8 del Tempo Ordinario 26 Febbraio 2017

Dalla 1Lettera ai CorinzibisNel quarto capitolo Paolo continua la riflessione sulla responsabilità, ma guardandola dalla parte della comunità, dei credenti. Quali atteggiamenti devono avere verso i loro responsabili? Come devono considerarli? Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Paolo vuole che nessuna incertezza, nessun dubbio, nessun equivoco rimanga nella mente dei Corinzi. Tutto invece deve essere chiaro, tutto conforme ai principi della verità della fede, tutto illuminato dalla chiarezza della rivelazione. Chi è Paolo, chi sono gli evangelizzatori, chi sono gli araldi del Vangelo? Sono ministri di Cristo, suoi inviati, che agiscono per suo conto e in suo nome, con la sua autorità, ma perché solo la volontà di Cristo si compia.

Il primo responsabile è proprio lo strumento attraverso cui Cristo si serve per chiamare ogni uomo alla fede. Costui mai deve prendere il posto di Cristo, mai deve scalzare il suo Maestro e Signore. Egli è servo di Cristo, per portare nel mondo Cristo, la sua volontà, per dare la sua Parola, per dare il suo Corpo e il suo Sangue. Questo deve essere detto con fermezza, precisato con esattezza di termini, con manifestazione precisa di volontà. Amministrare i beni di Dio deve avere un solo significato: dimenticare se stesso, i propri interessi, non guardare in faccia nessuno, spendere tutta la vita amministrando con saggezza, prudenza, verità e giustizia quanto il Signore ha posto nelle sue mani, sapendo che è solo il sangue di Cristo redime e santifica il mondo. Manifestare attraverso il suo comportamento che i beni non sono suoi ma di Dio, ed è stato Cristo che li ha versati e li versa sul mondo dall’alto della croce. Allora tante discordie e divisioni possono essere evitate nel nascere; se questo non avviene, ognuno agirà come meglio gli pare e farà ciò che gli sembrerà meglio, creando il caos spirituale in seno alle comunità. Ognuno deve considerare gli araldi del Vangelo come ministri di Cristo e di Dio.

Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele.
Paolo sa che in ogni comunità sorgeranno sempre divisioni, discordie, gelosie, invidie. Il cuore dell’uomo è questo. Solo Cristo può cambiare il cuore, ma Cristo lo cambia se gli viene affidato. L’affidamento non è una volta per tutte, bisogna che sia ogni attimo, ogni ora, ogni giorno. Sempre, il cuore deve essere affidato a Cristo perché lo trasformi per mezzo del suo Santo Spirito. Essere fedele per Paolo ha un solo significato: dimenticare se stessi, donare solo Dio e la sua verità, pronti a perdere tutto, anche la propria vita, per restare fedeli al Padre. L’amministratore è fedele se è libero, se è povero in spirito, se mette nel suo cuore Cristo, se cammina proteso verso il Signore che lo attende per rivestirlo della sua gloria eterna. L’amministratore è fedele se è pieno lui stesso di fede, quella fede che gli insegna che a nulla giova cercare una qualche gioia o considerazione su questa terra; che solo salendo sulla croce e lasciandosi crocifiggere con Cristo sarà possibile realizzarsi nel tempo e nell’eternità; che la sola gloria che bisogna cercare è quella che viene da Dio.

A me però, poco importa di venir giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io neppure giudico me stesso.
Paolo manifesta qual è il grado della sua libertà, della sua povertà in spirito; il grado del suo amore per Cristo Gesù. Egli è libero dal giudizio di tutti gli uomini, ma in totale dipendenza da Dio come Cristo Gesù. Quando un uomo arriva a questa libertà, potrà essere amministratore dei beni di Dio. Finché penserà al giudizio degli uomini, egli non potrà essere fedele, perché nelle decisioni gravi penserà a come salvaguardare il suo nome presso gli uomini, ignorando o dimenticando di perderlo presso Dio. Dio non vuole una fedeltà a metà. Con Dio o tutto o niente; o si è tutto con Dio, o non si è con Lui. L’amministratore dei misteri di Dio deve dare Dio e deve darlo sempre in ogni sua parte, in ogni sua parola, in ogni suo desiderio. Gli deve interessare un solo giudizio: quello del Vangelo; ogni altro giudizio sull’efficacia o la non efficacia, sull’opportunità o la non opportunità, sulla modalità, o la non modalità non gli deve minimamente interessare. L’azione è stata generata dallo Spirito che opera ed agisce in lui. Molti uomini stolti a volte pensano di poter competere con lo Spirito del Signore e si pongono di fronte a Lui sfidandolo. Ma questa è stoltezza. Questa è solo superbia che nasce dalla non conoscenza delle vie dello Spirito.

Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà.
Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori;
allora ciascuno avrà la sua lode da Dio.

Paolo esorta i Corinzi ad astenersi dal giudizio. L’uomo dovrà invece emettere un giudizio aiutato dalla legge del Vangelo. Ciò che lui sta facendo in questa Lettera è proprio un discernimento sulla verità rivelata che non si riscontra nei comportamenti dei membri della Comunità di Corinto. Deve essere fatto da coloro che hanno nella Comunità l’obbligo della vigilanza, l’obbligo di mantenere nella verità di Cristo e del Vangelo. Non sono loro che giudicano, ma è il Signore che giudica per mezzo di loro. Essi sono solo uno strumento nelle sue mani. Il Signore manda un apostolo che abbandoni la via della menzogna e dell’errore e percorra i cammini luminosi della verità. Il profeta vede con gli occhi di Dio, parla con il cuore di Dio. Solo Dio conosce un cuore, solo Dio lo può giudicare; solo lo Spirito del Signore è la luce di ogni coscienza e solo Lui può dire la responsabilità di un’azione. Il Signore non guarderà le opere in se stesse; guarderà la radice sulla quale l’opera è maturata. Se la radice è tenebra, malizia, intenzione cattiva, non vi sarà lode, ma biasimo e condanna. Se invece la radice sarà sincerità, bontà, desiderio di amare Cristo e di farlo amare dal mondo intero, la lode sarà dono di gioia eterna e un posto nella dimora del cielo.

Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profitto
perché impariate nelle nostre persone a stare a ciò che è scritto
e non vi gonfiate d'orgoglio a favore di uno contro un altro.

Paolo specifica cosa ha detto finora ai Corinzi. Quando ha parlato di Paolo, di Apollo e ha detto che uno pianta e l’altro irriga, egli lo ha detto solo come un esempio. Ciò che interessa è il fine. Nella comunità chi opera, chi conferma, chi fa crescere, chi benedice, è sempre il Signore e quindi è a Lui che va ogni merito. Se è Dio l’autore principale di tutto ciò che avviene, dietro ogni ministro, bisogna sempre saper vedere il Signore e anche dietro se stessi bisogna saper vedere il Signore che è all’opera. Paolo vuole che nella Comunità di Corinto vi sia un altro spirito e cioè lo spirito della purezza del cuore, del non giudizio, della ricerca della verità, del compimento della volontà di Dio, del dare a Dio ciò che è di Dio e all’uomo ciò che è dell’uomo. Ci vuole un altro cuore, un’altra mente, un altro spirito, se si vuole essere comunità di Gesù. È Cristo lo “Scritto” cui devono attenersi, perché Cristo è la Scrittura di Dio per ogni uomo di ogni tempo, è la Lettera di Dio per tutti i credenti in Lui, è quella Lettera d’amore che Dio ha scritto ad ogni uomo perché creda nel nome del suo Figlio Gesù. L’orgoglio, che nasce dalla superbia, è il più grave dei peccati che possano albergare nel cuore dell’uomo. Per un atto di orgoglio si può distruggere il bene costruito con anni e anni di duro lavoro e di sacrificio. Chi è il re? È colui che governa e non è governato, è colui che è autonomo in ogni sua decisione. A Corinto non c’era solo un re, tutti erano diventati re; ognuno si credeva superiore agli altri; si pensava posto da Dio sugli altri. La legge di Cristo, non è quella di considerarci re, bensì servi gli uni degli altri. Paolo vorrebbe che fossero re secondo il modello di Cristo, re di amore, di verità, di servizio, re che danno la vita per gli altri. Questa è la regalità che Paolo vuole per i discepoli di Cristo Gesù. Ma questa regalità si raggiunge sulla croce. Per i cristiani regnare è servire, umiliarsi, portare i pesi degli altri, dipendere totalmente dagli altri. Questa è la regalità che Cristo ci ha insegnato e che vuole che noi viviamo per tutti i giorni della nostra vita. L’apostolo del Signore deve essere in tutto come Cristo. Cristo si è fatto spettacolo in Gerusalemme, per i credenti e per i non credenti, per i giusti e per i peccatori. È salito sulla croce dinanzi al mondo. Questo deve significare, per chi è apostolo, divenire spettacolo nel mondo, dinanzi agli uomini. L’apostolo si fa spettacolo dinanzi al mondo perché rende testimonianza a Cristo a costo della sua vita. Questa è la missione dell’apostolo di Cristo, perché questa è stata la missione di Gesù suo Signore.

Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo;
noi deboli, voi forti;
voi onorati, noi disprezzati.
Paolo descrive il contrasto che c’è tra lui, apostolo del Signore e la comunità di Corinto. Mentre Paolo è divenuto oggetto di giudizio e di condanna a morte, ritenuto da tutti stolto o pazzo per avere creduto in Cristo Gesù, i discepoli del Signore che vivevano a Corinto hanno la certezza nel cuore di essere sapienti. In che consiste la loro sapienza? Nel rendere il Vangelo in tutto conforme alle vanità del mondo e alla loro sete di gloria e di onore. Il Vangelo è tutto orientato alla gloria del Signore. La vera sapienza è rendere a Dio tutta la gloria. Questa sapienza è giudicata dal mondo follia e stoltezza. Mentre la stoltezza del mondo che è ricerca della propria gloria e della propria fama, viene dai Corinzi proclamata sapienza, perché loro sono intenti nella ricerca della propria gloria e della propria lode. Questa è la contraddizione che regna nella comunità e che tradisce il travisamento di tutto il Vangelo. La debolezza di Paolo è debolezza dinanzi al mondo, non dinanzi alla verità o a Cristo. La sua è debolezza di non opposizione, di non ribellione. La forza del male non serve al cristiano, al cristiano serve la forza del bene e per il bene. Ma questa dal mondo è chiamata debolezza. È debolezza perché subisce ogni genere di angherie, di soprusi, ogni altra malvagità da parte degli uomini. Il cristiano non può rispondere al male con il male; non può usare la sua forza per estirpare il male che si abbatte su di lui. La fortezza dei Corinzi consiste invece nell’affermare ognuno la propria identità con la forza, spesso anche facendo lo stesso male morale e dimenticando la santità di Cristo. C’è come un miscuglio nei Corinzi tra Vangelo e mondo. Dove il mondo serve, ci si serve, divenendo noi mondo e non facendo diventare il mondo, Vangelo. Questo è il motivo della fortezza dei Corinzi. Sempre, quando si trasforma il Vangelo, si è forti in questo mondo perché il mondo ci riconosce come suoi e ci aiuta a divenire persecutori di Cristo. Il disprezzo per gli Apostoli è il sigillo di comunione con il pensiero di Cristo, con la santità dello Spirito Santo, con l’amore del Padre. Cristo non si sceglie con le parole, ma con la vita, con la testimonianza della nostra fede che si fa debolezza dinanzi al mondo.

Insultati, benediciamo;
perseguitati, sopportiamo.
Nella gratuità e nella libertà, nella semplicità del cuore e dei sentimenti il Vangelo brilla dinanzi ad ogni uomo in tutta la sua bellezza. Chi vuole lo può accogliere. Quando il dono è divino e chi lo offre non ha alcun interesse, è già un segno della verità, un segno dell’autenticità. Solo per forza divina si può vivere così in questo mondo e solo Dio può dare la forza di vivere poveri e liberi per essere efficaci nella testimonianza del suo messaggio di salvezza. Il missionario del Vangelo, spesso è insultato. All’insulto Paolo risponde con la benedizione. Spesso è anche perseguitato. Alla persecuzione risponde con la sopportazione. Perché si deve benedire e sopportare ogni cosa? Si deve benedire il Signore perché ci rende in tutto simile a Cristo suo Figlio. Non potrà esserci tra l’apostolo e Gesù nessuna differenza, oppure non si è buoni missionari del Vangelo. Si benedicono i persecutori perché si convertano, si salvino, accolgano anche loro il Vangelo e facciano ritorno, pentiti, nella casa del Padre. Bisogna chiedere al Signore che mandi la sua benedizione e che la sua grazia li converta. La sopportazione è abbracciare la nostra croce e portarla in silenzio, in un silenzio d’amore fino alla fine. In questo si diventa simili a Gesù e il nostro sacrificio diviene una cosa sola con il suo. Noi non solo siamo perfetti predicatori del Vangelo, siamo anche perfetti sacerdoti del nostro Dio, che in Cristo offrono la vita per il regno e per il suo Vangelo.

Calunniati, confortiamo;
siamo diventati come spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.

Paolo manifesta una modalità di come egli concepisce il suo ministero di Apostolo. Sa che il fine della sua missione è la salvezza di ogni uomo. Sa che la sua vita è stata data al Signore perché ne faccia un sacrificio per la salvezza. Egli sa che niente di lui più gli appartiene, essendo stato consegnato tutto a Dio. Nel momento in cui qualcuno lo calunnia, mente contro di lui, dicendo ogni sorta di male, Paolo cosa fa? Non solo non si difende, ma cerca colui che lo ha trattato male, perché possa ravvedersi e cambiare vita. Se confrontiamo il suo modo di vivere il Vangelo con quello che egli trova nella comunità dobbiamo dire che il divario è notevole. Paolo è tutto proteso per gli altri, i Corinzi altro non facevano che cercare se stessi. Questa è la differenza. Paolo ora dice chi veramente è l’apostolo: la spazzatura del mondo. Ciò che non serve più a niente e ciò che deve essere buttato via. Paolo qui raggiunge il culmine dell’umiltà evangelica; oltre questo non si può andare. Non è facile vivere questo insegnamento. Essere come la spazzatura: dobbiamo farci cibo del mondo, cibo di vita eterna; al mondo dobbiamo consegnare tutto, lasciandoci da esso consumare. Quando il mondo ci avrà consumato e poi gettato via perché noi non gli serviamo più, noi dobbiamo in quel preciso istante rialzarci e andare altrove per lasciarci ancora una volta consumare e ancora una volta esser gettati via. In Cristo dobbiamo vederci spazzatura divina, bruciata sul legno della croce, consumata come un olocausto sul fuoco del suo amore. A questi vertici si può arrivare, ma bisogna lottare molto, perché il nostro io difficilmente si piegherà, difficilmente si abbasserà perché solo la gloria di Dio risplenda attraverso la nostra vita e dal nostro corpo la bellezza del Vangelo traspaia in ogni istante. La vita di San Paolo diviene così la migliore testimonianza che condanna la falsità nella quale i Corinzi avevano pensato di incarnare il Vangelo di Gesù.

Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose,
ma per ammonirvi, come figli miei carissimi.
Quanto Paolo dice e afferma ha un solo motivo: quello della conversione dei cuori, della salvezza delle anime. Il suo dire non può essere considerato come un rimprovero ai Corinzi perché si vergognino della loro condotta poco cristiana. Quello di Paolo non è mai un fine separato dalla carità, che, per essere perfetta, deve esserlo anche nelle modalità di un rimprovero o di un richiamo. Quanto Paolo scrive, ha un solo scopo, quello di ammonire i Corinzi a cambiare vita, a lasciarsi anche loro modellare su Cristo Gesù, vedere in Lui l’unico esempio da imitare, l’unica strada su cui incamminarsi per rendere la loro vita in tutto conforme a quella di Gesù. Se non partiamo da Cristo, nulla possiamo fare per la nostra salvezza, nulla per la salvezza del mondo. Paolo non ha sostituto il modello, ha fatto una operazione che ogni cristiano dovrebbe compiere per rendere credibile il Signore. Altro non ha fatto che rendere visibile il modello invisibile. Cristo ormai è modello predicato, annunziato, fatto cioè Vangelo per tutti. Il mondo potrà vedere che Cristo vive, che il Vangelo non è solo parola, ma vita, non è idealità, ma concretezza e se vuole si può convertire, può entrare anche esso nella vita che il Signore ha preparato per lui. È questa, e solo questa, la motivazione che spinge Paolo a parlare di sé ai Corinzi, perché questo e solo questo l’unico modo per far sì che Cristo sia manifestato in tutta la sua vita ad ogni suo discepolo e al mondo intero.

Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo.
I Corinzi mai devono dimenticare che sono stati generati alla fede dalla sua predicazione. Paolo è per loro padre nella fede. Il padre non solo deve generarli, deve anche aiutarli a crescere, a maturare in loro la fede fino a farla divenire un albero assai grande. È anche proprio del padre correggere i figli quando sbagliano, indirizzandoli sulla via santa, aiutandoli a rimanere saldi in quello che hanno appreso, guidandoli perché mai smarriscano la via della vita.

Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori!
Paolo vuole che i Corinzi lo imitino. Ma in che cosa? Nella sua fede in Cristo Gesù, nel suo amore per Lui. La fede di Paolo è nella Persona di Cristo, nella sua grazia, nel suo mistero di salvezza soprattutto è fede nel mistero della croce. Il mistero della croce esige quella perfetta conformità al Crocifisso, tale da rendere crocifissi tutti coloro che credono in Cristo Gesù e hanno abbracciato la sua via come unica via di salvezza. Paolo nella sua vita rende vivo il mistero della croce, perchè anche lui è crocifisso come il suo Signore. Questo i Corinzi devono imitare di Lui: la volontà di rendersi in tutto simile a Cristo nella vita e nella morte. Se il cristiano cammina verso il compimento della speranza e questa si raggiunge salendo sulla croce, è mai possibile fare questioni di onore, di importanza, di superiorità nella comunità? Mai. Chi cammina verso la speranza vive solamente per Cristo Gesù. Tutta la sua vita appartiene a Cristo, gli è stata donata, perché Cristo se ne serva per salvarere il mondo. Quando tutta la nostra vita è stata consegnata al Signore perché ne faccia uno strumento di amore, cosa importa a noi come il Signore la vuole usare? Importa tenerla sempre pronta, sempre viva perché possa rispondere al meglio alle esigenze di Cristo e di Dio.

Per questo vi ho mandato Timòteo,
che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore:
egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo,
come insegno dappertutto in ogni Chiesa.
Paolo vede l’urgenza di intervenire nella comunità e manda Timoteo, suo compagno nell’evangelizzazione. Di lui dice che è suo figlio diletto e fedele nel Signore. È suo figlio amato, perché è stato lui a generarlo nella fede e a sceglierlo come compagno di missione. È fedele nel Signore perché ha appreso da Paolo come si ama il Signore e come lo si deve servire. Chi non è fedele nel Signore, chi non ha fatto del messaggio di Cristo crocifisso la sua vita, non può in alcun modo portare la verità, porterà ciò che lui è, ma non Cristo che non è in lui. Spesso invece, purtroppo, abbiamo persone che distruggono il Cristo vero in nome di un loro Cristo falso. A tanto si arriva! Questi errori non sono lontano da noi, né sono errori di altri tempi. Cosa dovrà fare Timoteo? Ricordare l’insegnamento di Paolo, che in verità non è di Paolo, ma di Cristo. Paolo è solo un portavoce di Cristo Gesù. Egli ha sempre insegnato nel nome di Cristo e con la sua autorità. Ciò che Paolo ha insegnato e che Timoteo deve ricordare non è un insegnamento particolare per la Comunità di Corinto, è invece l’insegnamento di tutta la Chiesa e per tutta la Chiesa. Tutti devono insegnare lo stesso, unico mistero di salvezza, Cristo e questi Crocifisso, Signore e Dio, Messia e Salvatore, Giudice dei vivi e dei morti, morto per i nostri peccati, risuscitato per la nostra giustificazione.

Come se io non dovessi più venire da voi,
alcuni hanno preso a gonfiarsi d'orgoglio.

Viene sottolineato un pericolo che è sempre latente in ogni comunità: per essere tale, deve conservare il contatto di fede e di verità con la comunità o con colui che le ha dato la vita. Questo principio è sacrosanto. Nessuno lo potrà mai ignorare, altrimenti è lo smarrimento della comunità e frutti spirituali in essa certamente mai potranno maturare. Quando una comunità vive senza più legami con la sua fonte, è avvenuto in essa uno smarrimento che è solo apportatore di morte. I Corinzi sono convinti che sono sufficienti a se stessi. Paolo non serve più, se ne è andato e non passerà più. Cosa fare? Prendere loro in mano la conduzione della comunità. Conoscono le leggi; possono benissimo sostituire Paolo in tutto. Addirittura c’è qualcuno che pensa anche di prendere il posto di Paolo, farsi lui il Paolo della comunità, così sarà più facile condurla e guidarla nella legge di Cristo e del Vangelo. Nessuno, che ha un pizzico di buon senso e una fede anche appena abbozzata in lui, potrà mai pensare di poter fare a meno dell’Apostolo del Signore. È lui che Cristo ha costituito non solo perché generi alla fede, ma anche perché vigili sulla fede, e nella fede riconduca tutti coloro che in qualche modo si sono smarriti. Nell’orgoglio non si percepisce il mistero della Chiesa e ci si comporta da stolti. Senza lo Spirito che discende su una persona e la costituisce apostolo del Signore, si manca nella conoscenza viva della verità rivelata e quanto si insegna viene solo dal cuore dell’uomo, ma non certo dal cuore di Cristo. L’orgoglio fa sì che nella Chiesa non maturino frutti di verità, bensì di falsità e di ogni altro errore.

Ma verrò presto, se piacerà al Signore,
e mi renderò conto allora non già delle parole di quelli, gonfi di orgoglio,
ma di ciò che veramente sanno fare.
Paolo ha in animo di tornare a Corinto, vuole constatare di persona la condizione spirituale e morale della comunità. La sua vita sappiamo, però, che non è nella sua volontà, bensì nel comando del Signore. Lui si recherà a Corinto se piacerà al Signore. In questo Paolo è di Maestro ad ogni discepolo. Ognuno che voglia seguire Gesù deve avere nel cuore un solo desiderio: fare la sua volontà in tutto, lasciarsi muovere totalmente da Lui. La presenza dell’apostolo di Gesù deve essere considerata grazia dello Spirito. La verifica della verità di una comunità non è sulle parole che si dicono, ma sulle opere che si compiono. Le opere che attestano lo stato di salute spirituale e morale di una comunità sono la realizzazione della parola di Gesù, nella nostra vita del suo Vangelo. Le parole tutti le possono dire, ma per Paolo le parole nascono dall’orgoglio e dalla superbia dell’uomo. Le opere di Vangelo invece nascono dalla fede e dalla sua obbedienza a Cristo Signore.

Il regno di Dio non consiste in parole, ma in potenza.
Ecco il discernimento della verità e del Regno di Dio. È il compimento della volontà di Dio, che è volontà di Cristo, manifestata a noi e detta da Lui, nella nostra vita. Ecco il motivo per cui il Regno di Dio non può consistere nel dire parole. La Parola che non trasforma la nostra vita è una parola che non convince, non attira, non conquista. La sua potenza è quella forza irresistibile dentro di noi che ci fa vincere il nostro orgoglio. È anche quella forza attraverso la quale diveniamo ricercatori inappagati di Dio e della sua volontà. La potenza del regno di Dio è quella decisione invincibile dentro di noi che ci spinge a consegnare la nostra vita a Cristo perché ne faccia uno strumento di misericordia e di verità. Questa decisione è la stessa che fu di Gesù. Senza lo Spirito del Signore, non c’è possibilità che si possa restare nella grazia di Dio. Il peccato presto prenderà posto nel cuore e con esso ogni altro genere di rinnegamento della verità di Cristo. Che volete?

Debbo venire a voi con il bastone, o con amore e con spirito di dolcezza?
In questo ultimo versetto Paolo mostra tutta la forza che avvolge il suo ministero di apostolo del Signore, che deve essere sempre animato da due grandi principi: la fermezza nella verità; la dolcezza e l’amorevolezza che sa accogliere. Nella verità l’apostolo non può essere accomodante; mai egli dovrà permettere che in una comunità sorgano errori, per non esporre il mistero di Cristo all’inefficacia, alla non salvezza. È questo un vero è proprio tradimento. Bisogna vigilare, se è necessario neanche dormire, stare in guardia come buone sentinelle, perché è dalla verità che nasce la vita. Se usciamo dalla verità, usciamo da Gesù, perché usciamo dalla volontà di Dio La fermezza è l’indice della fede dell’Apostolo. Se la sua fede è forte, egli è forte nell’affermazione della verità; se la sua fede è debole, anche l’affermazione della verità di Cristo sarà debole sulle sue labbra, nel cuore e nella vita. Assieme alla fermezza, occorre anche la misericordia del Padre che accoglie il figlio che ha sbagliato. Lo accoglie però ad una sola condizione: che voglia ritornare pentito nella verità, che voglia fare della verità la sua casa, che voglia perseverare in essa sino alla fine dei suoi giorni. La legge della misericordia e della dolcezza è data dalla volontà di cambiare vita, di abbandonare il peccato, e di iniziare a vivere secondo la legge del Vangelo che è una: l’umiltà e la mitezza del cuore. L’apostolo vuole una cosa sola: che la verità di Dio, principio e fondamento della grazia, regni in ogni cuore. Per questo egli è disposto a dare la vita, anzi ha già dato la vita al Signore. Quando una persona accoglie il suo richiamo di verità e si dispone a vivere nella Parola di Cristo, deve riversare su colui che ha sbagliato tutto l’amore di Cristo, la sua misericordia, il suo perdono. È anche richiesto al cristiano di accogliere il richiamo dell’apostolo perché entri nella verità di Cristo. Altrimenti l’apostolo del Signore non può riversare su di lui la sua misericordia e neanche può avvolgerlo del perdono del Signore, perché manca il suo ritorno nella verità. Il ritorno nella verità è condizione indispensabile perché il perdono di Dio sia concesso a chi ha sbagliato e perché tutta l’amorevolezza dell’apostolo del Signore si metta a sua disposizione e diventi aiuto concreto e sostegno perché sia un vero ritorno. L’annunzio della verità precede sempre la misericordia. Deve essere fatto con fermezza, con chiarezza, senza equivoci, senza ipocrisie, senza guardare in faccia a nessuno. L’apostolo è per l’uomo, se l’uomo è per la verità di Dio e di Gesù Cristo.

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