19 del Tempo Ordinario 13 Agosto 2017

XIXDomTOAnnoA2017Elia è scoraggiato. Pensava che, uccidendo i sacerdoti del dio Baal, portati in Israele dalla regina Gezabele, di riportare la folla al Dio di Israele, di sollevare una rivoluzione. Non è così: non solo la gente lo abbandona, ma la regina promette vendetta e il profeta deve scappare nel deserto. Vuole morire, ammette il suo sbaglio: Dio non si impone. E lui, arrogante e violento, non è migliore dei suoi padri.

Gesù è scoraggiato: hanno ucciso Giovanni Battista, l’aria si fa pesante. Ma la cosa peggiore è che Gesù scopre che i suoi discepoli non hanno capito praticamente nulla del suo messaggio, delle sue parole. Gli apostoli sono scoraggiati: non capiscono la ragione dell’improvvisa durezza del Signore che li costringe a salire sulla barca per raggiungere l’altra riva, quella dei pagani, quella evitata accuratamente dagli ebrei. E si sta alzando un forte vento, ci mancava solo questa! La vita è così: mischia luce e ombra, momenti esaltanti e momenti faticosi, grandi gioie e forti dubbi. Ci mette davanti alla violenza: quella che portiamo nel cuore, come Elia, che deve fare i conti con il proprio fanatismo, quella politica che spazza via gli avversari come il Battista, quella dell’egoismo che impedisce ai discepoli di capire il gesto del Maestro, quella degli elementi della natura che ci ricordano che siamo ospiti su questa terra. Eppure proprio nel momento della fatica scopriamo chi siamo. E se, invece di ripiegarci su noi stessi, osiamo metterci in discussione, attendere, cambiare, sperare, pregare, agire… qualcosa accade. Saliamo di livello, cambiamo frequenza, entriamo dentro noi stessi, dentro la Storia, dentro gli eventi. Ma, per farlo, dobbiamo necessariamente affrontare i nostri fantasmi e le nostre paure: la regina Gezabele, per Elia; il dubbio di avere scelto le persone sbagliate, per Gesù; il mare in tempesta, per Pietro e gli altri. Elia spaventato e consumato, desideroso di morire nel deserto, non si chiude a piangere se stesso, si mette in cammino. L’illusoria vittoria intrisa di sangue non ha fatto che peggiorare le cose. No, Dio non è nella violenza, questo ora ha capito Elia che si ritrova sul monte dell’alleanza. E qui, sull’Oreb, Elia capisce e ci fa capire qualcosa di splendido: Dio non è nella violenza, né nei grandi eventi naturali o nei miracoli e prodigi, ma nell’intimo di ciascuno di noi. Nella brezza del mattino anzi, come nella voce del silenzio. Abbiamo disimparato l’ascolto del silenzio. Il luogo dove incontriamo Dio.

Così Gesù. Come possono gli apostoli non avere capito? Come possono, davanti alla prima prova, aver mostrato così poca fede? Cosa serve amare, seguire, accudire, istruire, vivere con loro se poi non hanno cambiato il loro cuore? La notte di Gesù sul monte a pregare è tormentata e lugubre. Coloro che ha scelto con tanta cura e tanta passione, coloro che ha voluto con sé, che ha istruito, hanno mostrato tutta la loro fragilità. Prega, il Signore. Forse un po’ stordito e deluso. Non sa che fare. Intanto si alza un forte vento sul lago. Gesù sceglie. Sceglie di non sceglierne altri. Non migliori, non più coerenti, non eccezionali. Sceglie quei dodici. Sceglie noi, fragili e incoerenti. Sceglie questa Chiesa composta di fango e santità. I discepoli, come noi sono spaventati. Dalla furia del vento e delle onde. E lì, nel cuore della notte, sono raggiunti dal Signore, ma lo vedono come un fantasma. Non lo riconoscono.

Solo Matteo ci parla dell’episodio di Pietro. Di quella richiesta, ingenua oltre ogni limite, di raggiungere Gesù camminando sulle acque. E Pietro si getta, si fida. E affonda. No, non è capace, come noi non siamo capaci, di camminare davvero su ciò che ci spaventa, di passeggiare fischiettando sul ciglio del baratro che costeggia la nostra vita. Vorremmo, ma non siamo così coraggiosi, né così santi. Solo il Maestro, solo il Signore può dominare le alte onde del mare, da sempre, nella Bibbia, potente e oscuro simbolo del male e della paura. Solo Lui. Noi non siamo capaci, ma il Signore ci sfida, ci spinge ad avere coraggio. Ma Pietro, questo Pietro, ogni Pietro, sa bene che il Signore Gesù ci raggiunge nella tempesta. Sempre. Davanti ai dubbi di fede, davanti alle tempeste della vita, il discepolo è chiamato, come Elia, ad ascoltare nel suo cuore il silenzioso mormorio di Dio, recuperando quella dimensione assoluta che è il silenzio, la preghiera, l’ascolto meditato del grande e quieto oceano della presenza di Dio, per vedere il volto di Dio che si nasconde nel vento, che pare forse evanescente come un fantasma.

Solo così possiamo arrivare all’altra riva.

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