Preghiera e Liturgia

San Benedetto da Norcia 11 Luglio

BenedettoAbate«Proclamiamo San Benedetto Abate
celeste Patrono dell'intera Europa
».


Messaggero di pace, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i titoli della esaltazione di San Benedetto Abate. Al crollare dell’Impero Romano, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una nuova èra. Principalmente lui e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con l’aratro la fede ai popoli sparsi dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia. Perciò Pio XII salutò San Benedetto «padre dell’Europa».

Pertanto, su proposta della Sacra Congregazione dei Riti, dopo attenta considerazione, in virtù del Nostro potere apostolico, proclamiamo San Benedetto Abate celeste Patrono principale dell’intera Europa.

Dato a Roma, presso San Pietro, i1 24 ottobre dell’anno 1964, secondo del Nostro Pontificato.
Lettera Apostolica «Pacis Nuntius» del Santo Padre Paolo VI.

L’antico proverbio: «Per San Benedetto la rondine sotto il tetto» non vale più e forse questo è il maggior rimpianto per lo spostamento della data. La questione della data esatta della morte del patriarca del Monachesimo occidentale è tuttora controversa. Diversi antichi Martirologi riportano tale data al 21 marzo, ma non mancano, specialmente nella Gallia, altri che l’attribuiscono all’11 luglio. Criteri di opportunità liturgica hanno fatto preferire quest’ultima data, così che il ricordo di San Benedetto, rimosso dal tempo della Quaresima, possa essere festeggiato con tutta la solennità meritata da un personaggio di gigantesca levatura, non soltanto nella storia religiosa, ma anche in quella civile, in quella sociale, in quella dell’arte, e in quella della letteratura.

Il fondatore del Monachesimo occidentale fu infatti anche salvatore della civiltà in tempo di barbarie, conservatore della cultura classica, promotore di una nuova architettura, protettore del lavoro umano, assunto a nuova dignità e addirittura elevato all’altezza della preghiera, secondo il celebre motto «Ora et labora». Lo stemma di San Benedetto, dove la Croce si eleva sull’aratro, riassume l’opera che le mistiche e laboriose abbazie benedettine compirono nel tessuto consunto e smagliato della società europea, dopo la caduta dell’Impero Romano e l’imperversare della bufera barbarica.
Egli nacque verso il 480 a Norcia, in Umbria, da nobile famiglia. A Roma compì i primi studi, ma deluso dalla vita dell’Urbe, si ritirò ad Enfide, l’odierna Affile, tra i monti Simbruini, dove, nella chiesa di San Pietro, continuò gli studi, in una vita di rigorosa disciplina ascetica.
Arrivato a circa vent’anni, per nascondersi maggiormente al mondo, si rifugiò a Subiaco, dove un eremita lo guidò e lo calò in quello speco che fu per tre anni, la dimora nascosta del giovane romano. Sembrava, però che, quanto più si nascondesse, tanto più la luce della sua virtù lo rendesse visibile. Morto l’Abate nel vicino monastero di Vicovaro, la comunità lo volle maestro, ma presto il suo rigore ascetico stancò i monaci, che tentarono di sbarazzarsi di lui, propinandogli veleno. Scampato miracolosamente alla morte, Benedetto tornò alla solitudine di Subiaco, rotta presto da molti giovani, desiderosi di far vita con lui. La gelosia di un prete dei dintorni, che perseguitava il maestro e i suoi primi compagni, fece migrare Benedetto verso la città di Cassino, dove vi erano ancora templi pagani, e dove costruì la sua prima casa, con quella caratteristica pianta del monastero, cellula, completa di vita contemplativa e di vita attiva.

L’Abbazia di Montecassino fu la perfetta espressione di quella Regola che San Benedetto avrebbe dato ai suoi monaci, con la doppia missione di pregare e di lavorare. Anche la preghiera doveva essere un lavoro e anche il lavoro doveva essere una preghiera. E fu Abbazia madre di innumerevoli altre abbazie che portarono in tutto il mondo il conforto di una preghiera fervida e di sollievo di un lavoro fecondo. Di lassù, colui che aveva creduto di poter vivere oscuro nello speco di Subiaco, illuminò per secoli la vita e la storia, anche dopo la sua morte.

Seguirà le orme di San Benedetto da Norcia anche la sorella Scolastica, che fonderà il monachesimo occidentale al femminile, fondato sulla stabilità della vita in comune. Benedetto invita a servire Dio non «fuggendo dal mondo» verso la solitudine o la penitenza itinerante, ma vivendo in comunità durature e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro o studio e riposo. Da giovanissima, Scolastica si è consacrata al Signore col voto di castità. Più tardi, quando già Benedetto vive a Montecassino con i suoi monaci, in un altro monastero della zona lei fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.

La Chiesa ricorda Santa Scolastica, ma di lei sappiamo ben poco. L’unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all’imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a San Benedetto, solo all’ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale.

Ecco la pagina in cui li troviamo insieme. Tra loro è stato convenuto di incontrarsi solo una volta all’anno. E Gregorio ce li mostra appunto nella Quaresima forse del 542, fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio che non finirebbe più, su tante cose del cielo e anche della terra. L’Italia del tempo è una preda contesa tra i Bizantini e i Goti, devastata dagli uni e dagli altri. Roma s’è arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio, in Italia centrale gli affamati masticano erbe e radici. A Montecassino passano vincitori e vinti; attratti dalla fama di Benedetto, e passano le vittime della violenza, i portatori di tutte le disperazioni, gli assetati di speranza. Viene l’ora di separarsi. Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiuta: la Regola non s’infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po’ ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro. Tre giorni dopo, leggiamo nei Dialoghi, Benedetto apprende la morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l’alto in forma di colomba. I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino.

Quaranta giorni dopo la scomparsa di sua sorella Scolastica con la quale ebbe comune sepoltura, secondo il racconto di S. Gregorio Magno, spirò in piedi, sostenuto dai suoi discepoli, dopo aver ricevuto la comunione e con le braccia sollevate in preghiera, mentre li benediceva e li incoraggiava. Le diverse Comunità Benedettine ricordano la ricorrenza della morte del loro fondatore il 21 marzo, mentre la Chiesa romana ne celebra ufficialmente la festa l’11 luglio, da quando Papa Paolo VI ha proclamato San Benedetto da Norcia patrono d’Europa il 24 ottobre 1964. La Chiesa Ortodossa celebra la sua ricorrenza il 14 marzo.

Sia lodato Gesù Cristo.

Colloquio Spirituale.
Dalla Regola di San Benedetto Abate.
(Prologo 4-22; cap. 72, 1-12; CSEL 75, 2-5. 162-163).

Prima di ogni altra cosa devi chiedere a Dio con insistenti preghiere che Egli voglia condurre a termine le opere di bene da te incominciate, perché non debba rattristarsi delle nostre cattivi azioni dopo che si è degnato di chiamarci ad essere suoi figli. In cambio dei suoi doni, gli dobbiamo obbedienza continua. Se non faremo così, egli come padre sdegnato, sarà costretto a diseredare un giorno i suoi figli e, irritato per le nostre colpe, condannerà alla pena eterna quei malvagi che non l’hanno voluto seguire alla gloria.

Destiamoci, dunque, una buona volta al richiamo della Scrittura che dice: è tempo ormai di levarci dal sonno (cfr. Rm 13, 11). Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente la voce che Dio ci rivolge ogni giorno: «Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori» (Sal 94, 8). E ancora: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2, 7). E che cosa dice? Venite, figli, ascoltate, vi insegnerò il timore del Signore. Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi sorprendono le tenebre della morte (cfr. Gv 12, 35). Il Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice: C’è qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici? (cfr. Sal 33, 13). Se tu all’udire queste parole rispondi: Io lo voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino menzogna: fuggi il male e fà il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal 33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Eccomi. Che cosa vi è di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita.

Perciò, cinti i fianchi di fede e della pratica di opere buone, con la guida del vangelo, inoltriamoci nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati. Ma se vogliamo abitare nei padiglioni del suo regno, persuadiamoci che non ci potremo arrivare, se non affrettandoci con le buone opere. Come vi è uno zelo cattivo e amaro che allontana da Dio e conduce all'inferno, così c'è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna.
In questo zelo i monaci devono esercitarsi con amore vivissimo; e perciò si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le infermità fisiche e morali degli altri, si prestino a gara obbedienza reciproca. Nessuno cerchi il proprio utile, ma piuttosto quello degli altri, amino i fratelli con puro affetto, temano Dio, vogliano bene al proprio abate con sincera e umile carità.

Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna.

 

Stampa