Presentazione al Tempio - Candelora 2018
"Con le candele accese...".
Sono passati 40 giorni dal Natale… come ci ha proclamato la liturgia all’inizio di questa Eucaristia all’esterno della chiesa quando abbiamo benedetto le nostre candele. «Luce per illuminare le genti »: queste sono le parole che risuonano con solennità nel Tempio di Gerusalemme e che il vecchio Simeone proclama quando vede con i suoi occhi il Bambino Gesù, che sta avvicinandosi a lui con Giuseppe e Maria. La Chiesa celebra la Festa della Candelora come festa dell’incontro e delle luci.
"Con le candele accese...".
Sono passati 40 giorni dal Natale… come ci ha proclamato la liturgia all’inizio di questa Eucaristia all’esterno della chiesa quando abbiamo benedetto le nostre candele. «Luce per illuminare le genti »: queste sono le parole che risuonano con solennità nel Tempio di Gerusalemme e che il vecchio Simeone proclama quando vede con i suoi occhi il Bambino Gesù, che sta avvicinandosi a lui con Giuseppe e Maria. La Chiesa celebra la Festa della Candelora come festa dell’incontro e delle luci.La luce calda delle candele è l’espressione della luce più grande che si sprigiona in tutti i tempi dalla figura di Gesù. Racconta il Vangelo di Luca: venne per la madre e per il bambino il momento della purificazione come è stabilito nella legge di Mosè. I genitori salgono a Gerusalemme per portare il bambino nel tempio e presentarlo al Signore. Sta scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore ». Essi offrono anche il sacrificio stabilito dalla legge del Signore: una coppia di tortore o due giovani colombi. C'è, in queste poche righe, una grande lezione di fede: ogni creatura è sempre un dono del Signore e quindi "sua proprietà". Presentare al Tempio il primogenito era riconoscere che Dio è il Creatore, il Padre da cui tutto proviene: e non c'era modo più stupendo, che ridonargli il dono ricevuto. Non solo, ma presentare il figlio primogenito al Padre aveva il grande significato di offrire la vita al disegno che Lui aveva su di noi: ossia essere pronti a fare la sua volontà, che è poi il perché del dono della nostra esistenza. Così Gesù, Figlio di Dio, appena nato, riconosce che Lui è del Padre e si offre alla incredibile missione che gli era stata affidata e doveva compiere: realizzare la nostra salvezza.
Sono passati 40 giorni dal Natale… come ci ha proclamato la liturgia all’inizio di questa Eucaristia all’esterno della chiesa quando abbiamo benedetto le nostre candele. «Luce per illuminare le genti »: queste sono le parole che risuonano con solennità nel Tempio di Gerusalemme e che il vecchio Simeone proclama quando vede con i suoi occhi il Bambino Gesù, che sta avvicinandosi a lui con Giuseppe e Maria. La Chiesa celebra la Festa della Candelora come festa dell’incontro e delle luci.La luce calda delle candele è l’espressione della luce più grande che si sprigiona in tutti i tempi dalla figura di Gesù. Racconta il Vangelo di Luca: venne per la madre e per il bambino il momento della purificazione come è stabilito nella legge di Mosè. I genitori salgono a Gerusalemme per portare il bambino nel tempio e presentarlo al Signore. Sta scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore ». Essi offrono anche il sacrificio stabilito dalla legge del Signore: una coppia di tortore o due giovani colombi. C'è, in queste poche righe, una grande lezione di fede: ogni creatura è sempre un dono del Signore e quindi "sua proprietà". Presentare al Tempio il primogenito era riconoscere che Dio è il Creatore, il Padre da cui tutto proviene: e non c'era modo più stupendo, che ridonargli il dono ricevuto. Non solo, ma presentare il figlio primogenito al Padre aveva il grande significato di offrire la vita al disegno che Lui aveva su di noi: ossia essere pronti a fare la sua volontà, che è poi il perché del dono della nostra esistenza. Così Gesù, Figlio di Dio, appena nato, riconosce che Lui è del Padre e si offre alla incredibile missione che gli era stata affidata e doveva compiere: realizzare la nostra salvezza.
È grande lo stupore davanti a questa immediata consegna che Gesù fa di Sé al Padre: come a dire, tutta la mia vita ti appartiene… Eccomi! E questo avviene anche nel nostro Battesimo.
I nostri genitori ci hanno presentati al Padre, perché, attraverso le acque del fonte battesimale, fossimo, da quel momento, figli del Padre. È una grande grazia non solo riconoscere che siamo "creature di Dio", ma offrire la nostra vita al suo servizio, per la missione che Lui vuole affidarci. Sembra una riflessione che, purtroppo, tanti definiscono assurda: l'uomo spesso non crede più di avere un Padre e neppure un creatore.
Un giorno, un ragazzo delle medie, mi descriveva quello che a scuola insegnavano sulla nostra origine: nati dal big bang cosmico, passando attraverso una evoluzione totale, senza nessun intervento di uno che desse la vita, l’ordine e il senso ad ogni creatura, come solo la potenza e l'amore del Padre possono dare. Noi discendiamo dalla scimmia e dalla scimmia noi siamo nati. "Sei contento che discendi da una scimmia?" gli chiedo. Il ragazzo storce il naso e mi dice: "Mi fa schifo pensarlo!".
Ma una scienza, che non vuole abbassarsi all'umiltà di riconoscere che tutto il creato è opera di Dio e soprattutto l'uomo, oggi si erge a creatore.
Siamo davvero in cattive acque. Io sono felice di essere uscito dalle mani e dal cuore di Dio.
Mi pare di vedere in me stesso le impronte di quelle mani nelle tante bellezze dell'animo, dalla libertà, alla voglia di sapere, al desiderio di infinito, alla sete di amore e di santità. E mi sembra di sentire il profumo di quelle mani nel sapore dell'amore.
C'è una preghiera, che ho trovato proprio in questi giorni:
“Accogli Signore tutta la mia libertà.
Prendi la mia memoria, il mio intelletto e ogni mio volere.
Tutto ciò che mi è stato da Te donato te lo restituisco.
Ti chiedo solo che tu mi doni amore e grazia e per me questo basta”.
Mi viene in mente anche una preghiera che ho recitato decine di volte negli anni passati, quella del Capo Scout:
“Fa’, o Signore, che io Ti conosca
e la conoscenza mi porti ad amarti
e l’amore mi sproni a serviti ogni giorno più generosamente.
Che io veda, ami e serva Te in tutti i miei fratelli,
ma particolarmente in coloro che mi hai affidato.
Te li raccomando, perciò, o Signore, come quanto ho di più caro,
perché sei Tu che me li hai dati ed a Te devono ritornare.
Con la Tua grazia, Signore, fa’ che io sia sempre loro d’esempio e mai d’inciampo;
che essi in me vedano Te ed io in loro Te solo cerchi:
così l’amore nostro sarà perfetto.
E al termine della mia giornata terrena,
l’essere stato Capo mi sia di lode e non di condanna.
Amen".
Nella presentazione di Gesù al Tempio, leggiamo anche la sua manifestazione a due meravigliosi anziani, che avevano impostato la loro vita proprio nell'attesa del Messia.
Uno è il vecchio Simeone, che lo Spirito Santo avverte misteriosamente, che il Messia è lì nel Tempio.
Lui lo riconosce nelle braccia di Maria e, nel pieno della felicità, canta la sua gioia così: “Ormai, Signore, puoi lasciare che il tuo servo vada in pace"; la tua promessa è stata compiuta. Con i miei occhi ho visto il Salvatore. Tu l'hai messo davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.
E deve essere stato davvero uno spettacolo di paradiso vedere Gesù nelle braccia del vecchio Simeone. L'aveva atteso tutta una vita ed ora lo aveva tra le braccia. Una scena di amore, di lode a Dio, che vale davvero l'attesa di una vita.
Chiama quel Bambino «luce per illuminare le nazioni».
Ecco le candele: dicono la professione della nostra fede, la gioia dell'avere anche noi, tra le nostre braccia, se lo vogliamo, il Bene più grande si possa pensare… Gesù, il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo e dell’uomo. Possiamo immaginare la luce negli occhi di Simeone, occhi pieni di lacrime di gioia, di Paradiso. Lacrime che, a volte, anche noi conosciamo, quando scopriamo chi davvero ci vuole bene e vuole il nostro vero bene.
Lacrime che sono negli occhi dei santi ogni volta che contemplano Dio, come fossero nelle sue braccia. Lacrime che la dicono lunga su cosa sia la vera gioia del cuore.
Ma serve credere che Gesù è la luce, rappresentata dalla candela che dovremmo avere sempre accesa: la candela della fede, come quella che il vecchio Simeone custodì per una intera vita, in attesa del Messia.
Ma sono ancora accese le nostre candele? O sono sparite, come non servisse neppure più conoscere l'incontro quotidiano con la gioia dell'Amore di Dio? La tristezza nel mondo, il buio del nostro tempo, credo dipendano proprio dalle troppe candele spente! Bisogna riaccenderle con urgenza, cominciando da noi, per fare luce anche agli altri. C'è un vecchio proverbio che dice: "Anche una sola candela accesa può accenderne mille spente. Ma mille spente non accenderanno alcuna candela".
Leggendo poi il racconto della profetessa Anna, che dalla morte del marito si era data al servizio, notte e giorno del Tempio, una vita tutta per Dio, si coglie a piene mani la gioia di questa donna e di tante persone di tutti i tempi. Ha 84 anni, di cui 60 trascorsi al servizio del tempio: «Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme».
Nel Vangelo, dove a volte si parla dei piccoli e degli umili, c’è qualcosa di apparentemente semplice, ma che davvero, per chi sa abbandonarsi al silenzio della contemplazione, sono racconti che sembra spalanchino i cieli e mostrino la gloria del Dio vivente: quella gloria che può essere gustata anche da noi.
Non c'è che da mettersi in ascolto della Parola ed entreremo in questa dimensione del Regno di Dio, che è la nostra Casa...
sempre che sappiamo cercarla e scrutarla... con la candela accesa.