14 Domenica del Tempo Ordinario 2018
"Quando sono debole, è allora che sono forte" 2Cor 12,10.
L’incontro quotidiano con il Signore e la celebrazione dei Sacramenti permettono di aprire il nostro cuore alla sua presenza, alle sue parole, alla sua azione. La preghiera non è solo il respiro dell’anima, ma, per usare un’immagine, è anche l’oasi di pace in cui possiamo attingere l’acqua che alimenta la nostra vita spirituale e trasforma la nostra esistenza.
E Dio ci attira verso di sé, ci fa salire il monte della santità, perché siamo sempre più vicini a Lui, offrendoci lungo il cammino luci e consolazioni. Questa è l’esperienza personale a cui San Paolo fa riferimento nel capitolo 12 della Seconda Lettera ai Corinzi, cui noi oggi abbiamo letto pochi versetti.
Paolo non si vanta di ciò che ha fatto lui, della sua forza, delle sua attività e successi, ma si vanta dell’azione che ha fatto Dio in lui e tramite lui. La contemplazione è così profonda e intensa che l’Apostolo non ricorda neppure i contenuti della rivelazione ricevuta, ma ha ben presenti la data e le circostanze in cui il Signore lo ha afferrato in modo così totale, lo ha attirato a sé, come aveva fatto sulla strada di Damasco al momento della sua conversione. San Paolo continua dicendo che proprio per non montare in superbia per la grandezza delle rivelazioni ricevute, egli porta in sé una «spina», una sofferenza, e supplica il Risorto di essere liberato dal Maligno, da questa spina nella carne. Per tre volte prega il Signore di allontanare questa prova e riceve risposta alla sua supplica. Il Risorto gli rivolge una parola chiara e rassicurante: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Il commento di Paolo a queste parole può lasciare stupiti, ma rivela come egli abbia compreso che cosa significa essere veramente apostolo del Vangelo. Esclama così: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte», cioè non si vanta delle sue azioni, ma dell'attività di Cristo che agisce proprio nella sua debolezza.
Di quali debolezze parla l’Apostolo? Che cosa è questa «spina» nella carne?
Non lo sappiamo e non lo dice, ma il suo atteggiamento fa comprendere che ogni difficoltà nella sequela di Cristo e nella testimonianza del suo Vangelo può essere superata aprendosi con fiducia al Signore. Paolo è ben consapevole di essere un «servo inutile» - non è lui che ha fatto le cose grandi, è il Signore - , un «vaso di creta», in cui Dio pone la ricchezza e la potenza della sua Grazia. In questo momento di intensa preghiera, Paolo comprende con chiarezza come affrontare e vivere ogni evento, soprattutto la sofferenza e la persecuzione: nel momento in cui si sperimenta la propria debolezza, si manifesta la potenza di Dio, che non abbandona, non lascia soli, ma diventa sostegno e forza. Certo, Paolo avrebbe preferito essere liberato da questa «spina», da questa sofferenza; ma Dio dice: «No, questo è necessario per te. Avrai grazia per resistere e per fare quanto deve essere fatto».
Questo vale anche per noi. Il Signore non ci libera dai mali, ma ci aiuta a maturare nelle sofferenze, nelle difficoltà, nelle persecuzioni. La fede, quindi, ci dice che, se rimaniamo in Dio, ci sono sì tante difficoltà, ma la fede si rinnova, matura di giorno in giorno proprio nelle prove. Quindi, nella misura in cui cresce la nostra unione con il Signore e si fa intensa la nostra preghiera, anche noi andiamo all’essenziale e comprendiamo che non è la potenza dei nostri mezzi, delle nostre virtù, delle nostre capacità che realizza il Regno di Dio, ma è Dio che opera meraviglie proprio attraverso la nostra debolezza, la nostra inadeguatezza all'incarico. Dobbiamo, quindi, avere l’umiltà di non confidare semplicemente in noi stessi, ma di lavorare, con l'aiuto del Signore, nella vigna del Signore, affidandoci a Lui come fragili «vasi di creta».
«Ti basta la mia grazia: la forza infatti si manifesta nella debolezza». Solo la fede, il confidare nell’azione di Dio, nella bontà di Dio che non ci abbandona, è la garanzia di non lavorare invano. Nella preghiera noi apriamo, quindi, il nostro animo al Signore affinché Egli venga ad abitare la nostra debolezza, trasformandola in forza per il Vangelo. Egli ci attira a sé e rapisce il nostro cuore verso l’alto, portandolo alla sua altezza dove sperimentiamo la pace, la bellezza del suo amore; tremendo perché mette a nudo la nostra debolezza umana, la nostra inadeguatezza, la fatica di vincere il Maligno che insidia la nostra vita, quella spina conficcata anche nella nostra carne. Nella preghiera, nella contemplazione quotidiana del Signore, noi riceviamo la forza dell’amore di Dio e sentiamo che sono vere le parole di san Paolo ai cristiani di Roma, dove ha scritto: «Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli, né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» Rm 8,38-39.
Sia lodato Gesù Cristo.