Santi Pietro e Paolo 2018

Santi Pietro e PaoloSanti Pietro e Paolo, pregate per noi!
Regina degli Apostoli, prega per noi!
 
Pietro e Paolo sono Santi fondamentali, sono le colonne portanti della Chiesa. Facciamo brevemente un po' di storia e cominciamo dal punto di arrivo: entrambi hanno subito il martirio e la tradizione ci tramanda la data del 29 giugno, presumibilmente nell'anno 64 dopo Cristo sotto l'imperatore Nerone.
Pietro è stato martirizzato sul colle Vaticano, dove adesso sorge la Basilica che porta il suo nome e dove prima c'era il circo di Nerone. Il martirio era la crocifissione come Gesù, però Pietro ha chiesto di essere crocifisso con la testa all’ingiù. Di questo evento abbiamo anche dei dipinti straordinari – come ad esempio di Caravaggio - che esprimono questo episodio intenso e drammatico. Paolo invece subisce il processo a Gerusalemme e, prima della condanna, si appella a Roma, perché lui è cittadino romano. Dopo molte traversie giunge finalmente nella città eterna, lo mettono in carcere forse vicino al Colosseo e poi subisce il martirio, con la decapitazione sulla Via Ostiense nel luogo chiamato “Le Tre Fontane”, perché si narra che la sua testa fece tre rimbalzi sulla terra, da cui sgorgarono tre fonti d'acqua tutt'ora visibili.
 
La festa dei Santi Pietro e Paolo è una grata memoria dei grandi testimoni di Gesù Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. È la festa della cattolicità. Il segno della Pentecoste, la nuova comunità che parla in tutte le lingue e unisce i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio, è diventato realtà. La nostra assemblea liturgica è immagine della famiglia della Chiesa distribuita su tutta la terra. Con ciò è portata a compimento la missione di San Paolo, che sapeva di essere liturgo di Gesù Cristo tra i pagani.
Come Paolo, così anche Pietro venne a Roma, nella città dove convergono i popoli e che diventa così espressione dell’universalità del Vangelo. Intraprendendo il viaggio da Gerusalemme a Roma, egli si sapeva guidato dalle voci dei profeti, dalla fede e dalla preghiera d’Israele. Cattolicità significa universalità, molteplicità che diventa unità. Ireneo di Lione, ha espresso questo legame in modo molto bello: "Questa dottrina e questa fede, la Chiesa disseminata in tutto il mondo custodisce con diligenza, formando quasi un'unica famiglia: la stessa fede con una sola anima e un solo cuore, la stessa predicazione, lo stesso insegnamento, la stessa tradizione come avesse una sola bocca. Diverse sono le lingue secondo le regioni, ma unica e medesima è la forza della tradizione. Le Chiese di Germania non hanno una fede o tradizione diversa, come neppure quelle di Libia, dell'Oriente, di Spagna, di Gallia, di Egitto, del centro della terra; come il sole creatura di Dio è uno solo e identico in tutto il mondo, così la luce della vera predicazione splende dovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono venire alla verità" Adv. haer. I 10,2. E l’unità ha un contenuto: la fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso da parte di Cristo.
 
Davanti alla Basilica di San Pietro sono collocate due imponenti statue degli Apostoli Pietro e Paolo, facilmente riconoscibili dalle loro prerogative: le chiavi nella mano di Pietro e la spada tra le mani di Paolo. Anche sul portale maggiore della Basilica di San Paolo fuori le Mura sono raffigurate insieme scene della vita e del martirio di queste due colonne della Chiesa. La tradizione cristiana da sempre considera Pietro e Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città li considerò come una specie di contro altare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di fratelli a cui si faceva risalire la fondazione di Roma. Si potrebbe pensare anche a un altro parallelismo oppositivo sul tema della fratellanza: mentre la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l’effetto del peccato, per cui Caino uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro e che nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo che operava in loro. Solo seguire Gesù conduce alla fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità di oggi consegna a ciascuno di noi. 

 
Nel brano del Vangelo di Matteo, Pietro confessa la sua fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio e lo fa anche a nome degli altri Apostoli. Come risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli: essere la «pietra, la roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa. Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questo? Il racconto ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone, non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una rivelazione di Dio Padre. Invece, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai». E Gesù a sua volta: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...». Il discepolo, di Dio, può diventare solida roccia, ma si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Pietro vediamo anticipato il dramma della storia del servizio del Santo Padre, caratterizzato proprio dalla presenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papa costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare. E nel Vangelo di oggi emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, «non praevalebunt». Viene alla mente il racconto della vocazione del profeta Geremia, al quale il Signore, affida la missione: «Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno - non praevalebunt -, perché io sono con te per salvarti» Ger 1,18-19. La promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere del male. Geremia riceve una promessa che riguarda lui come persona, ma anche il suo ministero profetico; Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro stesso.
 
Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Esso rimanda all’oracolo del profeta Isaia sul funzionario Eliakìm, del quale è detto: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» Is 22,22. La chiave rappresenta l’autorità sulla casa di Davide. E nel Vangelo c’è un’altra parola di Gesù rivolta agli scribi e ai farisei, ai quali il Signore rimprovera di chiudere il regno dei cieli davanti agli uomini. Anche questo detto ci aiuta a comprendere la promessa fatta a Pietro: a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta di aprire la porta del Regno dei Cieli, di giudicare se accogliere o respingere. Le due immagini, quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere, si rafforzano a vicenda. L’espressione «legare e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall’altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra…nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell’esercizio della sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio. Nel capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, dedicato alla vita della comunità ecclesiale, troviamo un altro detto di Gesù rivolto ai discepoli: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» Mt 18,18. E San Giovanni, nel racconto dell’apparizione di Cristo risorto in mezzo agli Apostoli alla sera di Pasqua, riporta questa parola del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» Gv 20,22-23. Appare chiaramente qui che l’autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del mistero e del ministero della Chiesa. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che riconoscono di aver bisogno dell’amore di Dio, di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. Le parole di Gesù sull’autorità di Pietro e degli Apostoli, lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore, l’amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l’umanità intera.
 
La tradizione iconografica raffigura San Paolo con la spada, e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell’Apostolo, scopriamo che l’immagine della spada si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» 2 Tm 4,7. Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. E proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme con Pietro, quale colonna nell’edificio spirituale della Chiesa. Animati da questa certezza, sentiamoci cooperatori della verità, la quale – sappiamo – è una e «sinfonica», e richiede da ciascuno di noi e dalle nostre comunità l’impegno costante della conversione all’unico Signore, nella grazia dell’unico Spirito.
 
Ci guidi e ci accompagni sempre nel cammino della fede e della carità la Santa Madre di Dio.
Regina degli Apostoli, prega per noi!
 
Sia lodato Gesù Cristo.

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Linee 90-92-98 (fermata Chiesa di San Paolo) - 300m a piedi