Tutti i Santi 2018

Tutti i Santi1Segnati con il sigillo di Dio.
«Coloro che furono segnati con il sigillo...»  Ap. 7,4


Ogni anno la Liturgia di Tutti i Santi ci propone di riflettere sul cap. 7 del Libro dell’Apocalisse, l’ultimo Libro della Bibbia, che usa un linguaggio simbolico. Proveremo ad entrare nei simboli di questo brano, che ci aprono ai Santi e alla Santità. A dire il vero, in origine, il termine «Santo» era attribuito a tutti i membri della comunità cristiana...
Quando Paolo parla di «Santi» intende tutti coloro che hanno preso l’impegno solenne della testimonianza del Signore e che fanno parte di una comunità nella quale conducono la loro vita virtuosa. Nei primi anni della cristianità vi era maggiore consapevolezza della radicalità della scelta evangelica. Anche ai nostri giorni si richiede la stessa coerenza dei primi secoli, poiché ai credenti in Cristo sarebbe richiesto il medesimo eroismo, come esorta la Scrittura: «Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono Santo» Lv 19,2. In sintesi, la santità è per tutti e la si chiede a tutti i credenti, ma vi sono coloro che di essa hanno dato un saggio ineludibile, e questi sono gli uomini virtuosi che noi esaltiamo sugli altari, tuttora ci convincono della bellezza della fede e adesso vivono la ricompensa di gloria riservata agli eletti. Essi possono intercedere per noi presso Dio, essi possono impetrare dal Signore tutte le grazie delle quali abbiamo bisogno e tutte le preghiere a loro rivolte da parte nostra sono sempre legittime, basta che non ci inducano a sminuire il primato assoluto di Dio. La Liturgia ci dice però che non possiamo escludere dal numero dei «Santi» tutti coloro che sono passati inosservati e dei quali non si è svolto alcun processo di canonizzazione. Accanto ai numerosi Santi, vi sono tanti altri uomini e donne esemplari, di cui nulla è stato scritto nei libri o sugli altari delle chiese. Ma indipendentemente dall’importanza che noi possiamo attribuire a ciascuno di essi nelle nostre preghiere e nelle nostre devozioni, la Chiesa non dimentica che essi vivono davanti a Dio la stessa gloria, poiché «Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé» Sap 3,5. E di conseguenza, ignoti o conosciuti, essi vengono oggi tutti esaltati in ugual misura.
 
Ecco allora in sintesi i simboli di questo brano:
 
«E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo:
centoquarantaquattromila provenienti da ogni tribù dei figli di Israele.
Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua»
Ap 7,4.9a.
I Santi portano sulla fronte un sigillo: è il segno di una appartenenza, perché è col sigillo che un sovrano attesta la sua volontà, la sua accettazione, il suo possesso. Essi sono totalmente consacrati a Dio, sono - come dice Giovanni nella sua Prima Lettera - «i figli di Dio». In una preghiera giudaica del I° sec. a.C. leggiamo questa stupenda definizione dei Santi: «Tu sei un padre per i tuoi figli fedeli; tu esulti su di essi come una mamma sul suo piccino». Siamo all’interno del celebre «settenario dei sigilli» aperti. Ciò che è sigillato è ignoto e misterioso; quando si spezza il sigillo, si ha la rivelazione di un contenuto raccolto nel libro della vita che Dio solo conosce e custodisce. È il significato ultimo della storia umana, nel suo groviglio inestricabile di bene e di male e nel suo destino di giudizio e di salvezza. Il testo offerto dalla liturgia appartiene alla tappa del sesto sigillo descritta in una pagina di grande suggestione e potenza. Due sono i quadri che balenano davanti ai nostri occhi. Qui la matematica assurge a simbologia per esprimere l’ampiezza universale del popolo di Dio, chiamato alla santità lungo la storia della salvezza. Il primo è popolato dalla folla sterminata dei centoquarantaquattromila, un numero simbolico di totalità  e immensità, che ha come base la menzione delle dodici tribù del popolo di Dio, esaltate al quadrato e moltiplicate per mille. Significativi sono i tratti di questa marea umana. Gli eletti sono segnati in fronte col sigillo del Dio nostro. L’autore evoca un passo del profeta Ezechiele: «Il Signore disse (all’uomo vestito di bianco): Passa attraverso la citta di Gerusalemme e segna con un tau (l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, ma anche sinonimo di «firma») la fronte degli uomini che gemono e sospirano per tutti gli abomini che vi si compiono» Ez 9,4. I giusti appartengono, quindi, a Dio, portano il segno dell’appartenenza a Lui. I Santi sono per eccellenza gli uomini di Dio, appartengono alla sua famiglia, portano il suo nome.
Passiamo al secondo quadro, quello dell’origine. Essi provengono da tutte le tribù d’Israele ma anche da ogni «nazione, razza, popolo e lingua». I confini sono abbattuti, le razze travalicate, le culture superate. La santità  non è appannaggio di un’area geografica e neppure di un unico ambito spirituale: «Dio, infatti, vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» 1Tm 2,4. È per questo che «non c’è più né giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è piu uomo né donna perché tutti sono uno in Cristo Gesù» Gal 3,28. È paradossale ma il centoquarantaquattromila è uguale all’uno nel linguaggio della salvezza.
 
«Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello» Ap 7.9b.
La posizione ritta si ritrova spesso nella Bibbia. In alcuni passaggi, la posizione non ha nessun valore particolare mentre in altri passi ha un significato spirituale. Nel Salmo 122 si legge: «Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!». Sal 122,2. I piedi nel tempio rappresentano il credente che sta dinanzi a Dio in atteggiamento di preghiera e di adorazione. In Neemia 8,5 il popolo sta ritto davanti al libro della legge in segno di rispetto, mentre in altri passi la posizione in piedi è quella adottata dalla persona che prega. Stare ritti in presenza di una persona o di Dio è segno di rispetto e riverenza. Gli eletti sono in adorazione davanti a Dio e all’Agnello. Inoltre, la posizione ritta indica che sono vivi, sono risuscitati: infatti Cristo risorto è descritto come un Agnello in piedi, ma ucciso.
 
«Avvolti in vesti candide» Ap 7.9b.
L’altro elemento è il colore bianco. Si tratta di una assemblea liturgica immensa alla quale si partecipa con un abbigliamento caratteristico. Il bianco è il colore di Dio, del Battesimo, della Risurrezione, il colore della pienezza, perché sintesi di tutti gli altri colori.
 
«Tenevano rami di palma nelle loro mani» Ap 7.9b.
Nelle loro mani i Santi stringono una palma, il segno del trionfo e dell’acclamazione imperiale, segno di vittoria e di gloria… e nella tradizione cristiana il segno del martirio. È la comunione con Dio l’approdo ultimo della vita del giusto, come già  ammoniva l’autore del Libro della Sapienza: «Agli occhi degli stolti parve che (i giusti) morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace» Sap 3, 2-3. Il dolore, l’impegno rigoroso della testimonianza, la rinuncia a se stessi non generano morte ma gloria, non producono fallimento ma vita e felicità.
 
«Uno degli anziani si rivolse a me e disse:
“Questi che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?”.
Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”.
E lui: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione
e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello»Ap 7,13-14.
Ecco la grande tribolazione della vita e il sangue dell’Agnello, frutto della partecipazione alla Passione di Gesù. Suggestiva è  l’idea che il candore delle vesti sia stato ottenuto immergendole nel sangue rosso del martirio: attraverso la croce si va alla luce, «per crucem ad lucem». Questo candore è  raggiunto attraverso una strana via: «Essi hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello». Lo splendore è raggiunto attraverso il sangue, attraverso il crogiuolo della sofferenza, della donazione di sé.
 
«E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi,
e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen!
Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio
nei secoli dei secoli. Amen» Ap 7,11-12.
Significativa è anche l’irruzione del coro: l’Apocalisse è tutta attraversata da canti e musiche. La moltitudine immensa intona un’acclamazione in onore del Dio Salvatore e dell’Agnello, il Cristo morto e risorto. La corte celeste, eleva una «dossologia», cioè un inno di lode alla gloria divina nel quale si evocano tre doni divini (sapienza, potenza e forza) e quattro risposte umane (benedizione, gloria, ringraziamento, onore) cosi  da raggiungere un altro dei numeri perfetti cari all’Apocalisse, il sette. Cantando, la processione ha raggiunto il trono divino. Dall’alto del suo trono il Signore stende su quella sconfinata assemblea liturgica la sua tenda santa, trasformando così quella comunità  in un tempio vivente. E attingendo ad Isaia si dipinge quell’immenso popolo come immerso in una beatitudine piena: «Non soffriranno più fame né sete, né il sole li colpirà, né alcuna calura, perché l’Agnello al centro del trono li farà pascolare e li guiderà alle sorgenti dell’acqua della vita; e Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» Ap 7,16-17. Cala il sipario su questa scena che ha come base il popolo di Dio della prima Alleanza con le sue dodici tribù, ma che sconfina nell’universalità, perché la successiva moltitudine enorme appartiene a «ogni nazione, tribù, popolo e lingua».
 
«La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello» Ap 7,10.
La scena dell’Apocalisse si chiude col coro potente dei Santi che cantano. Certo, l’impegno umano è importante, ma nella santità decisivo è il lasciarsi condurre dalla grazia di Dio e dal suo amore. Ed allora, come faceva dire lo scrittore francese Bernanos a Santa Giovanna d’Arco, «per essere santo quale vescovo non darebbe il suo anello, la mitra e il pastorale, quale cardinale non darebbe la sua porpora, quale pontefice tutto il suo patrimonio temporale? Tutto il grande apparato di sapienza, di forza, di disciplina, di maestà  e magnificenza della Chiesa è nulla se la santità non lo anima». La folla dei salvati partecipa a una corale liturgia celeste, tutta percorsa da canti, da inni, da festosità, da acclamazioni. L’Apocalisse descrive la vita eterna con Dio come una festa continua, scandita dal culto e dalla musica. Si incontrano concerti, trombe, solisti, cori, arpe e strumenti. La liturgia terrena è immagine della celebrazione piena e perfetta in cui la lode sarà pura e trasparente. Cantare è simbolo di gioia e di contemplazione, di conoscenza e di amore, di visione e di adesione totale a Dio.
 
Il testo dell’Apocalisse ci ha cosi delineato il ritratto del Santo: egli appartiene solo a Dio, appare in ogni angolo della terra e in ogni epoca della storia, vive con fedeltà  anche nella prova, percorrendo la via della croce, giunge alla meta gloriosa dell’eternità  dove per sempre vivrà nella gioia, nel canto, nella gloria, in quell’infinito gorgo di luce e di pace che è Dio. Beati, dunque, i puri di cuore che ora vedono Dio, beati questi nostri fratelli che hanno cercato e trovato il volto di Dio.
 
Forti allora questi giorni! Ci ricordano che i Santi e i nostri Defunti sono vicini a noi. Uno può dire: ''Ma se stanno in cielo… se sono lontani". Niente affatto! Perché il cielo non è un posto disperso tra le stelle e i pianeti: il cielo è Dio! Che è dappertutto. Dovunque stiamo, dovunque ci spostiamo c'è Dio, c'è il cielo, ci sono i Santi e i Defunti. Con loro non siamo mai soli e formiamo una squadra formidabile. Proprio quello che ci serve. Sapere che i Santi e i Defunti ci stanno vicini e ci dicono: "Dai, fatti coraggio, non avere paura, ti aiutiamo noi" ci dà una carica enorme.
Grazie Santi e Defunti!
Grazie perché state sempre vicino a noi e ci aiutate a diventare come voi.
Quando invochiamo per nome i Santi e i nostri Defunti, sentiamo che loro ci sono davvero e che ad ogni invocazione, potrebbero rispondere:
“Presente! Sono qui”.

Sia lodato Gesù Cristo.

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