17 del Tempo Ordinario 30 Luglio 2017
Con il Vangelo di oggi si chiude il grande discorso in parabole di Gesù: ricordiamo il seminatore, la zizzania, il granello di senapa, il lievito…. Anche oggi il tema centrale è il Regno di Dio. Sono due parabole simili nel contenuto e nella struttura, una ripetizione usata per ribadire un concetto piuttosto evidente: incontrare Dio è la cosa più bella che ti possa succedere, è una sorpresa per cui vale la pena di abbandonare tutto, una gioia che ti fa dimenticare tutto il resto.
Ma devi agire con scaltrezza e urgenza se vuoi che ciò accada. I verbi trovare, andare, vendere, comperare si riferiscono al contadino e al mercante ma è evidente che il protagonista della parabola è un altro: il tesoro nascosto nel campo, la perla preziosa a lungo cercata.
Mi piace pensare che Matteo indichi al discepolo due tempi e due modalità di sequela. Il bracciante, tale è perché non possiede la terra che coltiva, trova il tesoro per caso, inaspettatamente. Il ricco mercante, invece, trova la perla dopo una lunga ricerca. Sono le due dimensioni presenti in ogni esperienza di fede, in ogni percorso che conduce a Dio: lo stupore di chi scopre qualcosa di inatteso e bellissimo e, insieme, la fatica di cercarlo e di custodirlo. Nel racconto ci sono alcuni dettagli da sottolineare e alcune sfumature sono portatrici di senso ulteriore. L’idea della progressione è ben presente nella parabola: prima viene descritto lo stupore del bracciante per la scoperta, poi la decisione di vendere tutto per acquistare il terreno. Accade anche a noi così: ci avviciniamo (o riavviciniamo) alla fede perché affascinati da qualcuno che ci attrae, perché incontriamo un qualcosa di prezioso che ci affascina. Ma solo dopo che abbiamo davvero messo la ricerca al centro e ci siamo fidati scopriamo tantissime altre cose su Dio e su di noi e possiamo gioire del tesoro della sua presenza!
Un altro dettaglio che mi incuriosisce è il valore della perla. Nell’antichità era considerata la cosa più inestimabile che si potesse possedere, come oggi accade con i diamanti. Le perle si pescavano nel mar Rosso o nei mari dell’Arabia ed erano molto ambite. Il nostro modo di dire sei una perla deriva proprio dal loro valore che giustificava, fra l’altro, la ricerca onerosa del mercante che viaggia per mezzo mondo alla ricerca di qualche pezzo pregiato. Per avere un ordine di idee, Giulio Cesare regalò alla madre di Bruto una perla del valore di sei milioni di sesterzi, circa dodici milioni di euro al valore attuale e pare che Cleopatra ne possedesse una dal valore di ben cento milioni di sesterzi, circa duecento milioni di euro!
Il centro della parabola è in una piccola e splendida frase: apò tes charas spinto dalla gioia. Il bracciante è spinto dalla gioia. La gioia inattesa ed improvvisa di avere scoperto qualcosa di inimmaginabile lo spinge a fare delle scelte drastiche, irrevocabili. Così si presenta il Dio di Gesù, come il portatore di una gioia ineguagliabile. Ed è la gioia a spingere il bracciante a raccogliere tutti i suoi risparmi per avere denaro sufficiente a comperare il campo in cui è nascosto il tesoro. È la gioia, anche se non viene esplicitata, a muovere il mercante di perle che, nel suo girovagare, trova la perla più preziosa di tutte, e che lo spinge a vendere tutto ciò che ha per averla. Entrambi vendono tutto ciò che possiedono: poco, per il bracciante, tantissimo, per il mercante. È un modo esplicito per dire che vale la pena dare tutto ciò che si ha per comprare il campo e la perla. Nulla uguaglia la gioia dello scoprirsi amati da Dio. Molti, nel mondo, pensano che la fede sia qualcosa di giusto, di doveroso, di importante. Ma di mortalmente noioso. E se ne tengono a debita distanza… giustamente. In questa parabola, invece, tutto viene ribaltato. È la gioia che spinge, è la gioia che e convince, è la gioia che fa cambiare. Per questa ragione Dovremmo recuperare e praticare la gioia cristiana che non si riduce ad una forte emozione ma che è il frutto di una lunga conversione. La gioia cristiana è una tristezza superata. Sarebbe bello che questa gioia – almeno un poco! – fosse più evidente sui nostri volti, nelle nostre scelte, nei nostri cuori, nelle nostre assemblee.
Il vero cristiano non sottolinea ciò che lascia, ma ciò che trova. Non dice: ho lasciato, ma: ho trovato. Non dice: ho venduto, ma: ho scoperto un tesoro! Il discepolo parla di appartenenza, non di distacco. Noi, spesso, siamo invece più attenti alle cose che abbiamo abbandonato. La vita è una caccia al tesoro, dice Gesù. Ci vuole costanza e fiducia nel cercare, come il mercante, ci vuole passione e curiosità, per lasciarsi incontrare da Dio. Gesù ci presenta l’incontro con Dio come la scoperta di un tesoro, di una perla dal valore inestimabile. Ci dice che l’incontro con Dio e la scoperta del suo Regno è la cosa più bella che ci possa accadere. E giungerà a dire di essere Lui, il Signore, più grande della più grande gioia che siamo in grado di vivere Mt 10,37. Più degli affetti, delle relazioni, delle gioie che la vita ci regala e che siamo chiamati a vivere per rendere gloria a Dio che ce le dona. Più di tutto! Il contadino giunge alla fede per caso. Il mercante dopo un’estenuante ricerca. Ma, entrambi, scoprono una gioia incontenibile, che fa passare in secondo piano tutto il resto, tutto ciò che credevano essenziale.
Dio è gioia, dice Gesù.
Il suo Dio è il Dio della gioia.
Il nostro Dio è il Dio della gioia.