5 Domenica di Quaresima 2018
Pubblicato in 2018
"Custodisci il bene prezioso che ti è stato affidato" 2Tm 1,14
Le buone tagliatelle del Cardinale Caffarra.
Concludiamo oggi la nostra riflessione sulla sana dottrina cattolica. Ci faremo aiutare da un articolo del giornalista e vaticanista Aldo Maria Valli. Il titolo di questa omelia è: “Le buone tagliatelle del Cardinale Caffarra”, già Cardinale di Bologna, che ha raggiunto la Casa del padre lo scorso 6 settembre 2017. Diceva così: «L’alternativa a una Chiesa senza dottrina non è una Chiesa pastorale, ma una Chiesa dell’arbitrio e schiava dello spirito del tempo: "praxis sine theoria coecus in via" – la pratica senza la teoria è come un cieco sulla strada».
"Custodisci il bene prezioso che ti è stato affidato" 2Tm 1,14Le buone tagliatelle del Cardinale Caffarra.Concludiamo oggi la nostra riflessione sulla sana dottrina cattolica. Ci faremo aiutare da un articolo del giornalista e vaticanista Aldo Maria Valli. Il titolo di questa omelia è: “Le buone tagliatelle del Cardinale Caffarra”, già Cardinale di Bologna, che ha raggiunto la Casa del padre lo scorso 6 settembre 2017. Diceva così: «L’alternativa a una Chiesa senza dottrina non è una Chiesa pastorale, ma una Chiesa dell’arbitrio e schiava dello spirito del tempo: "praxis sine theoria coecus in via" - la pratica senza la teoria è come un cieco sulla strada - dicevano i medioevali».
Da buon emiliano Caffarra amava le tagliatelle, e negli anni bolognesi certamente ebbe modo di gustarle. Ciò che noi vorremmo gustare oggi è la profondità del teologo che in modo semplice, da vero maestro, va dritto al cuore delle questioni. Nel suo libro “Prediche corte, tagliatelle lunghe” lui elenca cinque insidie della Chiesa.
- La prima insidia, secondo Caffarra è proprio la Chiesa priva di dottrina e sbilanciata sulla pastorale. Una Chiesa che vede nella dottrina un peso, che non vede più il progetto di Dio sull’uomo, si consegna al relativismo, tralasciando la domanda sulla verità.
- La seconda insidia è dimenticare che la chiave interpretativa della realtà e in particolare della storia umana non è dentro la storia stessa. È la fede.
- La terza insidia è il primato della prassi, come se il fondamento della salvezza dell’uomo fosse il suo agire e non la sua fede.
- La quarta insidia è la riduzione della proposta cristiana a un’esortazione di tipo morale.
- La quinta insidia è il silenzio sul giudizio di Dio, con una predicazione della misericordia, che rischia di far scomparire dalla coscienza dell’uomo che ascolta la verità, cioè che Dio giudica l’uomo.
Ecco: Caffarra parlava e scriveva così. Ed è difficile non provare al tempo stesso gratitudine e nostalgia.
Che cosa diceva, per esempio, circa la situazione attuale della Chiesa? Ascoltiamolo.
«Bisogna essere ciechi per non vedere che la Chiesa sta attraversando un momento di confusione e di smarrimento. Non è la prima volta che questo succede. Ne ha vissuti altri di questi momenti. Quando sembrava, come dice Dante, “senza nocchiero e in gran tempesta”. L’han vissuto anche gli apostoli, quando si son trovati in mezzo al lago dentro una bufera di vento e di onde. E – incredibile – Gesù dormiva, si era addormentato. A volte siamo tentati di dire: Gesù, ti sei ancora addormentato in questo momento? Ma sappiamo che Lui c’è, questa è la nostra certezza».
Ma ecco subito un altro brano di San Paolo che, con poche pennellate, dipinge un quadro dove possiamo riconoscere la situazione attuale: «Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole» 2Tm 4,3-4. E che cosa si deve fare contro i falsi maestri e le favole? «Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me, con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo, che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato» 2Tm 1,13-14.
Vedete? C’è uno scontro. Da una parte le parole false, spacciate per vere da chi in realtà racconta favole per compiacere gli uomini. Dall’altra quelle autentiche, che vanno prese a modello rifacendosi all’insegnamento dei maestri che parlano perché hanno incontrato la verità e ne hanno fatto esperienza. In questo scontro occorre scendere in campo con coraggio, senza lasciarsi condizionare da questioni di opportunità e dalla paura. «Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo» 2Tm 1,7-8. Lo scontro procura sofferenza, è inevitabile. Ma non siamo soli. E poi mi colpisce l’accostamento tra l’amore e la forza. Lo Spirito di forza e lo Spirito di amore sono un unico Spirito. Niente a che vedere con una certa idea di amore, sdolcinata e sentimentale, alla quale ci ha abituato una predicazione a base di solidarietà e fraternità all’ingrosso.
L’autore è in carcere, come succede spesso a chi difende la verità. È dunque «in catene», proprio «come un malfattore», perché chi è al servizio della menzogna ribalta la realtà. «Ma la parola di Dio non è incatenata!» 2Tm 2,9. La Parola di Dio nessuno la può silenziare. E qual è questa parola certa? È che «Gesù Cristo è risuscitato dai morti». Ecco il mistero centrale della nostra fede, mai sufficientemente creduto e annunciato. La parola certa è che «Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui regneremo, se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso!» 2Tm 2,11-12. Qui c’è veramente tutto ciò che conta. Ed ecco pertanto il richiamo a ricordare «queste cose», evitando «le discussioni sciocche, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta» 2Tm 2,23. È un invito all’essenzialità, a concentrarsi su ciò che è fondamentale. E che cosa c’è di più importante del giudizio di Dio su di noi? «Sforzati di presentarti davanti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della verità». 2Tm 2,15. Di conseguenza «evita le chiacchiere vuote e perverse, perché esse tendono a far crescere sempre più nell’empietà» 2Tm 2,16. Senza dimenticare che «la parola di costoro [i falsi dottori] si propagherà come una cancrena» 2Tm 2,17.
Il compito è chiaro, chiarissimo. Ma c’è anche una strategia da rispettare, ed è delineata altrettanto chiaramente: «Un servo del Signore non dev’essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare quelli che gli si mettono contro, nella speranza che Dio conceda loro di convertirsi, perché riconoscano la verità e ritornino in sé stessi, liberandosi dal laccio del diavolo, che li tiene prigionieri perché facciano la sua volontà» 2Tm 2,24-26. «Sappi che negli ultimi tempi verranno momenti difficili», dice ad un certo punto l’autore della lettera. «Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, amanti del piaceri più che di Dio, gente che ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore. Guardati bene da costoro!» 2Tm 3,1-5.
Mi permetto – continua Aldo Maria Valli - di riportare un passaggio dell’omelia che Benedetto XVI pronunciò in San Pietro il 28 giugno 2008 durante la celebrazione dei Primi Vespri della Solennità dei santi Pietro e Paolo in occasione dell’apertura dell’Anno Paolino:
«In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza, senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della purificazione dell’io per la vera libertà».
A fronte delle tagliatelle scotte e insipide di tanti pastori preoccupati non di trasmettere la fede, ma di seguire l’onda e non scontentare nessuno, quelle di San Paolo e del Cardinale Caffarra sono tagliatelle buone, genuine e fanno venir voglia di chiederne un secondo piatto.
Perché il Cardinale non girava attorno alle domande.
Qual è la vera differenza tra chi decide di seguire Cristo e chi decide di non seguirlo?
Non si tratta di comportamenti, ma della misura del proprio essere.
Chi segue Cristo «decide di sé in ordine al suo destino eterno». E questa elevazione dell’io verso l’eternità ha conseguenze decisive sulla ragione e sulla volontà. Sulla ragione, perché l’intelligenza umana viene «resa capace dalla fede di comprendere il senso ultimo»; sulla volontà, perché essa «viene resa capace di amare come Cristo ha amato».
E sentite questa: «Il principale nemico della nostra fede è l’indifferenza e il relativismo religioso. Consiste nel ritenere che tutte le religioni si equivalgono; che in ordine al culto, che noi dobbiamo a Dio, è indifferente ciò che noi pensiamo di Lui. Quale è stata la vera guarigione del cieco? La sua fede. Egli ha riconosciuto in Gesù il suo Signore e gli si è prostrato davanti».
Dal relativismo religioso al relativismo morale, osservava Caffarra, il passo è breve, e lo stiamo verificando. Attraverso il relativismo religioso si finisce dritti dritti nel sostenere che non esiste alcuna verità assoluta circa ciò che è bene e ciò che è male. Si dimentica, si vuole dimenticare, che alla base della proposta cristiana non c’è il relativismo, che «è come una metastasi», perché «se accetti i suoi principi, ogni esperienza umana, sia personale che sociale, viene corrotta», … ma c’è il «principio dogmatico», come lo chiamava il Cardinale Newman. Questo era Caffarra. Tagliente come un bisturi nel separare il grano dalla zizzania; mai arrogante, sempre pieno di fiducia.
Ancora due forchettate di buone tagliatelle, scelte tra le moltissime possibili.
Nel culto da rendere a Dio non si può essere approssimativi, superficiali, generici, perché «è la fede nel vero Dio ciò che ci salva. Sostituire nelle comunità cristiane il dominio dell’opinabile al primato del dogma di fede significa sradicarle dal solido fondamento della verità divina e fondarle sulle sabbie mobili dei vani pensieri umani. Non basta vivere nella carità, ma è necessario vivere nella carità secondo la verità, ci ha detto l’Apostolo».
Infine, ecco che cosa scriveva ricordando Giacomo Biffi, suo predecessore alla guida dell’Arcidiocesi di Bologna: «Ho potuto constatare più di una volta che, quando parlava del disegno di Dio dentro la storia umana, era preso come da una sorta di incanto che lo affascinava… Questo modo di guardare la realtà gli dava una grande libertà di giudizio – ubi fides, ibi libertas: era il suo motto – sui fatti di oggi e del passato, anche dal punto di vista storico… E Dio solo sa quanto oggi nella nostra Chiesa italiana abbiamo bisogno di una fede capace di generare un giudizio sugli avvenimenti».
Poco prima di morire, il nostro Cardinale ammise di provare amarezza.
Avendo firmato con i cardinali Brandmüller, Meisner e Burke i famosi dubia su Amoris laetitia, fu fatto passare per «nemico» di Papa Francesco. Una calunnia per un Cardinale come lui, fedele al Papa e, proprio per questo, disposto a mettersi in gioco per aiutarlo nella missione di confermare i fratelli nella fede. Ma sappiamo che in questo nostro mondo, pensare con la propria testa, alla luce della verità eterna e divina, è l’unico peccato imperdonabile.
Ci sostiene infine questo pensiero del teologo svizzero Urs Von Balthasar: "La nostra fedeltà cristiana è più esposta di una volta. La nostra fede è oggi più che mai una fede che resiste. Ogni vero cattolico è oggi un soldato. Non vi possono essere più cristiani a riposo. Quelle crociate che i nostri padri si andarono a cercare fin nei paesi di chi non credeva in Dio, vengono da se stesse incontro a noi. Noi le abbiamo a casa dentro, dentro casa...".
Sia lodato Gesù Cristo.
Tratto liberamente da un articolo di Aldo Maria Valli
"Le buone tagliatelle del Cardinale Caffarra".
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