3 Domenica di Quaresima 2019
Un roveto che arde, ma che non si consuma...mai!.
«Il luogo sul quale tu stai è suolo santo!» Es 3,5.
Terza Domenica di Quaresima, per noi discepoli di Gesù, una Quaresima di attesa dei cieli nuovi e della terra nuova che Gesù ci porterà con la sua Risurrezione, con la sua vittoria della vita sulla morte. Una Quaresima che proclama che Dio è magnifico, splendido, luminoso. La prima lettura ci presenta la figura di Mosè e il bellissimo brano del roveto ardente. Mosè era potente in parole e in opere, istruito, adottato dalla figlia del faraone, salvato dalle acque. Quando sta per compiere i 40 anni...
«Il luogo sul quale tu stai è suolo santo!» Es 3,5.
Terza Domenica di Quaresima, per noi discepoli di Gesù, una Quaresima di attesa dei cieli nuovi e della terra nuova che Gesù ci porterà con la sua Risurrezione, con la sua vittoria della vita sulla morte. Una Quaresima che proclama che Dio è magnifico, splendido, luminoso. La prima lettura ci presenta la figura di Mosè e il bellissimo brano del roveto ardente. Mosè era potente in parole e in opere, istruito, adottato dalla figlia del faraone, salvato dalle acque. Quando sta per compiere i 40 anni...
gli viene l'idea di difendere gli Ebrei e di liberarli dagli Egiziani, ma dopo averne ucciso uno, deve fuggire velocemente e mettersi in salvo. Credeva di poter contare sulle sue forze per salvare il suo popolo, diventarne il condottiero che l'avrebbe liberato dalla schiavitù d'Egitto e invece… Deve fuggire e rimanere 40 anni nel deserto a fare praticamente niente, sicuramente non il condottiero di un popolo, ma il pastore di un gregge neanche suo, ma di suo suocero, e perde ogni velleità di fare il leader. Ma i tempi di Dio non sono i nostri tempi e i suoi progetti non sono i nostri progetti. Quando Mosè ha ormai 80 anni e non ha più nessuna intenzione di partire, Dio lo chiama da un roveto che arde senza consumarsi. Pieno di meraviglia si avvicina e si sente chiamare due volte per nome - le grandi chiamate bibliche hanno questo particolare della doppia chiamata - «Abramo, Abramo», «Samuele, Samuele», «Mosè, Mosè», segno che contraddistingue un grande destino. Pensate Mosè: in pieno deserto dove non c'era anima viva si sente chiamare per nome! Pieno di paura si avvicina e risponde «Eccomi». Ma la voce lo blocca: «Fermati, togliti i sandali, perché il luogo dove stai è un luogo sacro».
Mosè, che ha ben presente di essere un povero fallito, rifugiato da ormai 40 anni nel deserto, non si fa più nessuna illusione, ma è proprio ora che il Signore lo investe di una missione e lo manda. Allora capisce che non aveva capito niente, perché l'iniziativa parte sempre da Dio - a volte ci vuole tutta una vita per capire che non avevamo capito niente -. Quando aveva deciso lui di farsi condottiero del suo popolo, era stato rispedito per 40 anni, ma ora non è lui che decide, ma Dio che lo manda. Dio rilancia la vita di Mosè. Proprio quando sembra non ci sia più nessuna speranza, anche quando Mosè ha rinunciato a sperare… Dio non perde la speranza e lo rimette in strada. Lo ripesca nelle lande sperdute di Madian e gli ridona vita, affidandogli un compito grandioso. Iniziano i «terzi» 40 anni della vita di Mosè, il tempo della fede e dell’affidarsi. Proprio quando Mosè non ne ha più voglia, proprio quando sembra si sia arreso e adattatato al tran tran della vita tra le capre di Ietro e i pascoli di Madian. Un roveto che brucia e non si consuma… è il simbolo di qualcosa di eterno, di importante, di definitivo. Mosè si era adattato alle cose quotidiane… e ora la sua vita viene rilanciata da un Dio che gli chiede di avere uno sguardo profondo, di non fermarsi in superficie, di avere una prospettiva grande, un orizzonte di eternità, un guardare oltre… ecco la fede! L’iniziativa è di Dio, ma il cuore di Mosè è indispensabile: «Voglio avvicinarmi a vedere…». Nonostante l’esperienza di Madian, il cuore di Mosè è rimasto un cuore in ricerca, che si mantiene in ascolto, che sa stupirsi, che vuole andare in profondità. È questo il segreto di partenza della vera fede: se mi accontento e se non scruto in profondità la realtà in cui vivo… non sarò mai uno che crede fino in fondo.
Mosè, che ha ben presente di essere un povero fallito, rifugiato da ormai 40 anni nel deserto, non si fa più nessuna illusione, ma è proprio ora che il Signore lo investe di una missione e lo manda. Allora capisce che non aveva capito niente, perché l'iniziativa parte sempre da Dio - a volte ci vuole tutta una vita per capire che non avevamo capito niente -. Quando aveva deciso lui di farsi condottiero del suo popolo, era stato rispedito per 40 anni, ma ora non è lui che decide, ma Dio che lo manda. Dio rilancia la vita di Mosè. Proprio quando sembra non ci sia più nessuna speranza, anche quando Mosè ha rinunciato a sperare… Dio non perde la speranza e lo rimette in strada. Lo ripesca nelle lande sperdute di Madian e gli ridona vita, affidandogli un compito grandioso. Iniziano i «terzi» 40 anni della vita di Mosè, il tempo della fede e dell’affidarsi. Proprio quando Mosè non ne ha più voglia, proprio quando sembra si sia arreso e adattatato al tran tran della vita tra le capre di Ietro e i pascoli di Madian. Un roveto che brucia e non si consuma… è il simbolo di qualcosa di eterno, di importante, di definitivo. Mosè si era adattato alle cose quotidiane… e ora la sua vita viene rilanciata da un Dio che gli chiede di avere uno sguardo profondo, di non fermarsi in superficie, di avere una prospettiva grande, un orizzonte di eternità, un guardare oltre… ecco la fede! L’iniziativa è di Dio, ma il cuore di Mosè è indispensabile: «Voglio avvicinarmi a vedere…». Nonostante l’esperienza di Madian, il cuore di Mosè è rimasto un cuore in ricerca, che si mantiene in ascolto, che sa stupirsi, che vuole andare in profondità. È questo il segreto di partenza della vera fede: se mi accontento e se non scruto in profondità la realtà in cui vivo… non sarò mai uno che crede fino in fondo.
«Il roveto brucia e non si consuma».
Mi accontento delle piccole cose quotidiane o riesco ad avere uno sguardo attento e profondo sulla realtà che mi circonda?
In poche parole: com’è in questo momento la mia fede e il mio rapporto con Dio?
Perché la fede è una chiamata di Dio e un mettersi a disposizione, perché Lui possa operare.
Mi accontento delle piccole cose quotidiane o riesco ad avere uno sguardo attento e profondo sulla realtà che mi circonda?
In poche parole: com’è in questo momento la mia fede e il mio rapporto con Dio?
Perché la fede è una chiamata di Dio e un mettersi a disposizione, perché Lui possa operare.
«Mosè disse a Dio: ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: - Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi: il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Ma mi diranno: Come si chiama? E io cosa risponderò?- Dio disse a Mosè: Io sono colui che sono».
Per la prima volta il racconto del Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia, introduce il nome di Jahvé, che deriva dal verbo ebraico hàjah = essere. A differenza degli equivalenti nei linguaggi occidentali, hàjah non esprime il puro essere ed esistere, ma piuttosto l'efficacia dell'essere in azione, diametralmente opposta alla sterilità muta del nonessere che qualifica gli idoli. Accogliere Dio come «Colui che è» significa credere alla sua presenza nella storia, una presenza operante ed efficace. In altre parole, il suo Nome ci dice che il nostro Dio è fedele alle sue promesse ed impegna la sua potenza per liberare quelle energie di bene che abbiamo nel cuore. Si potrebbe dire: «Io ci sono, Io sono con te, Io sono per te». Dio si definisce, o meglio si fa conoscere, in ciò che fa per Israele. Per capire chi è Dio, guardiamo cosa ha fatto e cosa fa: Dio si rivela nella storia e si rivela come colui che libera e che salva. Dunque, quando gli Israeliti chiederanno: «Chi è questo Dio?», Mosè risponderà: «Lo vedrete da quello che egli compirà tra voi». L'espressione ricorre nei fatti dell'Esodo: «Saprete che io sono il Signore» cf. Es 6,7; 10,2; 16,6.12. Tutta la storia dell'Esodo, e tutta la storia di Israele, diventa spiegazione del Nome rivelato nel roveto ardente. Tutta la storia dell’uomo e la storia della Chiesa, è capire il significato del Nome di Dio; e anche la nostra storia personale. Dio non può essere rinchiuso in definizioni statiche: egli si rivela continuamente e nuovamente a chi sa guardare le sue opere. Nella Gerusalemme del cielo, oltre i deserti della storia, la rivelazione del Nome sarà piena. Nella dimora di Dio con gli uomini, essi porteranno il suo Nome sulla fronte Ap 22,4; perché solo allora si è conosciuto Dio, quando si è fatta l'esperienza della sua salvezza. Ecco quindi che non siamo noi a scegliere, anche quando abbiamo l’impressione che sia così.
Questa è la svolta decisiva per la vita di Mosè: non è più lui che parte, in nome della sua bravura, delle sue paure, del suo senso di giustizia, di quanto ha imparato a corte, della sua formazione… ma è inviato ad accogliere un incarico di Dio, si sente inviato, finalmente comprende che la sua disponibilità non è fondata sulle sue capacità, ma è un dono del Signore, è un invito che chiede il mio sì, è una chiamata che nasce dall’ascolto di Dio e dall’ascolto del proprio cuore. «Ma chi sono io per….?». Emergono ancora i dubbi, le incertezze. Mosè ha già sperimentato la sua fragilità, la sua vulnerabilità. Dio lo invita a non perdersi d’animo e con parole forti e sicure lo incoraggia. È Dio stesso il garante della sua opera! «Io sarò con te…» è la parola decisiva. «Il Dio dei vostri padri», colui che già ha compiuto prodigi nella vita di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, sembra riprendere in mano la storia e prendersi cura di nuovo del suo popolo. Dio non si era dimenticato… aveva solo aspettato Mosè, con i suoi tempi, con le sue fatiche…con la necessità che aveva di perdere 40 anni a Madian, di sperimentare l’inutilità della sua vita tra le capre di Ietro… prima di capire che la vita ha un senso solo se ha un obiettivo grande, se diventa servizio ai fratelli, progetto di liberazione attuato non nel proprio nome, ma «nel nome del Signore».
Dio sembrava aver dimenticato Mosè mentre era fuggito a Madian e invece si è preso cura di lui in modo speciale: lo ha aspettato, non ha forzato la mano, gli ha dato tutto il tempo necessario perché comprendesse che liberare il suo popolo è anzitutto un servizio alla sua vita, alla vita di Mosè. Altro che le capre di Madian! Servire i fratelli è la più grande opportunità per la mia vita…perché consente di darle un senso, di sentirmi una persona che vive per qualcosa, per qualcuno, per un ideale grande, per un progetto che Dio mi affida per il bene mio e dei miei fratelli. Dio lo ha aspettato con pazienza…ora Mosè è pronto a partire per questa nuova avventura, per questa terza, decisiva fase della sua vita.
«Caro Mosè – sembra dirgli Dio – i segni servono per gli altri, è vero. Ma servono soprattutto per te. Per te che a volte sei sfiduciato, che hai l’impressione di perdere il tuo tempo, che dici “Ma chi me l’ha fatto fare di imbarcarmi in questa avventura?”. I segni servono per ricordarti continuamente che tutta questa storia mi sta proprio a cuore, che è opera mia, più che opera tua…che chiedendoti di prenderti cura degli altri io mi sto prendendo cura di te. Non temere e diventa anche tu un segno vivente del Dio che libera, che salva, che ama e che non perde mai la speranza nei confronti dell’uomo e nella sua capacità di recupero». Nelle opere di Dio bisogna passare dal voler andare, all'essere mandati. La missione ti deve essere affidata. E a Mosè, per capire questo, ci sono voluti 40 anni. Ma ora è pronto: ha 80 anni. Quando si sente ormai inadeguato Dio lo manda: ora và! Bisogna passare dal voler fare qualcosa, fosse anche per la gloria del Signore, all'essere mandati da Lui. Queste sono le credenziali: «Dirai: Io Sono mi manda. Questo è il mio Nome per sempre». Ed è nel mio nome che ti mando.
Anche noi, in queste poche settimane che ci separano dalla Pasqua, possiamo toglierci i sandali e sprofondarci nella preghiera davanti al roveto che arde, ma che non si consuma… mai!
Sia lodato Gesù Cristo.