3 Domenica di Pasqua 2021
«Io sono il buon pastore» Gv10,11.
L'ovile di Cristo è la Chiesa.
Quindici giorni dopo Pasqua, la Chiesa ci presenta Cristo sotto l'avvincente figura del pastore delle nostre anime. Dopo l'epistola in cui San Pietro ricorda ciò che il Salvatore ha sofferto per ricondurci, pecorelle smarrite, al suo ovile, il Vangelo ci ripete la meravigliosa parabola in cui Gesù stesso si presenta come il buon pastore che conosce ciascuna delle sue pecore, che da la vita per esse e le strappa al lupo divoratore. Egli è il vero pastore che realizza la profezia di Ezechiele che annuncia per l'Israele della fine dei tempi un liberatore del suo popolo. L'ovile di Cristo è la Chiesa. Nel suo seno Egli ci dà la sua vita con i Sacramenti, la sua Parola con gli insegnamenti e tutte le ricchezze della sua grazia per rischiarare la nostra strada e sostenere i nostri passi nel cammino verso il cielo. Per mezzo suo Egli esercita presso di noi il compito dell'unico pastore. Pietro, posto a capo del gregge, diede la sua vita per coloro che erano affidati alle sue cure e da allora il ministero sacerdotale continua ad assicurare nella Chiesa la presenza perenne di Colui che rimane il vero pastore delle anime.
Il Pastore.
È uno dei più toccanti quadri fra quelli che dalla bocca stessa del Divino Maestro sono stati raccolti dalla penna e, più, dal cuore dell'Apostolo San Giovanni. Quadro commovente soprattutto perché Gesù non parla in astratto e teoricamente, ma descrive se stesso, la portata del suo amore, l'opera del suo amore: la Chiesa e le vicende e le prove ed il finale trionfo di essa. Non dice: «Il buon pastore deve avere queste e queste altre caratteristiche», ma «io sono il buon Pastore». Nulla è più efficace di questo modo di presentare la realtà. Sembra strano che l'immagine del «buon Pastore», come descritta dal Vangelo, sia apparsa così nuova e così suggestiva da costituire una delle prime e più ricche fonti di ispirazione dell'arte cristiana.
Pastori e mercenari.
Diciamo «sembra strano», perché, in realtà, Dio Pastore del suo popolo era già un concetto biblico ed anche nella lettura classica, in Omero per esempio, gli antichi re si chiamavano «pastori di popoli». Però gli israeliti amavano ricordare di Dio più le manifestazioni di potenza, che quelle dell'amore e gli interventi prodigiosi della sua giustizia, piuttosto che i miracoli della sua misericordia. Quanto ai...«pastori di popoli» sappiamo dalla storia quanto fossero più pronti ad usare il vincastro che la voce carezzevole ed a sfruttare...la lana ed il cacio delle loro pecore, piuttosto che a dar la vita per esse.
Ma Gesù rende concreta e visibile in se stesso l'immagine biblica e vi aggiunge la qualifica della bontà: «Io sono il buon Pastore» perché si comprenda quanto intimi e familiari ridiventano con la Redenzione i rapporti fra Dio e gli uomini. «Buono» di una bontà attiva, operante, generosa. E si contrappone al mercenario prezzolato, che conduce al pascolo un gregge non suo, un gregge che non ama, perché non gli appartiene e che è pronto ad abbandonare, preoccupandosi soltanto di salvare se stesso, se giunge il lupo rapace.
Non così Gesù, che non solo difende le sue pecore, ma dà per esse la vita. Non è un «modo di dire», noi lo sappiamo, per il gregge, che il Padre gli ha affidato, Gesù ha dato veramente la vita, immolandosi sulla Croce.
Ma, non soltanto Gesù, quanti altri «pastori», che si sono succeduti a guardia del suo gregge, che da Lui hanno avuto il potere di «pascere» ed hanno conformato al Suo il loro cuore, hanno difeso fino al sangue le loro pecore! Pensiamo a Pietro, a Paolo, a Lino, a Clemente, alla trentina di Papi ed agli innumerevoli Vescovi, Martiri del Fede nei tre primi secoli della Chiesa; pensiamo agli altri moltissimi, che più tardi soffrirono per la difesa del loro gregge dai lupi dell'eresia, dell'empietà, dell'ateismo di tutti i colori fino ai Cardinali Mindszenty, Stepinac, Wyszynky, Tienchensin, a Mons. Bersan, all'eroico Mons Kungo, al Card.Pin Mei, Vescovi di Shanghai, ed agli altri pastori di anime, presso il cui nome nell'Annuario Pontificio è scritto semplicemente, perché le persecuzioni sono di ogni giorno nella storia della Chiesa - «in carcere per la Fede» o, più semplicemente ancora, «impedito»; ed è tutto ciò che vien detto di questi testimoni del «buon Pastore», che hanno dato o sono pronti a dare con Lui la «loro anima», cioè la loro intelligenza, il loro cuore, il loro tempo, il loro pane,...la loro vita.
L'ovile.
Abbiamo nominato «la Chiesa»; se Cristo è il Pastore, la sua Chiesa è l'ovile. L'ovile è l'esigenza di un gregge bene organizzato e ben difeso, perché le pecore non si sbandino e non abbiano a soffrire, se lungamente esposte alle intemperie. Come un esercito: se in situazioni di emergenza può vivere sotto le tende o magari in trincea, ordinariamente però ha bisogno della caserma e della migliore attrezzatura, che essa può offrire. Così i fedeli - le pecorelle del «Buon Pastore» - vivono nella Chiesa. (Parliamo della Chiesa come «istituzione», non del tempio materiale). E nella Chiesa trovano i pascoli di vita, che sono loro necessari: l'autorità che li governa spiritualmente, il magistero che impartisce loro con assoluta sicurezza la dottrina di Cristo, la legge che ne disciplina e volge al bene comune le attività, il ministero che elargisce con divina larghezza i tesori della grazia. Fuori di questo ovile le pecore si sbandano e sono preda del lupo.
Non lasciamoci illudere da coloro - «protestanti» di nome o di fatto - che vorrebbero una società religiosa senza gerarchia, senza verità dogmatiche, senza legge morale di un valore assoluto, senza sacerdozio, senza liturgia e senza mezzi efficaci di grazie, vale a dire una religione ridotta ad una vaga religiosità, nella quale a mala pena c'è posto per l'idea di Dio o nella quale il tesoro stesso della Rivelazione è abbandonato alla capricciosa interpretazione del primo venuto, che si autoinveste dei poteri di maestro e pastore. Come se potesse esistere un esercito senza comandanti, senza un regolamento, senza disciplina e, addirittura, senz'armi!
Il gregge.
Fra le caratteristiche del «Buon Pastore» c'è anche quella di «conoscere ad una ad una le sue pecore» fino a distinguerle tutte e chiamarle ognuna per nome. Proprio così nel gregge di Dio; perché si tratta di uomini, non di pecore; di creature razionali, non di bruti; di popolo, non di massa. Ciò che ha un valore assoluto nella concezione cristiana della vita è persona umana; ciò che deve essere rispettato sopra ogni altra cosa è la dignità di uomo; ciò che è norma per giudicare di ogni altro valore sono gli eterni nostri destini. L' «uomo»: che Dio conosce ed ama personalmente; l'uomo che è al di sopra delle cose, delle istituzioni sociali, dell'organizzazione del lavoro, delle leggi della produzione e dello scambio; che è al di sopra dello Stato.
È questa valorizzazione della persona umana, perché oggetto delle divine attenzioni e fonte dei più preziosi diritti, la più vera, la più genuina «democrazia»: quella del Vangelo. L'altra è una menzogna, che nasconde una nuova schiavitù.
Mons.Ferdinando Prosperini - Canonico Vaticano -
Dixit Jesus ... 1963
Colloquio Spirituale.
«O Signore, Tu sei il mio Pastore ed io non manco di nulla; in erbosi pascoli mi fai riposare, ad acque ristoratrici mi meni, ricrei l'anima mia e mi guidi per giusti sentieri. Quand'anche camminassi in una cupa e oscura valle, non temerei alcun male perché tu sei con me; la tua verga e il tuo vincastro sono il mio conforto. Tu imbandisci davanti a me una mensa a dispetto dei miei nemici; mi ungi d'olio la testa ed il mio calice ribocca» (Sal. 22). O Signore, mio dolce Pastore, che cosa avresti potuto fare a me e non l'hai fatto? Che cosa avresti potuto darmi e non me l'hai dato? Tu stesso ti sei fatto mio cibo e mia bevanda. E quale pascolo più delizioso e salutare, più nutriente e più fortificante del Corpo e del Sangue tuo potrei mai trovare?
«O benignissimo Signore Gesù Cristo, mio dolce Pastore, che ti renderò io per tutto ciò che mi donasti? Che ti darò per dono che mi facesti di te stesso? Se anche mille volte io mi potessi a te donare, sarebbe un nulla, poiché un nulla io sono, paragonato a te. Tu, si grande, amasti tanto e gratuitamente me, si piccolo e tanto malvagio ed ingrato! So, o Signore, che il tuo amore tende all'immenso, all'infinito, poiché Tu sei immenso ed infinito. Di grazia, adunque, o Signore, dimmi in quale modo io ti debba amare.
«Il mio amore, o Signore, non è gratuito, ma ti è dovuto...Benché io non possa amarti quanto debbo, Tu gradisci il mio debole amore. Potrò amarti di più, quando ti degnerai d'accrescere la mia virtù; ma non ti darò mai quanto meriti. Dammi dunque il tuo ardentissimo amore, per quale, con la tua grazia ti ami, ti piaccia, ti serva, compia i tuoi precetti, non sia separato da te, né nel tempo presente, né nel futuro, ma teco rimanga unito nell'amore, pei secoli eterni» (Ven. R. Giordano).
Padre Gabriele di S.Maria Maddalena O.C.M. - 1893 - 1953
Intimità Divina, Roma 1962