Domenica in Albis 2021
«Ricevi la veste candida che porterai immacolata...
affinché tu abbia la vita eterna».
Di dove viene il nome Domenica in Albis? È noto che i catecumeni ricevevano al fonte battesimale una candida tunica e un cero acceso; con questi uscivano dal battistero ed entravano in chiesa per assistere, per la prima volta, alla Messa. La veste bianca era il simbolo dell'innocenza e della grazia battesimale (i primi cristiani tenevano strenuamente a conservare la grazia battesimale fino alla morte). Anche oggi nell'amministrazione del Battesimo si è conservato l'uso di porre sopra il bambino battezzato una vesta candida, mentre il sacerdote dice queste parole: «Ricevi la veste candida che porterai immacolata al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo, affinché tu abbia la vita eterna».
I neofiti erano i figli prediletti della Chiesa; assistevano così vestiti di bianco, alla prima Messa e facevano la prima Comunione. E non deponevano si tosto la bianca tunica, ma la conservavano durante tutta la settimana: venivano ogni giorno assai presto alla Messa e alla sera facevano una processione al fonte battesimale. Erano, in seno alla collettività liturgica, come la predica vivente che i cristiani sono risorti con Cristo a vita novella. Il sabato dopo Pasqua essi venivano per l'ultima volta, così vestiti, alla chiesa del Battesimo; qui deponevano le bianche vesti che venivano conservate nella sagrestia, quale ricordo del loro battesimo e quale pegno della loro fedeltà alle promesse battesimali. Il giorno seguente aveva luogo l'ultima processione stazionale alla Chiesa di San Pancrazio. I neofiti vi si recavano per la prima volta con le loro solite vesti; e ciò significava che ormai essi erano maggiorenni e che avevano promesso di tener fede ai loro voti battesimali fino alla morte. Ed era ben scelta la chiesa stazionale di San Pancrazio. Pancrazio era un giovanetto di quattordici anni che seppe essere fedele veramente alle promesse del suo Battesimo; in tenera età le suggellò con il sangue, morendo per Cristo. San Pancrazio è il patrono della fedeltà al giuramento.
Il brano evangelico della liturgia di questa Domenica non è che la narrazione di due apparizioni di Gesù, che già abbiamo sinteticamente ricordato nel giorno di Pasqua. Ma è così decisivo per la nostra fede l'avvenimento della Risurrezione di Cristo, che val la pena di fermarsi ancora a considerarne l'immenso valore. «Se Cristo non fosse risorto, è l'argomento di San Paolo, sarebbe vana la nostra fede e tutti quelli che si addormentarono nell'ultimo sonno fidando in Lui sarebbero periti per sempre. Se Cristo non fosse risorto, chi in questa vita non ha altro conforto che le speranze da Lui lasciate, sarebbe il più miserabile degli uomini».
Ma queste non sono le speranze di pochi, sono le speranze, anzi le certezze, di tutto un mondo. Se Cristo non fosse risorto, il mondo cristiano con una dottrina perfetta, con una morale ineccepibile, con una falange di Santi, con milioni di Martiri, con una civiltà che da venti secoli forma l'ossatura della storia, si reggerebbe sopra un'illusione. Se questo non è un assurdo, non si sa quale altro lo potrebbe essere. Tanto più che l'illusione avrebbe per oggetto dei fatti, dei fatti controllabilissimi e controllatissimi; che Gesù sia veramente morto e che si sia fatto veder da più testimoni degni di fede con un corpo vivo, reale, tangibile dopo la sua risurrezione.
Ora, non c'è nulla di più certo della sua morte e basta la lettura spassionata della sua Passione per convincersi che Egli avrebbe potuto morire anche prima, se non avesse voluto morire soltanto sulla Croce. D'altronde proprio coloro che avevano il diabolico interesse di saperlo morto, hanno perfino provocato la constatazione ufficiale della sua morte e si sono impadroniti del suo sepolcro, preparando così a se stessi ed agli increduli di tutti i tempi la più solenne smentita alle proprie menzogne. E dopo la sua risurrezione non si è fatto vedere a uno o a due o a pochi, che fossero già disposti a prendere per realtà una speranza vagheggiata (come nel "romanzo" di Renan); anzi pensarono che fosse illusione quella che era realtà ed è il caso di dire che Gesù ha quasi faticato a persuaderli della sua vittoria sopra la morte.
Nonostante la chiarissima profezia della sua Risurrezione, chi era preparato a vederlo risorgere? Non le pie donne che ancora il mattino della Domenica si recavano alla sua tomba per un tributo di lacrime e di profumi alla sua Salma; non la Maddalena che innanzi al sepolcro vuoto pensò non alla risurrezione, ma ad una sottrazione del cadavere; non gli Apostoli che, quando se lo videro innanzi, lo scambiarono per un fantasma; non i discepoli di Emmaus, che perfino alla sera della domenica si rifiutarono di credere alla testimonianza delle donne ed uscirono nella frase sconsolata: «Noi speravamo...», vale a dire: «Ormai non speriamo più». Nè, fra gli Apostoli, Tommaso, che pretese, per arrendersi innanzi alla realtà, di porre il suo dito nel posto dei chiodi e la sua mano nello squarcio prodotto dalla lanciata di Longino.
Nessuno credette da principio! Perché poi dettero il sangue per testimoniare al mondo la sua Risurrezione? Perché il mondo accettò la legge di un Crocifisso.
Perché «il Crocifisso» dimostrò di essere «il Risorto». Perché si fece vedere alle donne, agli Apostoli, ai discepoli, ad una folla di testimoni, in luoghi, in giorni, in circostanze diverse; perché conversò con loro, si fece toccare, mangiò alla loro presenza, affidò a loro la sua Chiesa, dopo aver conferito i poteri, che avrebbero dovuto esercitare e, infine, non svanì come un sogno, ma dopo essersi ancora una volta assiso con loro a mensa, sotto i loro occhi lasciò la terra e ritornò al Padre, come chi, avendo compiuto la sua missione, non gli resta che tornare a colui, che lo ha mandato.
Anche l'incredulità di Tomaso è stata provvidenziale; ha giovato di più la sua ostinazione del grido ammirato e commosso della Maddalena. Ma ammiriamo la divina accondiscendenza di Gesù, che non abbandona alla deriva l'Apostolo infedele, ma corre a salvarlo dal naufragio. Ed ammiriamo la magnifica professione di fede, che esce dal cuore più che dalle labbra di Tomaso, che, invitato a far proprio quell'esperienza a cui aveva condizionato il suo assenso, vinto dall'evidenza che egli sta innanzi agli occhi «Mio Signore, esclama, e mio Dio!». È la più bella professione di fede che si potesse desiderare, in quanto dall'ammissione del fatto storico della risurrezione egli passa con logica felicissima a confessare la divinità di Gesù. Ha ragione Tomaso: nessun taumaturgo si è curvato su quella tomba; nessuno ha invocato la potenza di Dio chiedendo il prodigio; Gesù è risorto per virtù propria: ciò è esclusivo di Colui, che è arbitro della vita della morte; ciò è proprio di Dio e di Dio soltanto.
E, finalmente, cogliamo motivo di conforto dalle parole di Gesù, che chiudono l'episodio rievocato dall'odierna liturgia: «Perché hai veduto, Tomaso, hai creduto: beati coloro che non hanno veduto ed hanno creduto». Noi e il mondo cristiano siamo tra quelli che «non hanno veduto ed hanno creduto». È, dunque, coniata anche per noi questa «beatitudine». La nostra fede nella risurrezione di Cristo è pienamente giustificata dalle prove massicce, che la rendono di una sfolgorante evidenza; tuttavia è anche vero che noi «non abbiano veduto». Hanno veduto per noi Tomaso, gli Apostoli, i discepoli, le donne ed i moltissimi altri ai quali Gesù si è manifestato; noi abbiamo accettato la loro testimonianza, la testimonianza della Chiesa e del mondo cristiano uscito, potremmo dire, dal sepolcro vuoto di Cristo. La prima generazione cristiana ha confermato col sangue la propria testimonianza; «bisogna credere, ha detto Pascal, a dei testimoni che si lasciano sgozzare». Siamo fieri di questa eredità, che il sangue dei Martiri ha reso inestimabilmente preziosa ed inesauribilmente feconda.
Mons.Ferdinando Prosperini - Canonico Vaticano -
Dixit Jesus ... 1963.
Colloquio Spirituale.
Dio mio, dammi un cuore puro e semplice, senza malizia, senza finzione. «O Signore, concedimi vera purezza e semplicità: negli occhi, nelle parole, nel cuore, nell'intenzione, nelle opere e in tutto l'interiore e l'esteriore. Ma vorrei sapere, Signor mio, quello che impedisce in me queste virtù. Lo dirò a te, anima mia, poiché non posso farlo intendere ad altri. Sai che cosa l'impedisce? Ogni minimo sguardo che non sia secondo Dio, tutte le parole che non sono proferite o per lode di Dio, o per conforto del prossimo. E sai come scacci dal cuore tuo queste virtù? Le scacci ogni volta che non hai quella pura intenzione di onorare Dio e di giovare al prossimo tuo; le scacci anche quando ti vuoi andare ammantellando, coprendo e scusando le colpe tue, non pensando che Dio vede tutto e vede il tuo cuore. O Signore, dammi vera purità e semplicità, perché nell'anima che ne è priva non puoi trovare il tuo riposo» (cfr. S.M.Madd.de' P.).
O Signore, monda il mio cuore e le mie labbra col fuoco della tua carità, affinché ti ami e ti cerchi con la purezza e la semplicità di un fanciullo. Ma dammi anche la fede semplice dei fanciulli, fede senza ombre, senza titubanze, senza inutili ragionamenti; fede dritta e pura che è paga della tua parola, della tua testimonianza e in essa si acquieta senza voler altro.
«O Signore, che cosa m'importa di sentire o di non sentire, di essere nel buio o nella luce, di gioire o di soffrire, quando posso raccogliermi nella luce creata in me dalla fede? Devo piuttosto provare una specie di vergogna nel far distinzione fra queste cose; e quando mi sento ancora scossa da esse devo disprezzarmi profondamente per il mio poco amore e guardare subito a te, Maestro divino, per farmi da te liberare. E Tu m'insegni che devo esaltarti al di sopra delle dolcezze e delle consolazioni che vengono da te, e devo esser risoluta a passar sopra a tutto per unirmi a te» (cfr. E.T. II,4).
Padre Gabriele di S.Maria Maddalena O.C.M. - 1893 - 1953
Intimità Divina, Roma 1962