3 Domenica di Quaresima 2021
«Gesù è il tempio e la dimora della gloria di Dio».
«Il Signore ti annuncia che farà a te una casa» 2Sam 7,11.
Attraverso le Dieci Parole dell’Alleanza, pronunciate da Dio sul Monte Sinai al popolo di Israele, era stato donato un cammino di libertà per raggiungere una pienezza di vita nell’umile servizio all’unico Signore. La Legge diventa così un luogo privilegiato di incontro e di comunione con Dio. Ma per Israele in cammino verso la terra della promessa vi era un altro luogo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo: la tenda, segno di un Dio che scende incontro all’uomo, cammina con lui, lo accompagna, lo guida. La pretesa di Davide di costruire una dimora stabile per il Signore, aveva trovato resistenze in Dio stesso che, per mezzo del profeta Natan, aveva risposto al re: «Il Signore ti annuncia che farà a te una casa» 2Sam 7,11. Dio non abita in un luogo fatto di pietre ma in una casa di carne viva, di cui egli stesso è garante della sua perennità.
«Vuoi pregare nel tempio? Prega dentro di te... ma cerca prima di essere tu stesso tempio di Dio, affinché Egli possa esaudire chi prega nel suo tempio» S. Agostino.
Nonostante questo, Dio accetta un tempio costruito dalle mani dell’uomo, luogo di unità e di identità per Israele, ma allargando nello stesso tempo i suoi confini: secondo l’annuncio dei profeti, esso doveva diventare realtà simbolica dell’incontro tra Dio e ogni uomo, «casa di preghiera per tutti i popoli» Is 56,7, citato in Lc 19,49, Mc 1,17 e Mt 21,13. La promessa fatta a Davide trova il suo compimento in Gesù: in lui «il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi» cfr. Gv 1,14. In questa prospettiva si comprende il gesto di Gesù al tempio di Gerusalemme: esso è un segno che rivela tutta la novità che si compie nella persona di Gesù, soprattutto in relazione a uno degli aspetti costitutivi dell’esperienza religiosa di Israele: il tempio. In Gesù, tempio non costruito da mani d’uomo, ognuno può incontrare il vero volto di Dio e può invocarlo come Padre.
E possiamo aggiungere che, per il quarto Vangelo, l’amore di Dio che ha preso carne in Gesù si rivelerà in tutta la sua trasparenza nel momento in cui il Figlio dell’uomo sarà innalzato; lì, volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto cfr. Gv 19,37, paradossalmente a quel tempio distrutto a cui fa allusione Gesù, ogni uomo potrà incontrare il volto di Dio, quel roveto ardente che brucia senza consumarsi. L’annuncio di Cristo crocifisso - ci ricorda Paolo - diventa «per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci... potenza di Dio e sapienza di Dio» 1Cor 1,24.
Soffermandoci sul testo di Giovanni che riporta la cacciata dei venditori dal tempio, possiamo evidenziare alcuni aspetti presenti in questo singolare gesto di Gesù e nelle parole che lo commentano. E l’attenzione deve essere posta non tanto sull’effetto dell’azione di Gesù quanto piuttosto sul significato che esso racchiude e che apre alla comprensione della persona di Gesù. Cacciando i venditori che trasformano la casa di Dio in un mercato, Gesù compie un gesto profetico che rimanda a un culto autentico, libero da ogni ipocrisia, un culto che parte dal cuore e si armonizza con la vita: il luogo dove l’uomo incontra Dio non può esser luogo di ingiustizia e di idolatria. Lo sguardo del profeta va oltre, è puntato al futuro. Leggendo il gesto di Gesù non si afferma solo la santità della casa di Dio, ma anche l’autorità di Gesù su quel luogo: è «la casa del Padre mio», il luogo di una relazione familiare e intima. Gesù è il Figlio che non può permettere che venga violata l’intimità profonda di questo luogo; in Gesù si manifesta lo zelo di cui parla il Salmo: «Lo zelo per la tua casa mi divora» 69,10, lo zelo di un figlio che si sente coinvolto a difendere il luogo del Padre da coloro che ne attentato l’integrità, stravolgendone il senso.
Ma il significato di questo gesto si comprende ancora di più alla luce delle parole che Gesù pronuncia in risposta alla richiesta di un segno da parte dei Giudei, la cui reazione lascia già intravedere il dramma della passione. L’icona del tempio assume una nuova luce che emerge dal confronto tra Gesù stesso e il tempio: viene qui usato il termine «naos» che indica il santuario, la parte più sacra dell’edificio, il luogo simbolico in cui risiede la presenza di Dio. Possiamo notare che in questo confronto il segno del tempio, come spazio della presenza di Dio e incontro con Lui, rimane; ma vengono sostituite le modalità e il luogo stesso. Il richiamo alla distruzione e alla ricostruzione di questo tempio orientano a un futuro di novità, a un tempio nuovo. Sulle labbra di Gesù questa realtà totalmente rinnovata diventa una allusione al suo mistero di morte e di risurrezione; il tempio distrutto e ricostruito è il corpo stesso di Gesù cfr. 2,21. È Gesù vivente il nuovo tempio, il luogo in cui si comunica con il Padre; in Gesù risuscitato dai morti, Dio è definitivamente presente agli uomini e gli uomini definitivamente presenti a Dio. Come nota il biblista Léon-Dufour: «Il corpo di Gesù, la sua carne, è la dimora della gloria di Dio... In questo santuario, dove il Padre fa abitare il suo nome, si raduneranno tutti gli adoratori e saranno consumati nell’unità: tutti parteciperanno alla santità del Tempio, perché noi verremo a loro e faremo in loro la nostra dimora».
In questa scena notiamo infine la presenza attiva dei discepoli, soprattutto attraverso il ricordo, dopo l’evento pasquale, delle parole e dei gesti di Gesù per comprenderne più a fondo il mistero. In questa «memoria ecclesiale» ci viene rivelata l’icona stupenda della Chiesa come luogo, tempio, in cui si rende presente e si incontra il Padre rivelato a noi in Cristo. Non vi è tempio, non vi è Chiesa senza la presenza dei credenti. Il racconto si apre così sul tempo della Chiesa che fa memoria del Cristo crocifisso e risorto nella Eucaristia, luogo autentico dell’incontro tra Dio e l’uomo, in Gesù. In questo spazio di comunione, ogni credente viene plasmato a diventare lui stesso tempio di Dio, luogo in cui dimorano, mediante lo Spirito, il Padre e il Figlio. Come dice Agostino: «Vuoi pregare nel tempio? Prega dentro di te; ma cerca prima di essere tempio di Dio, affinché egli possa esaudire chi prega nel suo tempio».
Sia lodato Gesù Cristo.
Colloquio Spirituale.
«I miei occhi son sempre rivolti verso di te, o Dio, perché Tu puoi distrigare i miei piedi dal laccio del male. Volgiti a me e abbi di me pietà, perché solo e misero io sono. Custodisci l'anima mia e salvami; fa' ch'io non abbia ad arrossire d'essere a te ricorso» (Sal. 24, 15-20).
«O Trinità eterna, o alta ed eterna Trinità, Tu ci desti il dolce e amoroso Verbo. O dolce e amoroso Verbo Figliolo di Dio, si come la natura nostra è debole e atta ad ogni male, così la natura tua è forte e atta ad ogni bene, perché l'hai ricevuta dall'eterno e onnipotente Padre tuo. Dunque Tu, dolce Verbo, hai fortificato la debole natura nostra unendoti ad essa; per questa unione è fortificata la nostra natura, perché in virtù del Sangue tuo si toglie la nostra debolezza. E siamo anche fortificati dalla dottrina tua, perché l'uomo che la segue in verità, vestendosene perfettamente, tanto diventa forte e atto al bene, che quasi perde la ribellione della carne contro lo spirito e può vincere ogni male. Dunque Tu, Verbo eterno, togliesti la debolezza della natura nostra, con la fortezza della natura divina, la quale Tu ricevesti dal Padre; e questa fortezza l'hai data a noi mediante il Sangue e la dottrina.
«O Sangue dolce, Tu fortifichi l'anima, Tu l'illumini, in te diventa angelica, Tu l'adombri in tal modo col fuoco della tua carità che del tutto dimentica se stessa e nessuna cosa può vedere all'infuori di te».
«O dottrina di verità, tanta forza dai all'anima vestita di te che mai viene meno, né per le avversità, né per le pene o tentazioni, ma in ogni battaglia riporta forte vittoria. Misera me, che non ho seguito te, vera dottrina, onde son tanto debole che in ogni minima tribolazione vengo meno» (S. Caterina da Siena).
Padre Gabriele di S.Maria Maddalena O.C.M. - 1893 - 1953,
Intimità Divina, Roma 1962