1Avvento2017

1Avvento2013bis"Se tu squarciassi i cieli e scendessi!".
 
Ecco! Entriamo nell’Avvento, tempo della speranza, tempo della vigilanza, tempo  dell’attenzione. Avvento vuol dire avvicinarsi, venire vicino, prendere l’iniziativa. Un tempo di “popolo in cammino”, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso, abbreviamo le distanze, tracciamo cammini di incontro. Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi. Atto di fiducia grande, da parte di Dio; assunzione di una responsabilità enorme, da parte dell’uomo. Per custodire i beni sono proposti due atteggiamenti: fate attenzione e vegliate.
Tutti conosciamo che cosa comporta una vita distratta: gesti senz’anima, parole senza cuore, avere la testa altrove. Invece vivere con attenzione comporta attenzione alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni e anche attenzione al nostro mondo, al peso di lacrime di questo pianeta barbaro e magnifico, alla sua bellezza, all’acqua, all’aria, alle piante. Prendiamo noi l’iniziativa: attenti alle piccole cose di ogni giorno, a ciò che accade nel cuore, nel piccolo spazio che mi è affidato. Vegliamo perché c’è un futuro; perché non è tutto qui… il nostro segreto è oltre noi, perché viene una pienezza che non è ancora contenuta nei nostri giorni, se non come piccolo seme. Vegliamo perché c’è una prospettiva, una direzione, un approdo. Allora è sempre tempo di Avvento, è sempre tempo di abbreviare distanze, di vivere con attenzione. È sempre tempo di adottare strategie per risvegliare la mente e del cuore, in modo da non arrendersi al primato del male e della notte, in modo da non dissipare la bellezza, e non peccare mai contro la speranza.
Il capitolo 13 del Vangelo di Marco – dal quale è tratto il brano di questa prima domenica di Avvento – è un testo “escatologico”, cioè riporta i discorsi di Gesù sugli ultimi tempi. Sono parole che gettano luce su tutto ciò che Gesù ha detto e fatto finora, ma soprattutto su tutto ciò che farà. La liturgia ha scelto questo brano come introduzione del tempo di Avvento, cioè come un invito ad alzare lo sguardo verso colui che viene come giudice della storia. Allo stesso tempo rappresenta una chiamata a guardare alla vicenda personale di Gesù, che non intende dare informazioni circa la fine e i segni della fine, ma piuttosto imprimere nei credenti un atteggiamento di vigile responsabilità.
Il testo inizia con due imperativi: «Fate attenzione» e «Vegliate!». Il primo, che letteralmente potremmo tradurre “guardate”, è ripetuto per quattro volte in questo capitolo. Il significato di questo verbo è un po’ più complesso di quanto non sembri. Occorre fare riferimento alla profezia di Geremia 5,21 dove si dice che Israele ha occhi e non vede, ha orecchi e non sente. Il ‘guardare’ è collegato all’’udire’. Perciò l’imperativo «Fate attenzione» oltre al ‘guardare’ chiede di coltivare un atteggiamento di ascolto, che implichi perciò una direzione precisa per poter sentire e vedere le cose che accadono. La traduzione «Fate attenzione» ben descrive l’atteggiamento richiesto, che coinvolge l’intera persona. Poche volte Gesù esprime i concetti con l’imperativo. Generalmente usa il “se vuoi”, chiede una adesione libera e consapevole alla sua chiamata. Solo a chi ha già fatto la scelta di seguirlo Gesù non teme di dare ordini: troviamo l’imperativo nel caso della preghiera: “Pregate”, nella santa Cena: “Prendete e mangiate” e nel grande mandato: “Andate… e predicate il Vangelo…”, quasi a indicare una vicinanza e una sicurezza tale da non temere un rifiuto. Chi ha fatto la scelta per il Signore non può sentire il peso di un comando dato per amore.
Anche il secondo imperativo «Vegliate» traduce un verbo poco usato nel Nuovo Testamento. Indica uno stare svegli, uno stare in allerta, quasi pronti ad affrontare un momento di difficoltà che non permette pigrizie e stanchezze. Lo stare svegli è una necessità. Addormentarsi è perdere coscienza delle cose. Questo significa alla fine perdere se stessi nelle cose del mondo… L’uomo sembra poter fare a meno di Dio. E il cristiano non è esente da questa terribile tentazione. La vigilanza proposta da Gesù è l’unica strada per non perdere il riferimento a Dio. L’essere coscienti di ciò che il Figlio di Dio ha fatto e sta per fare per noi è l’unico modo per non perderci nel vuoto e un giorno ritrovarsi soli e senza speranza.
Il Vangelo poi prosegue così: «Non sapete quando è il momento». Dall’imperativo all’indicativo. È il modo con cui l’evangelista tenta di mettere in rilievo l’urgenza di non distrarsi di fronte al continuo agire di Dio che sorprende. Quel non sapere descrive bene l’ansia dei discepoli di Gesù che non sanno e non comprendono cosa deve succedere al Maestro nel suo immediato futuro. Tuttavia, descrive bene anche la condizione umana: gli uomini acquistano con fatica la consapevolezza di se stessi, della loro condizione di precarietà e provvisorietà. Questo allora è il tempo opportuno, il tempo in cui il Regno di Dio è vicino. Il tempo in cui occorre il coraggio di prendere l’iniziativa, rivolti a colui che deve arrivare. Questo implica un volgersi completamente verso il Regno che si avvicina, senza più guardare indietro con rimpianti o rimorsi inutili e senza aspettare un futuro di sogni vani che non si avvereranno mai. Questo è il tempo favorevole per attendere il Signore, «Il padrone di casa» che torna. È lui che possiede i beni della casa e a lui vanno ridati.
Vegliare e non addormentarsi allora è un’esigenza assoluta per saper guardare il futuro con speranza, per aprire processi di conversione ed attendere insieme la venuta del Signore. Vegliate, svegliatevi, vigilate! Così per i discepoli.
Così per chi ha odorato l’infinito.
Così per chi ha intravvisto, dietro e dentro la caligine, oltre la tenebra, lo splendore della venuta di Cristo.
La parabola è di immediata comprensione: il padrone di casa, il Signore Gesù, tornerà nella gloria. In questo tempo di mezzo, fra la storia e la gloria, affida a noi, suoi servi, il compito di vigilare, di costruire brandelli di Regno, di annunciare la sua venuta. Una venuta che, come meglio bisognerebbe tradurre, non avviene alla fine della notte, ma continuamente. Lo aspettiamo nella gloria, il Cristo, ma anche nella vita di ciascuno di noi, qui, ora, oggi. Ai servi è affidato ogni potere, a queste fragili mani il Signore affida il suo Vangelo. Come un tesoro custodito in vasi di creta. Viene nella notte, il Signore, lo Sposo. Sì, certo, è buio fitto. Basta guardarsi intorno per capirlo. Per vedere il tasso di violenza, nelle parole, nei pensieri, che attanaglia le persone, tutte rabbiose con tutti, convinti di essere vittime di qualcuno. Non è così, smettiamola di nasconderci.
C’è chi maledice la notte. Chi accende una luce.
Chi attende un aiuto. Come i deportati in Babilonia.
"Se tu squarciassi il cielo e scendessi!". Il lamento straziante sale dalla bocca di uno degli autori del libro del profeta Isaia, in esilio dopo la durissima sconfitta contro il re Nabucodonosor. Nessuna speranza all’orizzonte, nessuna possibilità di riscatto, solo l’amarezza dell’esilio e della schiavitù. Non c’è più il tempio, né la città santa, né il re. Tutto è perduto. Solo sale quell’invocazione fatta quasi sottovoce, una immensa ricerca di salvezza, un grido nel silenzio:
“Se tu squarciassi il cielo e scendessi!”. Un grido che ancora sale da questa terra in cui viviamo. Un grido di avvento mentre ci prepariamo a celebrare la nascita di Cristo in ciascuno di noi. Come restare svegli? Come nutrire la nostra anima? Gesù chiede di pregare. Una preghiera che è intimo dialogo col Padre, che è relazione fiduciosa ed appassionata con lui, che è nutrimento dell’anima nel silenzio della lettura orante della Parola di Dio. Ciò che cercheremo di fare in questo ennesimo avvento, in questo breve tempo in cui cercheremo di sostenerci a vicenda, incoraggiandoci, restando svegli. Ogni anno ci riporta le stesse stagioni, le stesse ricorrenze, ma solo all'apparenza è uguale al precedente, perché quanto meno siamo cambiati noi, e affrontiamo situazioni già viste con un bagaglio di esperienza in più.
Così è anche nella vita di fede: comincia oggi un nuovo anno liturgico, vale a dire una nuova fase del rapporto tra noi e il nostro Dio. L'anno che si apre riporterà il Natale, poi la Quaresima, la Pasqua e così via; tanti appuntamenti già vissuti, eppure sempre nuovi perché siamo noi, nel frattempo, tanto o poco cambiati. Un percorso che dà senso al trascorrere dei giorni e apre a un orizzonte infinito.
"Se tu squarciassi i cieli e scendessi!". 
La speranza è stata esaudita: al tempo opportuno Dio ha squarciato i cieli ed è disceso tra gli uomini, il Signore è l’Emmanuele, cioè il Dio con noi dovunque e sempre.
Per dirlo con Metastasio: "Ovunque il guardo io giro, immenso Dio ti vedo".
E il saggio S. Agostino dirà: "Timeo Deum transeuntem", "Ho timore di Dio che passa": che mi passi accanto, e io neppure me ne accorga.
 
Buon anno, allora, fratelli e sorelle e buon Avvento,
aspettando il nostro Dio che viene, l’Emmanuele, il Dio con noi.

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