San Luigi Gonzaga 21 Giugno
«Se tu sapessi di dover morire all’istante?».
«Continuerei a giocare» rispose sicuro Luigi.
Luigi, primogenito del marchese di Mantova, nacque a Castiglione delle Stiviere nell’anno 1568. Era un ragazzo vivace, impaziente, semplice, amava il gioco e si divertiva. La madre gli insegnò da piccolo a orientare decisamente la sua vita a Dio. E con la sua tenacia vi riuscì. Ricevuta la prima volta l’Eucaristia da san Carlo Borromeo, coltivò una forte unione con Gesù. La grazia fece di lui un santo di grande dominio di sé, interamente votato alla carità. Il suo segreto è la preghiera: già a 12 anni aveva deciso di dedica-re cinque ore al giorno alla meditazione.
Per gradi poi si sentì attratto alla vita religiosa. Col coraggio delle sue convinzioni, vinse l’opposizione del padre, rinunciò alla primogenitura e a 16 anni entrò nella Compagnia di Gesù, avendo come maestro spirituale San Roberto Bellarmino. Lui, che riusciva bene negli affari, si dà assai più allo studio, alla preghiera, alla carità: mira alle missioni e al martirio. Scoppiò la peste e Luigi si prodigò talmente che contrasse la malattia e morì nell’anno 1591 a 23 anni. Catechista coi ragazzi, premuroso con i poveri e i malati, fatto tutto a tutti: modello e protettore dei giovani che vogliono vivere la propria fede in Cristo. Luigi fu soprattutto un giovane generoso. Nel 1726, Papa Benedetto XIII lo proclamerà Santo. Il suo corpo si trova nella chiesa di Sant’Ignazio in Roma, e il suo capo è custodito nella Basilica a lui dedicata, in Castiglione delle Stiviere, suo paese natale.
Pare incredibile, ma la nascita di quel Santo che è rimasto famoso per la sua purezza e per la sua modestia, fu salutata da numerosi spari d’artiglieria, la mattina del 9 marzo del 1568. Luigi era infatti il primo figlio che assicurava la discendenza a Ferrante Gonzaga, signore di Castiglione delle Stiviere. Nell’intenzione dei parenti egli doveva essere un soldato, come il padre, che fece indossare la divisa militare al proprio primogenito a soli quattro anni. Dal canto suo, il piccolo Luigi, portato un giorno nella fortezza di Casale, approfittò della distrazione degli artiglieri per far fuoco con una colubrina. Fu ritrovato tramortito tra la polvere e il fumo ma non spaventato, e l’imprudente avventura fanciullesca fece un gran piacere al padre e a tutti i soldati, che già salutavano nell’artigliere in miniatura un secondo Alfonso d’Este.
Intanto, perché l’educazione del giovane principe fosse all’altezza dei tempi, Luigi fu inviato alla corte del Granduca di Toscana. Ma a Firenze, i cannoni della fortezza di Belvedere non attrassero minimamente l’attenzione del giovinetto, il quale preferiva il raccoglimento mistico della Santissima Annunziata. Lì, dinanzi alla miracolosa immagine della Madonna, dipinta, si diceva, da un Angelo, il rampollo della potente casa dei Gonzaga fece voto di verginità perpetua, e il padre, quando lo richiamò a Mantova, notò nel figlio un preoccupante mutamento. Ai tratti d’arte militare, Luigi, studiosissimo, preferiva le «Meditazioni quotidiane» del Canisio, primo Gesuita della Provincia Germanica, nominato poi Santo e Dottore della Chiesa dal Papa Pio XI nel 1925. Allora, il marchese Ferrante, nominato Gran Ciambellano alla Corte di Spagna, pensò di portarsi dietro il figlio.
Il fasto del più potente regno del mondo avrebbe certamente conquistato l’animo dell’adolescente, posto al fianco, nientedimeno, del principe ereditario Diego. Ma quando Diego fu falciato dalla morte, che non distingue nobili e plebei, tra coronati e galeotti, Luigi si confermò sempre più nella persuasione che il fasto, la ricchezza, la potenza in mezzo a cui era nato, non erano che «vanità delle vanità». Dovette affacciarsi allora alla sua mente il pensiero che poi mise in carta: «Non conviene che ci crediamo grandi, a causa della nostra nascita; anche i principi sono cenere come i poveri… forse cenere più puzzolente».
Per rimanere polvere, sì, ma per non puzzare di superbia, di vizio, di peccato, Luigi fece capire di voler rinunziare al mondo e alle sue pompe. Per distoglierlo da questo pensiero, il padre cercò di fargli conoscere le pompe più allettanti. Lo mise alle corti di Mantova, di Ferrara, di Parma, di Torino, in occasione delle feste e durante i carnevali. Luigi passava attraverso le tentazioni senza il minimo turbamento. La sua volontà era inflessibile. Ogni tentazione, ogni seduzione s’infrangeva contro il deliberato proposito di non peccare e di non farsi conquistare dalla vanità del mondo. E dinanzi alla irriducibile fermezza del figlio, Ferrante cedette. Luigi segnò con mano ferma la rinunzia ad ogni suo diritto in favore del fratello Rodolfo. Incerto se entrare tra i Cappuccini, in quegli anni del primo fervore, preferì poi la Compagnia di Gesù, attratto dalla disciplina che non soffoca la carità, ma la rende anche più esplosiva. A Roma, la sua umiltà, la sua mortificazione, la sua purezza e più che altro la sua intensa vita morale e spirituale, stupirono superiori come San Roberto Bellarmino. In continua preghiera mentale, in perpetua riflessione spirituale, in continua comunicazione con Dio, Luigi viveva nel mondo senza essere del mondo.
Sapeva di dover morire giovane, ma tale pensiero, invece di turbarlo, gli dava una maggiore disinvoltura. «Che cosa faresti – gli chiese un compagno durante la ricreazione – se tu sapessi di dover morire all’istante?». «Continuerei a giocare» rispose sicuro Luigi. Si sentiva pronto. Nel 1590 la peste colpì Roma. Luigi, con i suoi confratelli, si prodigò nell’assistenza. Una sera, trovato un appestato morente, se lo caricò addosso, felice d’aver trovato, sui propri passi, Gesù. Morì di peste nel 1591; ma nonostante ciò la sua cenere non appestava. Al contrario, profumava come un giglio. E il giglio è restato l’emblema di questo principe che rinunziò a qualsiasi altro stemma nobiliare. Egli aveva rinunziato al feudo tramandato ed ereditato dai suoi avi, ma destinato a franare nel tempo. Conquistò invece il feudo che non teme franamenti: il feudo della gioventù, di cui San Luigi Gonzaga è stato proclamato Principe e Patrono.
Piero Bargellini, trasmissione RAI «Un Santo al giorno» - Anno 1957.
Sia lodato Gesù Cristo.
Colloquio Spirituale.
Dalla «Lettera alla madre» di san Luigi Gonzaga.
Io invoco su di te, mia signora, il dono dello Spirito Santo e consola-zioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo, dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi. Per parte mia avrei desiderato di trovarmici da tempo e, sinceramente, speravo di partire per esso già prima d’ora.
La carità consiste, come dice san Paolo, nel «rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto». Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché, per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo. Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando la bontà divina, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita. La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro e inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremmo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora, e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.
(Dalla «Lettera alla madre» di san Luigi Gonzaga (Acta SS., giugno, 5, 878.)