16 Domenica del Tempo Ordinario 2018

16DomTOBAnno2018Il vero apostolo è prima il vero discepolo.

È ciò a cui aspiriamo tutti, in questa torrida estate che toglie il respiro anche di notte: metterci in disparte, in un luogo isolato, e riposare un po'. Chi può, abbandona le città e le pianure e si rifugia in quel poco di fresco che rimane sulle montagne; e chi tra le montagne vive tutto l'anno, si inventa qualsiasi cosa pur di ricuperare quel clima gradevole che questi cambiamenti climatici hanno portato via anche ai luoghi di solito più freschi.

E allora, in questo tempo, è bello sentire il Maestro che si rivolge così ai suoi discepoli di ritorno dalla prima missione: "Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'". Sappiamo bene che non lo dice loro per motivi climatici: perchè di certo tra le tante, tutto sommato, è la minore delle avversità. Gesù vuole che si riposino, che tirino il fiato, perché l'assillo delle folle era tale che neppure avevano il tempo di mangiare. Ma neppure questa mi pare la maggiore delle difficoltà dalle quali l'apostolo del Vangelo si deve guardare. Il rischio più grosso non viene dal clima o dalla mancanza di tempo per le proprie necessità personali; la salute dell'apostolo viene messa a rischio nel suo aspetto spirituale, e non certo per colpa dello svuotamento e dell'esaurimento a cui può essere sottoposto. Il rischio per la sua salute spirituale, l'apostolo lo avverte proprio... nel suo nome stesso: "Apostolo". Marco utilizza questo termine per indicare i discepoli una sola volta in tutto il Vangelo. Non è proprio la stessa cosa dire "discepolo" e dire "apostolo". Discepolo è colui che segue il Maestro per mettersi alla scuola della sua parola; apostolo significa "inviato", e quindi colui che, mandato del Maestro, va e ammaestra, insegna nel suo nome.
 
I discepoli che tornano dal Maestro come "apostoli", si riuniscono intorno a lui e "gli riferiscono tutto quello che avevano fatto e che avevano insegnato".
Sono talmente entusiasti dei successi della loro missione che non stanno più nella pelle di raccontare tutto al Maestro. Prova del loro grande successo è il fatto che la gente che aveva ricevuto da loro grandi insegnamenti e aveva visto i loro prodigi, non li lascia in pace, e accorre a loro da ogni parte, inseguendoli fino all'incontro con il loro Maestro, artefice di tutto questo. Altrimenti, non si spiegherebbe che dei perfetti sconosciuti, pescatori come tanti altri, discepoli di un falegname di Galilea, possano ottenere un successo così grande. Che questi discepoli, divenuti apostoli si siano talmente entusiasmati da montarsi la testa e credere di aver raggiunto lo scopo per il quale avevano seguito il Maestro, ovvero la realizzazione del Regno di Dio sulla terra? Che questi segni compiuti con le loro mani abbiano fatto credere loro di essere divenuti come il Maestro? Cosa fa Gesù per riportarli al loro compito di discepoli? Li chiama in disparte, e chiede loro di riposarsi un po', da soli, in un luogo deserto, lontano dalla folla. Gli apostoli devono tornare a fare i discepoli, in un luogo deserto, dove le folle non ti osannano, dove nessuno ti esalta. Perché fare l'apostolo tra coloro che ti portano in palmo di mano e attribuiscono a te e alle tue grandi capacità i meriti della salvezza, è bello e gratificante, e ti dona entusiasmo; ma fare il discepolo nel deserto, dove nessuno ti acclama, e dove il Maestro ti chiede di aprire le orecchie prima che la bocca, non è per niente facile. Ma è un passaggio necessario, perché l'annuncio del Vangelo non è reso efficace dalla bravura dei nostri metodi "da apostoli": c'è bisogno ancora di imparare l'atteggiamento silenzioso e paziente del discepolo. E Gesù non perde l'occasione per insegnarlo agli "apostoli" entusiasti. Quando, infatti, giungono al luogo deserto con la barca, si rendono conto che il luogo non è poi così deserto: perché il deserto non è il luogo dove nessuno ti osanna, ma è una libertà interiore con cui puoi manifestare il più bello e il più profondo essere di Dio. È Gesù che scende dalla barca e prima di fare ed insegnare, ossia di dirigersi alle folle con i suoi insegnamenti e di donare loro il cibo che dà la vita - lo ascolteremo domenica prossima - offre alle folle questo grande dono della compassione, della misericordia elevata all'ennesima potenza. È un termine che nel Vangelo indica uno stravolgimento di vita per amore, ed è attributo solo a Dio. Insegnamento e vita, parola e pane, ma prima di tutto verità e compassione per l’uomo, che agli occhi di Dio appare come un gregge senza pastore.
 
Dove sono i pastori?
Oggi sono sulla barca, con Gesù, ad imparare che essere apostoli significa prima di tutto essere discepoli, essere come gli altri, condividere le sorti dell'umanità, sentire ciò che essa sente, vivere ciò che essa vive. È così che si inizia ad essere pastori: alla scuola di Gesù come Maria di Betania che per prima cosa ascoltava con il cuore la sua Parola. Non c'è che dire: un altro bell'insegnamento oggi, per noi… spesso ancora troppo poco veri discepoli del Signore Gesù.
 
Sia lodato Gesù Cristo.

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