22 del Tempo Ordinario 3 Settembre 2017
Domenica scorsa la scena era da film… ammettiamolo. Crepuscolo, bosco con una leggera brezza, il rumore dell’acqua che sgorga dalla sorgente del fiume Giordano, in lontananza l’imponente costruzione del palazzo di Filippo, figlio di Erode, e i dodici seduti in cerchio. Campo lungo, primo piano sugli apostoli, primissimo piano su Gesù, dibattito sull’identità del Messia, Pietro che riconosce Gesù Figlio di Dio, sorriso del Messia, promessa delle chiavi, musica solenne, fine. Bello vero?
Domenica scorsa la scena era da film… ammettiamolo. Crepuscolo, bosco con una leggera brezza, il rumore dell’acqua che sgorga dalla sorgente del fiume Giordano, in lontananza l’imponente costruzione del palazzo di Filippo, figlio di Erode, e i dodici seduti in cerchio. Campo lungo, primo piano sugli apostoli, primissimo piano su Gesù, dibattito sull’identità del Messia, Pietro che riconosce Gesù Figlio di Dio, sorriso del Messia, promessa delle chiavi, musica solenne, fine. Bello vero?
Solo che i Vangeli non sono la sceneggiatura di un film. E gli apostoli non sono attori. Ma discepoli che raccontano ciò che hanno vissuto perché noi, ora, oggi, qui, in questa estate che finisce, impariamo qualcosa dalla loro esperienza. La liturgia toglie la vena celebrativa e pomposa della scorsa domenica per farci ripiombare nella realtà, nella fatica di credere, nella crescita continua di cui abbiamo bisogno nella vita interiore. Ricordate Simone diventato poi Pietro, garante della fede dei fratelli, custode delle chiavi che chiudono e aprono le porte che conducono a Dio? Ecco, bravi. Scordatevelo. Gesù è il Messia. Molto diverso da quello che si aspettava. Ma Pietro ha rischiato ed è riuscito a dire l’inimmaginabile. Dio non è mai come ce lo aspetteremmo. Non un Messia muscoloso e battagliero, un condottiero che attira consensi e plausi. Ma un ben più umile falegname di Nazareth, poco carismatico e molto distante dallo stereotipo del Messia che accompagnava la predicazione dei rabbini.
Gesù, però, oggi esagera un po’. E parla di sacrificio, di incomprensione, di prove, di sofferenza. Di morte… della sua morte. Tira una bruttissima aria intorno a lui. I discepoli sono scossi. Ora sanno in modo chiaro che Gesù è il Messia. E il Messia non deve morire. Pietro prende da parte Gesù e lo invita, ora che è appena stato investito come capo della futura Chiesa, a non scoraggiare il morale delle truppe. Fa come noi, Pietro, insegna a Dio a fare Dio. Gli suggerisce in che direzione andare. Dio non voglia! No Pietro… Dio non vuole così! Gesù si volta. E sembra quasi dare uno schiaffo a Pietro, il primo Papa: “Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Vai dietro di me Satana!”. Quando vogliamo indicare a Dio che direzione prendere, quando pensiamo che la sofferenza sia eccessiva, quando vorremmo fare qualche correzione all’agire divino, quando, anche se cristiani, preti, vescovi, Papa, ragioniamo secondo gli uomini, quando non siamo discepoli, ma ci crediamo Maestri di Dio, quando assumiamo la logica di questo mondo, Gesù non ha paura a richiamarci all’ordine, anche con fermezza. E ci invita a conversione. A passare dietro di lui. Non ama la croce Gesù e ne farebbe volentieri a meno. E non vuole morire…ma quella sarà la sua strada. No, Dio non vuole, Pietro. Ciò che vuole Gesù è manifestare il vero volto di Dio e per farlo è disposto a subire tutto ciò che ha detto, come accadrà.
Scegli tu Pietro, da che parte stare. Dalla parte della croce, donando la vita, morendo pur di non rinnegare il vero volto di Dio, perdendo, cioè donando la vita per ritrovarla. O dalla parte del mondo. Che pensa solo a sé, che usa gli altri, che contratta, contrabbanda, cambia idea, giudica senza esporsi, non paga mai. Devi scegliere, Pietro! Questa è la croce, non altro. Non sofferenza, né prova divina, né alcuna delle cose che immaginiamo noi. Dio non ama la croce, perché dovrebbe chiederci di amarla? Dio non manda le croci, gli altri le mandano, noi stessi le costruiamo. La sofferenza è da evitare, ove possibile. Ma amare, a volte, porta a donarsi fino alla morte, fino allo svuotamento di sé, fino al rendere sacro il sacrificio. Significa entrare nella logica del dono, logica che Gesù assume. Fino a morire. Siamo davvero disposti a rischiare così tanto? Gesù dice la verità. Con Pietro e con noi. Possiamo scegliere. Pesiamo la nostra anima, però. Il dolore non è un criterio di scelta. Ne sa qualcosa Geremia, odiato dai suoi parenti perché le cose che dice non sono gradevoli. Ma lo fa per conto di Dio. E, allora, quel fuoco che vorrebbe spegnere, quel tormento d’amore che lo tormenta, è più forte del dolore. Ne sa qualcosa Paolo, che ha imparato, prendendosi dei bei ceffoni dalla vita, a trasformare il suo modo di pensare.
Belle letture quelle di oggi, da prendere con calma. La proposta è chiara, anche quello che c’è in gioco. Da una parte la vera identità di Dio, la sua logica, che è logica di un dono disposto a morire per amore, il fuoco che divampa nella nostra anima. Dall’altra la logica del mondo. C’è ancora un bel pezzo di strada da fare. Ma Pietro ha scelto, in cuor suo: seguirà fino in fondo il suo Gesù, non sempre sarà forte e risoluto nelle sue scelte, ma tenterà ogni volta di chiedere perdono e di rialzarsi con la forza della sua professione di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” e con la potenza che lo Spirito Santo gli donerà per essere Capo della Chiesa, il primo Papa di questo nuovo e meraviglioso sogno che Gesù gli ha chiesto di vivere con noi.