3 Domenica di Pasqua 2019
«Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?» Gv 21,17.
Si riparte, di nuovo! E si riparte «sul mare di Tiberiade». Si riparte dalla Galilea, si inizia un cammino nuovo, e si riparte da capo, come tre anni prima. E si parte con sette discepoli, il numero della totalità, della perfezione. Gli Apostoli sono tornati là dove tutto ha avuto inizio, al loro mestiere di prima, alle parole di sempre: «Vado a pescare, veniamo anche noi»… e poi notti di fatica, barche vuote, volti delusi.
Tornare a pescare, tornare a fare ciò che si era sempre fatto.
Ecco l'errore: pensare che tutto quello che è stato fatto in tre anni sia stato un bel sogno, una bella avventura terminata, e che ora bisogna ritornare alla dura realtà di sempre. I discepoli non hanno ancora capito che non possono tornare alla vita di prima. Continuano ad attaccarsi al loro passato. Ma il risultato del loro ritorno al passato è che «in quella notte non presero nulla». Non sanno più fare nemmeno ciò di cui erano ben esperti. E poi, come si può pretendere, nella luce della Pasqua, di fare qualcosa di buono «di notte»?
Gesù aspetta Pietro e gli altri alla fine della notte. Gesù ci aspetta sempre alla fine della notte… di ogni notte. Difatti, perché succeda qualcosa di buono, bisogna aspettare «quando già era l'alba». Il clima è pesante. Nessuno fiata mentre riassettano le reti. Un silenzio rotto solo da quell’uomo che si avvicina e chiede notizie sulla pesca. Nessuno ha voglia di parlare la schiena curva, il capo chino, il cuore asciutto. Ma quell’uomo insiste, sembra proprio la persona sbagliata al momento sbagliato. E questi incontri accadono sovente anche a noi.
«Riprendete il largo e gettate le reti». Tutti si fermano. Andrea guarda Giovanni che guarda Tommaso che guarda Pietro: «Come scusa? Cos'ha detto? Cosa?». Le stesse parole del falegname di Nazareth, tre anni prima. Nessuno fiata, riprendono il largo, gettano le reti e accade. Nessuno fiata, nessuno osa parlare… ma sanno, sanno, sanno!
È Lui! Nemmeno a volerlo riescono a riconoscere Gesù, perchè Lui si presenta in un'altra dimensione, che non è quella dell'uomo vecchio. Occorrono gli occhi della fede. Ma non tutti possono capire anzi, capisce uno solo. Solo Giovanni, che stava sotto la croce e ha amato fino alla fine, può riconoscere il Signore. La professione di fede non si fa né con la bocca né con la mente, ma con il cuore: solo chi ama sa che Gesù è il Signore.
L'ultima apparizione di Gesù è raccontata nel contesto della normalità della vita quotidiana. Dentro di essa, nelle azioni di tutti i giorni anche a noi è dato di incontrare Colui che abita la vita e le persone. Gesù ritorna da coloro che l'hanno abbandonato ed è Lui che si inginocchia davanti al fuoco di brace, come una madre che si mette a preparare da mangiare per i suoi di casa. È il suo stile: tenerezza, umiltà, custodia. Amici, vi chiamo, non servi. Ed è molto bello che chieda: portate un po' del pesce che avete preso! E il pesce di Gesù e il tuo finiscono insieme e non li distingui più.
In questo clima di amicizia e semplicità, seduti attorno a un fuocherello, si svolge il dialogo stupendo tra Gesù e Pietro.
C'era ancora un conto in sospeso, dopo la notte del tradimento, e Gesù lo regola a modo suo. Per tre volte nel cortile del Sommo Sacerdote Pietro lo aveva rinnegato: ora, per tre volte, Gesù chiede:
«Mi ami, Simone?».
«Come faccio ad amarti, Rabbì, come oso ancora dirtelo, come faccio?» pensa Pietro. «Ti voglio bene» risponde.
«Mi ami, Simone?». «Basta, Signore, lo sai che non sono capace, piantala!» pensa Pietro. «Ti voglio bene» risponde Simone.
«Mi vuoi bene, Simone?». Pietro tace, ora. È scosso, ancora una volta. È Gesù che abbassa il tiro, è Lui che si adegua alle nostre esigenze. Pietro ha un groppo in gola. A Gesù non importa della fragilità di Pietro, né del suo tradimento, non gli importa se non è all'altezza, non gli importa se non sarà capace. Chiede a Pietro solo di amarlo come riesce. «Cosa vuoi che ti dica, Maestro? Tu sai tutto, tu mi conosci, sai quanto ti voglio bene».
«Mi ami, Simone?».
«Come faccio ad amarti, Rabbì, come oso ancora dirtelo, come faccio?» pensa Pietro. «Ti voglio bene» risponde.
«Mi ami, Simone?». «Basta, Signore, lo sai che non sono capace, piantala!» pensa Pietro. «Ti voglio bene» risponde Simone.
«Mi vuoi bene, Simone?». Pietro tace, ora. È scosso, ancora una volta. È Gesù che abbassa il tiro, è Lui che si adegua alle nostre esigenze. Pietro ha un groppo in gola. A Gesù non importa della fragilità di Pietro, né del suo tradimento, non gli importa se non è all'altezza, non gli importa se non sarà capace. Chiede a Pietro solo di amarlo come riesce. «Cosa vuoi che ti dica, Maestro? Tu sai tutto, tu mi conosci, sai quanto ti voglio bene».
Gesù usa il linguaggio semplice dell'amore, domande risuonate sulla terra infinite volte, sotto tutti i cieli, in bocca a tutti gli innamorati che non si stancano di sapere: Mi ami? Mi vuoi bene? Semplicità estrema di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame; di domande e risposte che anche un bambino capisce perché è quello che si sente dire dalla mamma tutti i giorni. Il linguaggio del sacro diventa il linguaggio delle radici della vita. La vera religione non è mai separata dalla vita: ti voglio bene! E mi basterà, perché il tuo desiderio di amore è già amore. Gesù rallenta il passo sul ritmo del nostro, la misura di Pietro diventa più importante di se stesso: l'amore vero mette il tu prima dell'io. Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d'amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, e un cuore sincero. Nell'ultimo giorno sono certo che se anche per mille volte avrò tradito, il Signore per mille volte mi chiederà soltanto questo: «Mi vuoi bene? ». E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte, soltanto questo: «Ti voglio bene».
Il segno della rinnovata fiducia di Gesù a Pietro sta tutto in quel «Pasci le mie pecorelle»: è il rinnovamento del Primato, ma questa volta più forte, perché passato attraverso il tradimento e il perdono, la morte e la risurrezione. E a Pietro il Maestro non offre certo un futuro di gloria: il destino del discepolo di Cristo è un altro. L'entusiasmo, lo sappiamo, ci spinge a correre e ad andare dappertutto. Ma la realtà del seguire Cristo è ben diversa: prima, si naviga «fino al largo», ma poi la barca serve solo per tirare dentro i remi, e per farsi traghettare verso il martirio e la croce. Pietro ha finalmente imparato la lezione. Adesso, e solo adesso, Gesù lo invita a seguirlo: dopo il rinnegamento, il pentimento, la croce, l'annuncio della Risurrezione e la corsa alla tomba vuota, il dono dello Spirito Santo, la nuova professione di fede, la riconferma del Primato e l'annuncio del martirio.
«Ecco, adesso puoi seguirmi, adesso sei pronto», dice il Signore a Pietro. E lo dice ad ognuno di noi.
È impensabile seguire Gesù se non accettiamo di caricarci della croce quotidiana e poi camminare dietro a Lui. Anche questa è la Vita Nuova in Cristo. Sorride, ora, il Signore. Pietro è pronto: saprà aiutare i fratelli, sarà un buon Papa…il primo Papa.
Sorride il Signore e gli dice: «Seguimi».
Ora è veramente Pasqua anche per lui.
Sia lodato Gesù Cristo.
Sorride il Signore e gli dice: «Seguimi».
Ora è veramente Pasqua anche per lui.
Sia lodato Gesù Cristo.