Cristo Re dell'universo

CristoRe2018«Viva Cristo Re!».
«Tu lo dici: io sono Re» Gv 18,37.

 
Solennità di Cristo Re. Il Vangelo ci propone la scena dell'incontro di Gesù con Pilato. Il Re dell'universo sta davanti al rappresentante di una potenza terrena destinata a cadere. Egli, l'uomo che proclama la libertà dei figli di Dio, è prigioniero: Egli, la Santità stessa, è punito come un malfattore. È proprio in questo violento contrasto che appare in tutta la sua grandezza la Missione reale di Cristo Salvatore.
Gesù, interrogato da Pilato, afferma chiaramente di non aspirare ad un potere politico: «Il mio regno non è di questo mondo» Gv 18,36, ma non nega di avere un regno di natura ben diversa. Gesù non rifiuta il titolo di re, ma ne precisa il significato profondo. Mentre il Signore si era sempre sottratto alle folle, che nei momenti di entusiasmo volevano proclamarlo re, ora che sta per essere condannato a morte e si sta avviando alla Croce, confessa chiaramente la sua regalità. E alla domanda di Pilato: «Dunque tu sei re?» Gv 18,37 risponde: «Tu lo dici: io sono re» ivi. Gesù è il Re dell'universo perché è il Figlio di Dio, perché, insieme al Padre e allo Spirito Santo è il Creatore di ogni essere visibile e invisibile. Inoltre, è il Re dell'universo perché, con la sua Incarnazione, Morte e Risurrezione, Egli è il Redentore, ovvero Colui che salva il mondo intero dal naufragio del peccato. Noi tutti siamo di Gesù, apparteniamo a Lui, per creazione e per redenzione: Egli è il nostro Re.
 
Su questa terra, tutte le potenze umane sono destinate a cadere. Solo in Europa, dal 1900 ai nostri giorni, sono cadute ben 24 corone… Tutto passa, passano gli imperi, passano le culture, le civiltà, le persone famose che hanno segnato la storia. La storia insegna che ad un impero ne succede un altro e che tutto ciò che è umano poggia su delle fondamenta vacillanti. Solo il Regno di Gesù Cristo durerà per sempre e la prima lettura di oggi dice chiaramente: «Il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai» Dn 7,14. Lungo i secoli molti hanno cercato di cancellare il Cristianesimo dalla faccia della terra, ma nessuno di essi vi è riuscito. Uno dei più fieri persecutori della Chiesa fu Napoleone, finì la sua vita relegato all'isola di Sant'Elena chiedendo perdono a Dio dei suoi peccati e confessandosi con pentimento da un sacerdote mandato a lui dal Papa.
 
La regalità di Cristo consiste nell'annunciare la Verità, nel condurre gli uomini alla Verità liberandoli da ogni tenebra di errore e di peccato: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» Gv 18,37. Se vogliamo che Gesù regni su di noi, dobbiamo professare la retta Fede, la Fede trasmessa dagli Apostoli che si custodisce nella Chiesa, e vivere in conformità al Vangelo. Non accettare la Fede e la morale della Chiesa significa rifiutare la Verità e allontanarci da Cristo Re. Per questa Fede, molti cristiani hanno affrontato la morte, preferendo la regalità di Cristo piuttosto che la schiavitù del peccato. Uno di questi martiri è stato il beato Michele Pro che rese la suprema testimonianza di fedeltà a Cristo e alla Chiesa durante la violenta persecuzione che scoppiò nel Messico nella prima metà del secolo ventesimo. Egli era un sacerdote gesuita e, durante la persecuzione fino al giorno della sua cattura, esercitò di nascosto il suo ministero sacerdotale in mezzo a pericoli di ogni genere. Venne purtroppo il giorno della sua cattura e, infine, fu condannato alla fucilazione. Morì gridando: «Viva Cristo Re!», entrando così nel Regno eterno preparato per tutti coloro che servono fedelmente su questa terra Gesù, il Re eterno.
 
Chi possiede oggi il coraggio tra i nostri governanti o i nostri Vescovi o Sacerdoti di ergersi contro questi oltraggi alla legge divina, alla ragione, ma soprattutto al nostro Divino Re? Dov'è lo spirito che abbiamo visto cento anni fa in Messico, lo spirito dei Cristeros che si sono opposti al regime anticattolico dello Stato, che prestarono giuramento di fedeltà a Cristo Re e alla Santissima Vergine di Guadalupe, ricevettero il Crocefisso al collo per mano del sacerdote e salutarono i compagni col saluto «Arrivederci in Paradiso» come preludio al loro probabile martirio? Dov’è lo spirito del loro capo, Josè Anacleto Gonzalez Flores, che morì torturato pregando per il suo carnefice, lo spirito espresso nel suo testamento: «Gesù misericordioso! I miei peccati sono più numerosi delle gocce di sangue che versaste per me. Non merito di appartenere all'esercito che difende i diritti della Vostra Chiesa e che lotta per Voi. Vorrei non aver mai peccato in modo tale che la mia vita fosse un'offerta ai Vostri occhi. Lavatemi dalle mie iniquità e purificatemi dei miei peccati. Per la Vostra Santa Croce, per la mia Santissima Madre di Guadalupe, perdonatemi! Non ho saputo fare penitenza dei miei peccati, per questo motivo voglio ricevere la morte come una punizione meritata per essi. Non voglio combattere, né vivere, né morire, se non per Voi e per la Vostra Chiesa. Madre Santa di Guadalupe accompagnate nella sua agonia questo povero peccatore. Concedetemi che il mio ultimo grido sulla terra ed il mio cantico nel Cielo sia: Viva Cristo Re!».

Sia lodato Gesù Cristo!

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