Sanctificetur Nomen tuum
«Sanctificetur Nomen tuum» Gennaio 2019
«Sia santificato il tuo Nome» Mt 6,9b.
«Sia santificato il tuo Nome» Mt 6,9b.
Quando Mosè chiede il nome a Dio, la risposta non è una parola, ma una frase ebraica: «Io sono colui che sono» o «Io sono YHWH»: il nome di Dio è composto da quattro consonanti attinenti al verbo essere, che per rispetto era ed è considerato impronunciabile dagli Ebrei e perciò nella lettura sostituito con Adonay «Signore». Soltanto molto più tardi i Masoreti vi aggiunsero le vocali prendendole da Adonay, proprio per evitare che potesse essere pronunciato in altro modo; ecco come si è arrivati alla forzatura rappresentata dall’ibrido «Yehowah» e quindi all’italianizzato «Geova», utilizzato nella Bibbia dei Testimoni di Geova.
Il nome «Geova» è la resa italiana del tetragramma biblico, la sequenza di lettere che compongono il nome del dio giudaico-cristiano, con l'aggiunta delle vocali di «Adonai». Occorre precisare che la corretta pronuncia del nome di Dio (יהוה, YHWH), contenuto nel solo testo ebraico 6.828 volte, nel corso dei secoli è andata perduta. La ragione di ciò va individuata nell'atteggiamento degli scribi e dei Masoreti, i quali temevano che l'uso del nome di Dio comportasse la violazione del divieto biblico di nominare il nome di Dio invano; pertanto evitarono di utilizzarlo, sostituendolo con il termine «Signore». Il nome Geova, pur vantando un uso addirittura antecedente alla fondazione del movimento dei Testimoni di Geova, ad esempio presso i teologi medioevali non rappresenta neppure per i testimoni l'esatta pronuncia del nome di Dio. Affermano che il non conoscere la giusta vocalizzazione del nome divino non autorizza a non usarlo. Per loro l'uso del nome di Dio ha valenza teologica per identificare e santificare il Dio della Bibbia; l'importante è che tale nome sia usato e conosciuto nella propria lingua e per questo accettano l'uso del termine «Geova». I Testimoni di Geova affermano che le religioni, in verità, non hanno mai insegnato che il nome di Dio è Geova. «Noi - dicono - intendiamo restituire dignità e onore al Suo glorioso nome». Sostengono questo dicendo che Gesù, insegnando il Padre Nostro disse rivolto al Padre: «Sia santificato il tuo nome!», quindi questo dimostra che Dio ha un nome proprio come noi. Citano anche Gv 17,6: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini...», e Rm 10,13: «Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato». Per loro dunque non è sufficiente chiamarlo Dio, perché ciò si riferisce alla sua posizione, né Padre perché è un nome comune. È evidente che questa «affermazione bomba» insospettisce chiunque non conosca il contesto delle Sacre Scritture. I Testimoni di Geova sostengono che Dio abbia rivelato chiaramente il proprio nome al suo popolo, e citano la loro traduzione di Is 42,8: «Io sono Geova, questo è il mio nome...»; mentre altre versioni danno: «Io sono il Signore (o l'Eterno), questo è il mio nome»; e concludono che Geova li ha incaricati di restituire la gloria al Suo nome.
Qual’è la giusta traduzione? È fermo il fatto che la parola corrispondente al nome è un tetragramma di sole consonanti: YHWH.
Questo tetragramma è la terza persona singolare maschile, forma semplice, modo indicativo, tempo imperfetto (che in ebraico indica semplicemente una azione non finita), del verbo HAYAH = Essere. La traduzione esatta in italiano è: Colui che è, che era e che sarà; per questo molte versioni hanno adottato «l'Eterno». Lo scritto dell'Antico Testamento in origine era composto di sole consonanti e veniva vocalizzato oralmente durante la lettura. Il nome di Dio, YHWH, non veniva pronunciato, ma era sostituito dall'appellativo ADHONAI. I Masoreti (scribi e copisti dell'Antico Testamento), quando aggiunsero le vocali, applicarono a YHWH le vocali di Adhonai, e, per una mutazione vocalica ne è uscito l'ibrido Yehowah, ma nella lettura pronunciavano sempre Adhonai. Il nome Geova non è altro che una traslitterazione, e per giunta sbagliata, del tetragramma riferente a Dio, mentre con YHWH Dio ha voluto trasmetterci un «contenuto», che evidenziasse la sua eternità, la sua essenza. È quindi assurdo tradurre YHWH con un nome proprio. I Masoreti erano Rabbini che fra il 500 e il 950 d.C. si occuparono di mantenere integra la pronuncia delle parole e il testo originale. Trascrissero tutti gli antichi testi di sole consonanti, aggiungendo le vocali secondo la giusta pronuncia. Infatti i manoscritti dell'AT non sono più vecchi del 900 d.C..
Nella Bibbia ci sono più nomi e titoli dati a Dio, come Elohim e Adhonai, che a volte sono usati anche per altri esseri inferiori. Ma quando sono usati per Dio, lo Spirito Santo ha aggiunto sempre aggettivi complementari come: giusto, santo, potente (Sal 11,7; Mi 4,13; Ap 4,8). Quando viene indicato invece un dio falso, il contesto dimostra che è creato, limitato o straniero.
Nei testi ebraici il Tetragramma, però, viene usato soltanto per Dio, il Creatore, che si è rivelato a Noè, ad Abramo ed a Mosè. Quindi una traduzione perfetta del Tetragramma non è possibile, e tenendo presente i passaggi da una forma all'altra praticati dagli ebrei, si può dire che la traduzione «l’Eterno» è ancora la più giusta, perché esprime il concetto del Tetragramma.
Nel tempo in cui iniziarono gli eventi del NT, gli Ebrei avevano quasi cessato di usare l'ebraico e parlavano l'aramaico e il greco. Fuori dall'ambiente però pochi avrebbero potuto leggere l'ebraico, il greco era invece diventato la lingua internazionale. Fra gli scrittori del NT solo Luca era Gentile, eppure Dio lì guidò a scrivere in greco per farsi capire in tutto il mondo. L'antico dialetto greco, detto Koinè era la lingua del popolo, il linguaggio più comune all'età ellenistica fra il 300 a.C. e il 500 d.C.. Il NT fu scritto in Koinè; secondo la tradizione solo il Vangelo di Matteo è scritto in ebraico o aramaico. Gesù e gli apostoli quasi certamente parlavano anche il greco. È importante rilevare che in tutto il Nuovo Testamento la parola «Dio» non è scritta con il Tetragramma e neanche con Geova, ma con il greco Kyrios, che significa Signore, che nell'Antico Testamento corrisponde ad Adhonai. Anche quando un autore nel Nuovo Testamento cita un brano dell'Antico Testamento in cui si trova il Tetragramma, scrive sempre il greco Kyrios e non Geova. I Testimoni di Geova invece, del tutto arbitrariamente, ogni volta che in greco incontrano Kurios (Signore) o Teos (Dio), traducono Geova Dio, salvo quando la parola «Kyrios» è riferita a Cristo. Consideriamo inoltre la frase di Gesù: «Ho fatto conoscere loro il tuo nome...»; farlo conoscere non vuol dire andare in giro a dire: «Il nome di Dio è Geova...», ma significa far conoscere la Sua volontà, la Sua potenza, la Sua bontà, il Suo amore… e questo lo si fa anche chiamandolo Signore o Eterno o Dio!
Per quanto riguarda i Testimoni di Geova, si può dire che, la discussione sul nome di Dio fa molto rumore, però abbiamo visto che non regge all'esame con le Scritture. La loro riflessione non ha valore; serve solo ad attirare l'attenzione su di loro come portatori di verità, mentre in realtà sono portatori di confusione. È chiaro che non basta essere convinti di aver scoperto la parola (ammettendo che fosse esatta) con cui Mosè, Giosuè, Davide o altri chiamavano Dio, per avere la certezza della conoscenza dell'unico e vero Dio. Non basta pronunciare Geova o qualsiasi altro nome o appellativo per essere approvati da Dio; questo metodo rientra nel concetto della magia, o come pronunciando una parola magica. Gesù è venuto a presentarci ed a farci conoscere il Dio d'Israele come Suo e nostro Padre e la personalità-carattere-nome del Padre è la stessa di quella del Figlio. Quando noi riconosciamo ed accettiamo Gesù per quello che Lui ha detto di essere, allora siamo sulla giusta strada che ci porta alla conoscenza piena di Dio, alla conoscenza piena del Nome (personalità) di Dio.
Che cos'è il Nome?
Per noi il nome è una parola, un suono delle labbra, spesso con poco significato, ma il nome è sempre importante. Con il nome è identificata una persona - grande o piccola, povera o ricca, intelligente o meno - col nome la persona è contraddistinta, col nome viene detta la sua presenza oppure se ne richiama la memoria. Col nome una persona può venir chiamata oppure rifiutata. Il nome è la persona stessa che lo porta! Ogni uomo ha un nome: quand'egli viene accolto nel mondo il primo atto d'amore che riceve è il nome! E Dio ha un nome? Anch'egli deve poter essere identificato, come il Dio vivente, per non essere confuso con le molteplici immagini divine costruite dall'uomo. Dio, il vero e unico Dio che ha dato vita agli uomini e li ha amati, deve poter essere riconosciuto, richiamato alla memoria, interpellato con un suo «nome» che lo distingua dagli idoli vuoti e vani, che non hanno altra relazione con gli uomini se non l'inganno. Non troviamo perciò strana la domanda che Mosè rivolge a quel Dio che lo chiama e lo vuol rimandare in Egitto dagli Israeliti: «Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». Gli uomini vogliono sapere donde viene la voce che li chiama, che li interpella. Voglio sapere chi è colui che mi dà un compito o che mi chiede obbedienza. Non ci si può fidare di uno sconosciuto. Voglio sapere almeno se egli è uno che mi ama. Chiedendo il nome, gli israeliti vogliono sapere se quel «dio» è uno sconosciuto oppure uno con cui già esiste un rapporto o un'esperienza su cui poggiare la propria fiducia. Conoscere il nome di Dio è un'esigenza più che legittima. Gesù stesso durante l'Ultima Cena, nella preghiera rivolta al Padre, riassume così la propria opera in mezzo ai discepoli: «Ho fatto conoscere loro il tuo nome!».
La risposta che il Dio vivente dà a Mosè, e tramite lui al popolo: Egli rivela un «nome» che li aiuti a riconoscerlo con un rapporto di fiducia totale, di abbandono alla sua Sapienza, di amore e, quindi, di obbedienza. L'uomo non incontra Dio quando possiede una parola in più, ma quando sa mettersi davanti a Lui come un figlio, come un bambino. Il «nome» consegnato a Mosè non è un suono, quel nome è l'avvio di un rapporto di fiducia e d'amore. «Io sono colui che è» sta a dire: «Non preoccuparti come chiamarmi, occupati invece di stare con me e di darmi fiducia. Io sono vivo, Io ci sono sempre, puoi fidarti. Io sono qui per te, ti amo, mi occupo di te, non sei solo». «Io sono colui che sono»: non è importante un nome sulle tue labbra, è importante la fiducia nel tuo cuore. Non ti do un nome da possedere, ti do la mia presenza sicura, stabile, fedele. Non aver più paura! «Io sono il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe»: puoi trovarmi nella vita dei tuoi padri, Ho agito con fedeltà già alle radici della tua storia, sono già impegnato con te prima che tu nascessi, ho preparato la tua esistenza con sapienza, con provvidenza, con potenza d'amore. Ho guidato i passi ai tuoi antenati; la tua vita dipende già dal mio agire. Il nome dato a Mosè non è una parola da pronunciare, ma l'avvio di un rapporto con cui rispondere all'amore già impegnato da Dio. Se entriamo a fondo in questo nome di Dio ci accorgiamo che esso è già una preparazione a vivere da figli con il Padre. Giovanni racconta più volte che Gesù ha applicato a sè questa espressione: «Io sono!». «Quando avrete innalzato il figlio dell'uomo allora saprete che Io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre così io parlo» Gv 8,28. Dio, il Dio dei Padri e di Mosè, il Dio fedele alle promesse, si fa identificare e si fa contraddistinguere tramite Gesù. Si manifesta nel Figlio innalzato, nel Figlio obbediente fino alla morte, nel Figlio che porta l'amore sulla croce, nella profondità della sua morte. La fedeltà di Dio e la pienezza dell'Amore che ha creato l'uomo e lo continua ad assistere, si manifesta in Gesù. È Gesù l'«Io sono», l'amore con cui Dio ama il mondo. È Gesù che mostra il vero volto di Dio, che lo mostra come colui che dà la vita, come Padre: «Chi vede me vede il Padre!» e «Io e il Padre siamo uno»!
Nome di Dio, di quel Dio che è Padre per gli uomini, è Gesù: «Egli è immagine del Dio invisibile» Col 1,15. «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» Gv 1,18. Possiamo vedere nella Persona di Gesù il Nome di Dio, perché è attraverso di Lui che il Dio dei Padri, il Padre che ama gli uomini e il mondo, si fa incontrare e amare. Ti ringraziamo, Padre, di non averci dato altro nome con cui chiamarti che la parola con cui i bambini chiamano il loro papà! Ti ringraziamo che hai posto davanti al nostro sguardo il tuo figlio Gesù per conoscerti e per iniziare il nostro rapporto d'amore con te!
Sia santificato il tuo Nome.
Viene santificato chi assume, come unico movente dei propri sentimenti e delle proprie azioni, l'amore di Dio. Chi viene santificato diventa libero, veramente libero, perché agisce e vive solo dall'amore del Padre! Diventando santa, una persona diventa espressione dell'Amore del Padre. Anche noi, con il profeta Geremia, possiamo dire: «Siamo chiamati col tuo Nome!» cfr. Ger 14,9. Per amore del tuo nome santificaci! Il profeta Ezechiele parlava anche e soprattutto di noi cristiani quando diceva: «Santificherò il mio nome grande. Allora le genti sapranno che io sono il Signore, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi» Ez 36,23 ss.
«Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo» Lv 19,2.
Rendici santi, perché tu sei santo! Santificaci, e il tuo Nome sarà santificato.
Il tuo Nome risplenderà glorioso e sarà conosciuto e amato!
Sia lodato Gesù Cristo.