Ascensione 2021
«Nec descendere, nec morari»
Nè discendere, nè fermarsi.
La saggezza antica aveva racchiuso in un motto di scultorea bellezza tutto un programma di perfezione: «Nec descendere, nec morari» - nè discendere, nè fermarsi. Il motto, bello, ma inefficace senza la grazia di Dio, fu attuato in pieno dal Cristianesimo, che non solo additò le mete più sublimi, ma apprestò i mezzi per raggiungerle e mise nelle anime l’ansia dell’ascendere e la sete della perfezione. Si potrebbe dire che l’Ascensione del Signore, causa esemplare della nostra salvezza, ha dato un senso alle più ardite aspirazioni e le ha legittimate.
Quaranta giorni or sono la Chiesa lanciava ai fedeli il grido ripetuto da venti secoli per tutta la terra: «Surrexit Dominus vere» e noi lo abbiamo raccolto come un inno di trionfo e di speranza. Ma nella vita del Cristo la risurrezione dalla morte non è la meta, è solo una tappa: la meta è il cielo, è il ritorno al Padre. È giusto, è necessario che, compiuta la Redenzione, fondata la Chiesa, istituiti i Sacramenti, cioè i mezzi della grazia, dimostrata, con la prova inconfutabile della sua Risurrezione, la verità della sua dottrina e la legittimità del suo mandato, Gesù ritorni al cielo, donde è disceso. Come ciò avvenne lo abbiamo udito dal racconto evangelico.
Ma abbiamo anche udito che, prima di lasciare la terra, Egli diede agli Apostoli il mandato di portare la sua dottrina al mondo, assicurando che avrebbe dato alle loro parole la sanzione del miracolo. Ci rendiamo conto della portata di questo ordine divino e del valore di questo mandato? Pensiamo: non erano passati che pochi giorni da quando gli Undici avevano abbandonato il loro Maestro, uno di essi lo aveva rinnegato ed un altro si era rifiutato di credere alla sua risurrezione ed ancora pochi momenti prima aveva dovuto muovere rimprovero alla loro incredulità. Eppure è a «quegli» Apostoli che Gesù comanda: «Andate in tutto il mondo e predicate il mio Vangelo».
Ancora oggi i Missionari, che si lanciano perfino nelle terre più inospitali, che affrontano disagi inenarrabili e persecuzioni violente per recare la luce della Parola di Dio, vanno in forza di quella parola, che è stata detta in quel giorno lontano sul colle degli ulivi. «In tutto il mondo»! Quale insana vastità di programma e quanto inadeguati i mezzi ad opera si colossale, se avessero dovuto essere in gioco soltanto le forze umane! Ma erano - e sono - invece in gioco le forze divine. Come aveva promesso, Cristo sparse a piene mani il soprannaturale nella sua Chiesa, tanto che la storia di questa può dirsi tessuta di miracoli. Il prodigio è la tessera della divinità della Chiesa. Dante, quasi sintetizzando la forza di questo argomento, afferma che se il mondo si fosse convertito al Cristianesimo senza miracoli, questo solo sarebbe un miracolo così grande, che tutti gli altri diverrebbero insignificanti al suo confronto. «Se il mondo si rivolse al Cristianesimo -...senza miracoli, quest’uno – è tal, che gli altri non sono il centesmo» Paradiso, Canto XXIV, 106-108. Come appaiono piccoli al confronto con questi giganti del pensiero e della storia, gli uomini che disdegnano la fede, che fu luce della loro vita!
Quando si parla dei miracoli, che hanno accompagnato la conquista del mondo, si pensa ordinariamente a quelli di ordine fisico. Essi furono moltissimi ed imponenti; ma chi potrebbe enumerare i prodigi nell’ordine spirituale, i miracoli della grazia, tanto più numerosi, quanto più sono nascosti, tanto più grandi, perché non sono solo i corpi che riacquistano la sanità e la vita, ma le anime che risorgono alla vita, senza confronto più preziosa, dello spirito? Sono questi prodigi l’effetto che dobbiamo auspicare dal mistero di questo giorno: l’Ascensione di Gesù deve essere l’esemplare delle nostre ascensioni spirituali. Che gioverebbe ricordare che la natura umana, già sublimata, esaltata fino all’unione personale con la Natura divina, ascese al cielo nella gloria del Padre, se poi noi restassimo avvinti alla terra, cioè incatenati alle nostre passioni, schiavi delle nostre miserie?
La Liturgia della Chiesa, ogni giorno, nella celebrazione eucaristica ripete un invito, che sembra proprio intonato alla festa di oggi: «Sursum corda!». In alto i cuori! In alto le nostre aspirazioni, i nostri desideri, i nostri ideali! Come bruchi «nati a formar l’angelica farfalla», non rinunciamo a queste ascensioni dello spirito, che sarebbe come rassegnarsi a rimanere perpetuamente nel fango.
È certamente più faticoso salire che discendere, ma quanto più si sale, tanto più ampio è l’orizzonte, tanto più entusiasmante lo spettacolo, tanto più pura l’atmosfera e più chiaro il raggio del sole. Così nell’ascesa della virtù cristiana sono più difficili i primi sforzi, ma poi diventa dolce il salire, alacre la volontà di bene, limpida la visione delle realtà divine e sopra i nostri sensi umani, ineffabile la gioia di ogni conquista, sempre più certo il raggiungimento della meta.
E la meta è Dio. Potrebbe sembrare follemente presuntuosa questa aspirazione, se Egli stesso non l’avesse autorizzata: «Io stesso sarò la tua ricompensa, inestimabilmente grande» e se salendo al cielo non ci avesse detto: «Vado a prepararvi il luogo». Lui ci attende! Il premio ci attende! Operiamo da forti per conquistarlo.
Sia lodato Gesù Cristo.
Colloquio Spirituale.
«O mio Dio, o mio Dio, o mio Gesù, te ne vai e da noi parti!
Oh, che gaudio si farà in cielo! Ma noi restiamo quaggiù in terra.
O eterno Verbo, che t’ha fatto la creatura, per la quale hai operato tante cose, ed ora ascendi al cielo per maggior sua gloria? Dimmi, che t’ha fatto che tanto l’ami? Che le dai? Che ricerchi da lei? L’ami tanto che le dai te stesso che sei ogni cosa, è fuor di te non è cosa alcuna. Vuoi da lei ogni suo volere e sapere, poiché, dandoti questo, ti da’ tutto quello che ha.
O Sapienza infinita, o Bontà somma,
o Amore, o Amore poco conosciuto,
meno amato e da pochi posseduto!
O ingratitudine nostra, cagione d'ogni male;
o purità poco conosciuta e poco desiderata!
O mio Sposo, o mio Sposo, ora che sei con l'Umanità tua nel cielo, sedente alla destra dell'Eterno Padre, crea in me un cuore puro e uno spirito retto rinnova nel mio seno» (S.M. Maddalena de' Pazzi).
«Ahimè, Signore, com'è lungo questo esilio!
Come lo rende pesante il desiderio di vederti!
Signore, che può fare un'anima chiusa in questo carcere?...
Ma io desidero di contentarti. Eccomi qui, Signore!
Se per servirti in qualche cosa m’è necessario vivere..., non rifiuto nessuna delle croci che mi possono attendere sulla terra. Ma, ahimè, Signore, ahimè! io non ho che parole, né d’altro son capace. Fa’, mio Dio, che innanzi a te abbiano valore almeno i miei desideri, senza guardare alla pochezza dei miei meriti.
«Ah, che sempre miseri sarebbero i miei servizi, mio Dio, anche se te rendessi in gran numero! E allora, perché rimanere in questa vita così piena di miserie? Unicamente per fare la tua volontà. Ed è forse possibile maggior guadagno di questo? Spera, dunque, anima mia, spera. Vigila attentamente perché non sai il giorno, nè l’ora. Tutto passa con prestezza, benché la tua impazienza ti renda...lungo un tempo assai breve. Pensa che se più combatti, più dai prove d’amore al tuo Dio e più godrai del tuo Diletto nel gaudio e nella felicità senza fine» (T.G. Es. 15).
Padre Gabriele di S.Maria Maddalena O.C.M. - 1893 - 1953
Intimità Divina, Roma 1962