Ascensione Domenica 28 Maggio 2017
Se ne va, il Risorto, torna al Padre, compiendo un inaudito gesto di fede. Folle, profetico, grandioso. Un gesto di fede nell’umanità, in noi, in me. Affida ad uno sparuto gruppo di discepoli, fragili uomini e donne, l’incarico di proseguire l’annuncio, di costruire il Regno, finché Egli venga. Uomini e donne che lo riconoscono Messia e Signore, ma che ancora dubitano, mentre, prostrati, lo adorano mentre sale al cielo.
Perché, come abbiamo visto con Tommaso, il dubbio è parte essenziale nella vita del credente, e il dubbioso, cioè chi è curioso, chi non ha mai finito le sue domande, è come una spina nel fianco che stimola e che ricorda alla Chiesa di non diventare mai arrogante di Dio. Ha fede in noi, il Risorto e ci affida le sue parole, la Parola, e quello che è riuscito a costruire nei suoi tre anni di vita pubblica. Le affida a noi che, invece, vorremmo fuggire, chiedere aiuto, lasciar fare a Lui. Si ribaltano le posizioni, invece: Dio non risolve, affida. Non interviene, chiede. Che storia inaspettata e, nello stesso tempo, fantastica! Eppure sentiamo, dietro il sorriso, la nostalgia di un addio. Come i discepoli della Scrittura: proprio ora che avevano capito, dopo il grande spavento della croce, si ritrovano da soli? Proprio ora che, magari dopo una lunga assenza, mi sono riavvicinato alla fede e ho riscoperto il gusto della preghiera, mi succede quel fatto di dolore e di sofferenza… oppure la mia vita viene segnata da problemi in famiglia o sul lavoro…
Gesù ascende al cielo per essere per sempre presente. Non vincolato da un corpo, non segnato dallo spazio e dal tempo. Ma presente sempre ed in ogni luogo. Come scrive Mauriac: “Dal giorno dell’Ascensione noi abbiamo un Dio in agguato in ogni angolo della strada”. Paradosso insostenibile del cristianesimo! Prima ci chiede di credere che il Dio si è fatto uomo. Ora ci chiede di credere che Dio si consegna nelle mani di uomini peccatori come noi!
Luca prende ampiamente spunto dall’ascensione del profeta Elia, una pagina conosciuta in Israele e punto di riferimento anche per i nuovi convertiti. Troviamo il racconto nel secondo libro dei Re: il profeta viene rapito in cielo sopra un carro di fuoco, sparisce fra le nubi e il suo discepolo, Eliseo, ha la certezza di ricevere almeno una parte dello spirito profetico, avendolo visto sparire. Luca descrive l’evento dell’Ascensione di Gesù usando lo stesso paradigma: le nubi, simbolo dell’incontro con Dio: ricordiamo il Sinai.. il Tabor, i due uomini che richiamano i due angeli testimoni della resurrezione, il bianco delle vesti, segno del mondo divino…
Il cuore del racconto non è, quindi, la descrizione di un prodigio miracoloso, ma la descrizione di una consegna: come Eliseo riceve lo spirito della profezia da parte di Elia, così gli Apostoli ricevono il mandato dell’annuncio da parte di Gesù. L’Ascensione segna l’inizio del tempo della Chiesa. Sono gli angeli a dare la chiave interpretativa dell’evento: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». I discepoli del risorto sono chiamati ad annunciarlo, finché egli venga, a renderlo presente. La Chiesa, allora, diventa il luogo dell’incontro privilegiato con il Risorto, e assolve il suo compito solo quando rende presente il Vangelo. Matteo ci dice come. Diversamente da Luca, Matteo situa l’addio in Galilea, su un monte. Il monte rappresenta il luogo dell’esperienza divina: solo chi l’ha incontrato può raccontarlo ed essere credibile. E in Galilea: il luogo della frontiera, del confine, dei pagani, dei traditori ma, anche, il luogo dove tutto è iniziato, il luogo dell’incontro, dell’innamoramento. Solo attingendo alle esperienze che ci hanno convertito possiamo annunciare con verità il Signore.
Ecco cosa significa non guardare il cielo: partire dalla povertà della mia persona, delle persone che amo, dei miei preti e della mia Chiesa, dal senso di disagio che sento nel vedere i miei politici, dove tutti parlano e tutti hanno ragione, dall’impressione di vivere ancora un tempo forte di crisi non solo economica, ma anche di valori e di rapporto con le persone… Qui ed ora, proprio qui ed ora siamo chiamati a realizzare il Regno, a rendere presente la speranza. In questa Chiesa fragile, in questo mondo fragile… ma che Dio ama! Allora non ci stupisce più il dubbio dei discepoli, che è anche il nostro dubbio. Gesù ci rassicura: non siamo soli, egli è con noi. È iniziato il tempo della Chiesa, fatta di uomini e donne fragili che hanno fatto esperienza di Dio e lo raccontano nella Galilea delle genti, nel mondo di oggi e alle persone concrete che Lui mette sulla mia strada ogni giorno. È il nostro tempo, è giunto il momento di dire il nostro "sì" al progetto di Dio. È terminato il tempo di Gesù sulla terra: è iniziato il tempo della Chiesa, quel tempo in cui, forti dello Spirito Santo, abbassato lo sguardo verso la quotidiana realtà di questo mondo, ci rimbocchiamo le maniche e costruiamo quel pezzo del Regno di Dio che ci è stato affidato. Bisogna tornare alle origini della nostra fede, al momento in cui Gesù ha posto lo sguardo su di noi e ci ha conquistato, e noi lo abbiamo seguito.
È Lui la forza!
È Lui la strategia vincente!
Non ce ne sono altre!