1 Domenica di Avvento 2021
La triplice venuta:
nella carne, in spirito e potenza, in gloria e maestà.
Il titolo dell’omelia della II Domenica di Avvento potrebbe essere espresso così: «La triplice venuta». Se vogliamo penetrare nella profondità dell’Avvento troviamo che questo mistero della venuta di Gesù Cristo è insieme uno e triplice. È uno, perché è lo stesso Figlio di Dio che viene; triplice, perché egli viene in tre tempi e in tre modi. «Nella prima venuta - dice San Bernardo nel quinto sermone sull’Avvento - egli viene nella carne; nella seconda viene in spirito e in potenza; nella terza viene in gloria e in maestà; e la seconda venuta è il mezzo attraverso il quale si passa dalla prima alla terza». Ecco il mistero dell’Avvento.
Ascoltiamo la spiegazione che ci da’ Pierre di Blois, scrittore latino del Medioevo e studioso della Teologia, di questa triplice visita di Cristo, nel suo terzo sermone “De Adventu”: «Vi sono tre venute del Signore, la prima nella carne, la seconda nell’anima, la terza con il giudizio. La prima ebbe luogo nel cuore della notte, secondo le parole del Vangelo: «Nel cuore della notte si fece sentire un grido: Ecco lo Sposo!». E questa prima venuta è già passata, poichè Cristo è stato visto sulla terra e ha conversato con gli uomini. Noi ci troviamo ora nella seconda venuta: purché, tuttavia, siamo tali che egli possa venire a noi; poiché egli ha detto che se lo amiamo, verrà a noi e stabilirà in noi la sua dimora. Questa seconda venuta è dunque per noi mista d’incertezza; poiché chi altro, fuorché lo Spirito di Dio, conosce coloro che sono di Dio? Coloro che hanno il desiderio delle cose celesti sanno bene quando egli viene; tuttavia, non sanno né donde viene né dove va. Quanto alla terza venuta, è certissimo che avrà luogo; incertissimo il quando: poiché non vi è niente di più certo che la morte e niente di più incerto che il giorno della morte.
Al momento in cui si parlerà di pace e di sicurezza, allora la morte apparirà d’improvviso, come le doglie del parto nel seno della donna, e nessuno potrà fuggire. La prima venuta fu dunque umile e nascosta, la seconda è misteriosa e piena d’amore, la terza sarà risplendente e terribile. Nella sua prima venuta, Cristo è stato giudicato dagli uomini con ingiustizia; nella seconda, ci rende giusti mediante la sua grazia; nella terza, giudicherà tutte le cose con equità: agnello nella prima venuta, leone nell’ultima, amico pieno di tenerezza nella seconda.
La prima venuta.
La Santa Chiesa, durante l’Avvento, aspetta con lacrime e impazienza la visita di Cristo Redentore nella sua prima venuta. Essa prende per questo le ardenti espressioni dei profeti, alle quali aggiunge le proprie suppliche. Sulla bocca della Chiesa, i sospiri rivolti al Messia non sono solo una semplice commemorazione dei desideri dell’antico popolo: hanno un valore reale, un influsso efficace sul grande atto della munificenza del Padre celeste che ci ha dato il suo Figlio. Fin dall’eternità, le preghiere dell’antico popolo e quelle della Chiesa cristiana unite insieme sono state presenti all’orecchio di Dio; e dopo averle tutte ascoltate ed esaudite, egli ha mandato sulla terra quella rugiada benedetta che ha fatto germogliare il Salvatore.
La seconda venuta.
La Chiesa aspira anche alla seconda venuta, seguito della prima e che consiste, come abbiamo visto, nella visita che lo Sposo fa alla Sposa. Ogni anno questa venuta ha luogo nella festa di Natale e una nuova nascita del Figlio di Dio libera i fedeli da quel giogo di servitù che il nemico vorrebbe far pesare su di essa (Colletta del giorno di Natale).
La Chiesa, durante l’Avvento, chiede di essere visitata da Colui che è il suo Capo e il suo Sposo, visitata nella sua gerarchia, nelle sue membra, di cui le une sono vive e le altre morte, ma possono rivivere; infine in quelli che non fanno parte della sua comunione, e negli infedeli stessi, affinché si convertano alla vera luce che splende anche per loro. Le espressioni della liturgia che la Chiesa usa per chiedere questa amorosa e invisibile venuta sono le stesse con le quali chiede la venuta del Redentore nella carne; poiché, fatte le debite proporzioni, la situazione è la stessa. Invano il Figlio di Dio sarebbe venuto venti secoli or sono a visitare e a salvare il genere umano, se non ritornasse, per ciascuno di noi in ogni momento della nostra esistenza, ad apportare ed aumentare quella vita soprannaturale il cui principio viene solo da Lui e dal suo divino Spirito.
La terza venuta.
Ma questa visita annuale dello Sposo non soddisfa la Chiesa; essa aspira alla terza venuta che consumerà ogni cosa, aprendo le porte dell’eternità. Ha raccolto queste ultime parole dello Sposo: «Ecco, verrò presto» Ap 22,20 e dice con ardore: «Vieni, Signore Gesù!» Ibid. Ha fretta di essere liberata dalle condizioni del tempo; sospira il compimento del numero degli eletti, per veder apparire sulle nubi del cielo il segno del suo liberatore e del suo Sposo. Fino a questo punto, dunque, si estende il significato dei voti che essa ha deposti nella liturgia dell’Avvento; questa è la spiegazione delle parole del discepolo prediletto nella sua profezia: «Sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua Sposa è pronta» Ap 19,7.
Ma il giorno dell’arrivo dello Sposo sarà nello stesso tempo un giorno terribile. La Santa Chiesa freme al solo pensiero delle formidabili assise dinanzi alle quali compariranno tutti gli uomini.
Chiama quel giorno «un giorno d’ira, del quale Davide e la Sibilla hanno detto che deve ridurre il mondo in cenere; un giorno di lacrime e di spavento». Non già che essa tema per se stessa, poiché quel giorno fisserà per sempre sul suo capo la corona della Sposa; ma il suo cuore di madre soffre pensando che allora parecchi dei suoi figli saranno alla sinistra del Giudice e che saranno gettati con le mani e i piedi legati in quelle tenebre, in cui non vi sarà che pianto e stridore di denti. Ecco perché nella liturgia dell’Avvento la Chiesa si ferma così spesso a mostrare la venuta di Cristo come una venuta terribile, e sceglie nelle Scritture i passi più adatti a ridestare un salutare spavento nell’anima di quelli tra i suoi figli che dormirebbero un sonno di peccato.
Le forme liturgiche.
Questo è dunque il triplice mistero dell’Avvento.
Ora, le forme liturgiche di cui è rivestito sono di due specie: le une consistono nelle preghiere, letture e altre formule, dove le parole sono usate per rendere vivi i sentimenti; le altre sono riti esteriori adatti a questo tempo sacro e destinati a completare ciò che esprimono i canti e le parole.
Gli occhi del popolo si accorgono della tristezza che preoccupa il cuore della Santa Chiesa dal colore di penitenza di cui si copre. Fuorché nelle feste dei Santi, non veste più che di viola; il diacono depone la dalmatica e il suddiacono la tunicella. Un tempo, si usava in parecchi luoghi il colore nero. Questo lutto della Chiesa mette in rilievo con quanta verità essa si unisca ai veri Israeliti che aspettavano il Messia sotto la cenere e il cilicio, e piangevano la gloria di Sion scomparsa e lo scettro tolto a Giuda «finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli» Gen 49,10.
Esso significa ancora le opere di penitenza con le quali si prepara alla seconda venuta piena di dolcezza e di mistero, che ha luogo nei cuori nella misura in cui si mostrano sensibili alla tenerezza che testimonia loro quell’ospite divino che ha detto: «Io trovo la mia delizia nello stare con i figli degli uomini» cfr. Prov 8,31. Essa geme sulla montagna, come la tortora, fino a quando non si faccia sentire la voce che dirà: «Vieni dal Libano, o mia sposa, vieni... sarai incoronata perché tu hai ferito il mio cuore» cfr. CG 4,8.
Durante l’Avvento, la Chiesa sospende anche, salvo nelle feste dei Santi, l’uso dell’inno angelico: «Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis». Questo canto meraviglioso si fece sentire solo a Betlemme sulla mangiatoia del celeste Bambino; la lingua degli angeli non è dunque ancora sciolta; la Vergine non ha deposto il suo divino fardello; non è tempo di cantare, non è ancora esatto dire: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà!». Così pure, al termine del sacrificio, la voce del diacono non fa più sentire le parole solenni che congedano l’assemblea dei fedeli: «Ite, Missa est». Le sostituisce con la semplice esclamazione: «Benedicamus Domino!» quasi che la Chiesa temesse di interrompere le preghiere del popolo, che non sono mai troppo prolungate in questi giorni di attesa.
Nell’Ufficio della Notte, la Santa Chiesa toglie anche in questi giorni l’inno di giubilo «Te Deum laudamus». Essa aspetta nell’umiltà il supremo beneficio e nell’attesa non può far altro che chiedere, supplicare, sperare. Ma nell’ora solenne, quando in mezzo alle ombre più dense, il Sole di giustizia si leverà d’improvviso, essa ritroverà la voce del ringraziamento; e il silenzio della notte lascerà il posto, su tutta la terra, al grido d’entusiasmo: «Noi ti lodiamo, o Dio! Signore, noi ti celebriamo! O Cristo! Re di gloria, Figlio eterno del Padre! Per la liberazione dell’uomo non hai avuto orrore del seno di una umile Vergine».
Nei giorni di feria, prima di concludere ciascuna ora dell’Ufficio, le rubriche dell’Avvento, prescrivono particolari preghiere che si devono fare in ginocchio; anche il Coro deve stare in quella posizione in tali giorni. Sotto questo aspetto, le usanze dell’Avvento sono del tutto identiche a quelle della Quaresima.
Ma vi è una caratteristica speciale, che distingue questi due tempi: il canto dell’allegrezza, il gioioso Alleluia, non è sospeso durante l’Avvento, tranne nei giorni di Feria. Nella Messa delle quattro domeniche si continua a cantarlo; e forma un certo contrasto con il colore austero degli ornamenti. C’è anche una domenica, la terza, in cui persino l’organo ritrova la sua grande e melodiosa voce, e il triste apparato viola può per un poco lasciare il posto al rosa. Questo ricordo delle gioie passate, che si trova così in fondo alle sante tristezze delle Chiesa, esprime abbastanza chiaramente che, pur unendosi all’antico popolo per implorare la venuta del Messia e pagare così il grande debito dell’umanità verso la giustizia e la clemenza di Dio, essa non dimentica tuttavia che l’Emmanuele è già venuto per lei, che è in lei e che prima che apra la bocca per implorare la salvezza già è riscattata e segnata per l’unione eterna. Ecco perché ai suoi sospiri unisce l’Alleluia, perché sono impresse in lei tutte le gioie e tutte le tristezze, nell’attesa che la gioia sovrabbondi sul dolore, nella notte santa che sarà più radiosa del giorno più fulgido.
Sia lodato Gesù Cristo.