22 Domenica del Tempo Ordinario 2018

22DomTOB2018Tutto dipende dal cuore.
«Figlio mio, dammi il tuo cuore»
Prv 23,26.
 
Non bastava la lunga e sfibrante discussione nella sinagoga di Cafarnao, dopo il miracolo della condivisione dei pani e dei pesci. No, macché. La liturgia, oggi, riprende il filo interrotto del Vangelo di Marco con una nuova disputa, quasi un ennesimo litigio. E che è? Nulla è casuale. La Parola vuole offrirci una chiave di lettura, di discernimento in questo momento storico così difficile, rissoso, violento, arrogante, in cui tutti sembrano ergersi a giudici, rabbiosi e vendicativi. Tutto viene urlato, contrapposto, rinfacciato. Accuse su accuse, parole forti contro parole forti...
E i discepoli, noi discepoli, io, ci troviamo a disagio. Intorno a noi, con il livello dello scontro sempre più alto. Nella Chiesa stessa, con dinamiche e contrapposizioni che tanto male fanno al Vangelo. Il popolo ebreo, che gli altri popoli riconoscono saggio, come dice Mosè ai liberati, a volte diventa stolto e sciocco come il mondo che lo attornia. E, purtroppo, ne imita le dinamiche. Gesù per primo ha dovuto combattere contro questa opposizione, come abbiamo visto, in un crescendo di accuse e di insinuazioni pretestuose e rissose. Se lo ha fatto lui possiamo affrontarlo anche noi. E la prima, accusa che viene mossa a Gesù, è di non rispettare le tradizioni degli antichi. Preti uno contro l’altro, contro i laici, gruppi contro gruppi, quelli del parroco di prima contro quelli del parroco di oggi… chi crede che il Papa sia ancora Benedetto XVI e chi invece osanna Papa Francesco. State pur certi che nella Chiesa, da sempre, in nome dell’unità… ci si contrappone e si litiga! E, la cosa triste, è che ci si sente investiti dall’alto e, perciò, si trattano questioni che hanno a che fare col buon senso come se si trattasse di rivelazioni divine… Gesù non ha specificato, nel Vangelo, gli orari delle messe, né ha parlato delle unità pastorali, o se la Santa Messa è valida o meno se celebrata in comunione con questo o con quel Papa… Eppure su questi temi si combatte, si creano malumori. Diventiamo malati da sacrestia, convinti che il mondo reale sia come ce lo rappresentiamo e lo vogliamo.  
 
Buonissima cosa, però, la tradizione.
Proprio in questi giorni io sono a Roma, la città della fede, ma anche il luogo della tradizione fondata sul sangue dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Dal latino tradere, cioè consegnare, abbiamo ricevuto il tesoro della fede, il Vangelo, non ci siamo inventati una religione… Così di generazione in generazione, i cristiani raccontano con fedeltà quanto a loro volta hanno accolto.
 
Ed è un valore enorme, la tradizione della fede.
Ma vigiliamo per non confondere la tradizione della fede con quello che noi pensiamo e vogliamo…perché a volte confondiamo il progetto di Dio con il nostro progetto. Sappiamo distinguere, come dice bene Gesù, il consegnare ad altri la preziosa Parola ricevuta, dalle nostre tradizioni, che sono solo consuetudini degli uomini. Dio non gradisce una fede solo esteriore, che non sappia esprimere verità e conversione di vita. Non sa che farsene di chiese piene e di cuori vuoti, aridi. L’apparenza inganna. L’apparenza, nel mondo della fede, disturba, manipola, spegne, uccide.
 
Gesù riporta la fede al suo ambiente principale: il dentro.
Dentro: dove abitano i nostri pensieri nascosti, i nostri giudizi, le nostre convinzioni profonde. Là dove Dio scruta e vede. Inutile affannarsi a curare il fuori di noi, cosa pensano gli altri dei nostri comportamenti, rispettare delle regole per farci applaudire, cercare la stima degli altri, se questo desiderio non parte da dentro, dalla consapevolezza che siamo stati fatti come delle opere d’arte. Curiamo il dentro, allora. Con onestà, verità, con una preghiera costante, intensa, vera. Anche quando la Parola, come oggi, ci scuote dalle fondamenta: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» Is 29,13. Il profeta Isaia stigmatizza la grettezza di un atteggiamento puramente esteriore: onorare Dio con le sole labbra restando chiusi nel cuore e lontano da Lui pensando nella cecità e stoltezza di vivere una religione pura. Questo è il lamento di Dio per un culto puramente esteriore. Di tale culto Egli non sa che farsene. Al modo di intendere degli scribi e dei farisei, Gesù oppone il fatto che c’è un cuore lontano. La vicinanza o lontananza del cuore dell’uomo da Dio è la chiave di lettura di questo testo. Dicendo “cuore” si intende la sede delle decisioni, la sede dell’intelligenza e della volontà. Questo cuore, dunque, ha la sua ragione di essere nella vicinanza con Dio. Quando Dio, nel Libro dei Proverbi, ci dice: «Figlio mio, dammi il tuo cuore» Prv 23,26 non vuol dire: «Dammi i tuoi sentimenti», ma «Dammi la tua vita». Il Sacro Cuore di Gesù - di cui molti sono devoti - non presenta solo i suoi sentimenti verso di noi, ma la sua vita data con amore. C’è un rapporto stretto tra ciò che le labbra proferiscono e ciò che viene dal cuore. Il rimando da parte di Gesù ai farisei non è semplicemente e solo al cuore dell’uomo, quanto piuttosto a dove il cuore è posto, a dove il cuore è collocato, cioè alla sua vicinanza o lontananza da Dio. La maggiore o minore lontananza dal Signore dice la bontà del tuo cuore. Il problema che già Isaia segnalava e di cui accusava il suo popolo, è la lontananza del cuore da Dio.
 
Questo discorso di Marco va direttamente alla radice, al cuore dell’uomo, luogo delle decisioni fondamentali e dell’atteggiamento globale della vita. Gesù dice: “Tutto dipende dal tuo cuore” e “Ciò che hai dentro è la tua vita o la tua morte”. Il Signore conosce il cuore dell'uomo. Alla luce del cuore dell’uomo, Gesù legge tutto il resto, anzitutto la persona e non le cose. Da questo punto di vista allora si può dire che tutto è puro per chi è puro. Non è una condizione che inquina il cuore dell’uomo, piuttosto è il cuore dell’uomo, nel momento in cui si allontana da Dio ad essere motivo per rendere ogni cosa impura. “Se prendete un albero buono anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo” Mt 12,33.
 
Non è tanto quello che fai che conta, ma se in ciò che fai c’è un cuore, cioè, se tu sei coinvolto in ciò che accade. Questa è anche la grande responsabilità a cui il Signore chiama gli uomini. Il Dio a cui rendi culto è il Dio che ti conosce nel cuore e ti chiama al culto perché ti conosce nel cuore; ti chiama al servizio a Lui, alla comunione con Lui. Per Gesù l’essenziale nella vita è il cuore, cioè l’amore con cui si osserva la legge, la volontà di seguire Lui come maestro e fonte di vera vita, come modello e forza. “L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore” Lc 6,45.
Senza il cuore, l’esecuzione della legge diventa pesante e senza gioia. Per Gesù è l’interiorità, ciò che hai dentro, ciò che vive nel tuo cuore, che determina l’esteriorità. L’interiorità opera verso l’esteriorità come un vaso che trabocca: la maggior parte del suo contenuto rimane nascosta (tesoro); ciò che esce è soltanto e non può essere altro che ciò che c’è dentro.
Tutto dunque è questione di amore, di espressione d’amore, di alimento d’amore: di un amore di Dio verso l’uomo… e del nostro amore verso di Lui.

Sia lodato Gesù Cristo.

Stampa Email

Autobus ATV

Giorni Feriali
Linea 70 (fermata Piazzale del Cimitero)
Linee 11-12-13-51 (fermata Chiesa di San Paolo) - 300m a piedi
Giorni Festivi
Linea 94 (fermata Piazzale del Cimitero)
Linee 90-92-98 (fermata Chiesa di San Paolo) - 300m a piedi