua Divinità, lo è anche per la sua Incarnazione, che lo ha costituito Capo dell’umanità; lo è anche a motivo della sua Passione, per la quale ha riconquistato le nostre anime, che già gli appartenevano come sue creature, a prezzo del suo Sangue. Gesù è nostro Re nel senso più ampio della parola: egli ci ha creato, ci ha redento, ci vivifica con la sua grazia, ci nutre con la sua Carne e con il suo Sangue, ci governa col suo amore e mediante l’amore ci attira a sè.
Egli, che era fuggito quando le folle entusiaste volevano farlo re, si proclama re in mezzo alle umiliazioni inaudite della Passione, affermando così nel modo più chiaro che il suo regno non è di questo mondo, che la sua regalità è talmente sublime che nessun oltraggio può offuscarla. Gesù ci dice anche che Egli vuole far risplendere la sua regalità molto più sotto l’aspetto di conquista realizzata a prezzo del suo Sangue che sotto l’aspetto di un titolo che gli appartiene in forza della sua natura divina.
A questo Re divino che si presenta a noi in un aspetto così umano, così amante, così accogliente, a questo Re divino che stende le braccia sulla croce per invitarci tutti a Lui, che ci mostra la ferita del costato come simbolo del suo amore, dobbiamo andare incontro con tutto lo slancio dell’anima nostra. Non solo non vogliamo sfuggire il suo impero, ma lo invochiamo, affinché Egli abbia il primato nella nostra mente, nel nostro cuore, abbia il pieno dominio sulla nostra volontà; noi con tutte le nostre cose vogliamo sottometterci «al suo soavissimo impero» Colletta.
Sia lodato Gesù Cristo.
Colloquio Spirituale.
«Tu sei Re , o mio Dio, Re eterno ed immenso e d’un regno non certo avuto ad imprestito. Quando recito nel Credo che il tuo regno non avrà fine, trasalisco di gioia. Si, il tuo regno sarà eterno ed io ti lodo e ti benedico» (T.G. Cam. 22,1).
«O Re divino, amabilissimo Gesù mio Redentore, mio Salvatore, mio Sposo, mio Maestro e modello, io ti rinnovo oggi la totale consacrazione del mio essere, supplicandoti di prendere assoluto dominio di me stesso. Sii Tu il mio sovrano, il mio dominatore, la mia guida e dirigimi e governami, sicchè tutto sia rivolto alla tua maggior gloria. Sii Tu il sovrano della mia memoria, del mio intelletto, della mia volontà, della mia sensibilità che voglio assoggettare completamente a Te, invitandoti a regnare in me. «Il tuo regno è regno di verità, di amore, di giustizia e di pace.
«Fa’ che il tuo regno di verità si stabilisca nel mio intelletto distruggendo ogni errore, inganno od illusione, illuminami con la tua sapienza divina.
«Fa’ che il tuo regno d’amore si stabilisca totalmente nella mia volontà e la muova, la sproni, la diriga sempre, si che io non sia più mosso dall’amor proprio, o dalle creature, ma unicamente dal tuo Spirito; rendi forte, generosa, costante questa mia volontà fiacca, gretta e restia, fissala nel bene e fa’ che s’irrobustisca nell’esercizio perseverante delle virtù, corroborandola coi doni del tuo Spirito.
«Fa’ che il tuo regno di giustizia si stabilisca in tutte le mie operazioni in modo che tutte le mie azioni portino questa caratteristica e siano opere sante, compiute con purezza d’intenti e con la maggior fedeltà per darti gusto, nella linea della tua santa volontà.
«Fa’ che il tuo regno di pace si stabilisca, oltre che nell’anima mia, anche nella mia sensibilità, in modo, che, armonizzata con la parte superiore, concorra anch’essa a darti gloria e non mi ritardi o mi ostacoli l’unione con te» (Sr. Carmela d. Spirito S. o.d.c.).
Padre Gabriele di S.Maria Maddalena O.C.M. - 1893 - 1953
Intimità Divina, Roma 1962