XXII del Tempo Ordinario 28 Agosto 2016
Quando osservavo le persone in Brasile contare con le dita della mano, all'inizio ero perplesso e divertito. Sì, perché mentre noi contiamo dall'uno al cinque partendo dal pollice per arrivare al mignolo, laggiù contano in modo esattamente contrario, ossia partendo dal mignolo, il dito più piccolo, per arrivare al dito più grande.
E credo che questo avvenga in diversi altri paesi del Sud del mondo. Quel Sud in cui chi è "primo" - perché numericamente più consistente e umanamente più significativo - non è "il più grande", ma esattamente il contrario, ovvero il più piccolo. Forse - a me piace pensarlo così - anche Gesù contava a partire dal mignolo. E non perché fosse del Sud del mondo, ma perché era "piccolo", si era fatto piccolo, da grande che era. Non è nato piccolo, Lui era nato grande, era grande per il Padre da cui proveniva. Poi un processo di abbassamento - di "kenosis" come viene definito in teologia, lo "svuotamento" - ha imparato a farsi piccolo.
Lo ha imparato pure lui, in tanti modi: anche partecipando - quando era invitato – a un banchetto in suo onore, offerto a lui non da ultimi e poveri, ma da gente potente che desiderava ascoltare il Maestro, quasi solo per metterlo alla prova, per osservarlo, come dice il Vangelo di oggi. Ed egli non si fa attendere, e risponde allo sguardo di osservazione con uno sguardo di uguale intensità: anch'egli osserva, osserva e nota come molti di essi scelgano i primi posti ai banchetti. Forse anche osservando i farisei, che tutto facevano meno che abbassarsi e svuotarsi, Gesù impara ad annullarsi e a farsi ultimo, terminando il suo cammino solo tre giorni prima di risorgere, sulla croce.
E allora, è un gioco facile per l'evangelista mettere in bocca a Gesù, sulla scorta del suo "spogliare se stesso fino alla morte di croce", le espressioni della parabola di oggi. Strana, perché non è la narrazione di un evento o di una storia di vita quotidiana: è il discorso rivolto in prima persona a coloro che erano suoi commensali, quasi a dire loro “Avete sbagliato a sedervi dove siete seduti”. Mettersi ai primi posti non è certo una lezione di umiltà: significa considerarsi i primi, i migliori, quelli degni di posti d'onore a fianco del padrone di casa. Certo, qualcuno che si sieda ai primi posti ci vuole: ma stai tranquillo che non sei tu - sembra dirci il Signore - e comunque anche se sei tu, è scaltro e intelligente non farlo, per evitare di essere sbattuti indietro a causa di un commensale più importante di te. Si è umili quando si rimane a contatto con la terra, con l’humus da cui siamo provenuti e da cui ancora proviene ogni uomo. E come vi proviene, così vi ritorna. Qui serve qualcosa che sappia di terra e che non ci faccia mai perdere il gusto delle cose "di lassù".
Ecco la virtù dell'umiltà: stessa radice, guarda un po', di "humus" e di "umano": chi si umilia sarà "esaltato", favoloso verbo ebraico e greco che indica la Risurrezione. Perché non c'è morte eterna per chi è umile e sa di terra: è destinato a risorgere. Non sarà così invece perché chi non vive il valore dell’umiltà. Questi non risorgerà, perché continuerà a contare quante persone sono presenti al suo banchetto. E le conterà a partire dal pollice, dal più grande, fino ai personaggi più piccoli, che possono anche - se vogliono - assistere al banchetto da fuori, tant'è, rimanendo fuori, i giochi sono fatti.
Ma il Maestro ci stupisce di nuovo ed inizia a contare dal dito più piccolo, e allora al suo banchetto invita quelli rimasti fuori: poveri, storpi, zoppi, ciechi...quattro gruppi di persone. Ne manca uno, per completare il conteggio con le dita di una mano...il quinto sei tu! Il quinto sono io! Ma...su quale dito della mano ti trovi? Se hai riempito la sala della tua vita di gente che non ha nulla da darti in cambio, allora, in questo caso, va bene pure il pollice: al resto del banchetto, ci pensa Lui, ci pensa Gesù.