Festa di San Biagio
San Biagio... tra storia e leggenda.
«Alle tue mani, Signore, affido la mia vita» cfr. Sal 31,6.
In questa memoria liturgica di San Biagio cercheremo di narrare la storia del santo e, alla luce della Parola di Dio, ricavarne alcune lezioni di vita. In genere la vita dei nostri santi è proprio, come diceva San Francesco di Sales, un pezzo di spartito evangelico eseguito da una orchestra capace. Senza i Santi difficilmente avremmo potuto capire il Vangelo, sarebbe rimasto «libro», «carta»; i Santi non solo sono i migliori esegeti della Sacra Scrittura, ma soprattutto i migliori esecutori di essa; con la loro vita ci mostrano che è possibile vivere la Parola di Dio. Entrando nella loro vicenda, spesso tra storia e leggenda, si impara il buon profumo di Cristo.
+ Guglielmo Borghetti,
Vescovo di Orbetello.
Omelia nella solennità di San Biagio, patrono della Città, 3 febbraio 2012.
«Alle tue mani, Signore, affido la mia vita» cfr. Sal 31,6.
San Biagio è venerato fin dall’antichità come uno dei 14 santi «ausiliatori», cioè che portano un aiuto e quindi è stato tra i santi più venerati e popolari per oltre un millennio; la sua storia si trova nella «Legenda Aurea», scritta da Jacopo da Varagine intorno al 1260, opera che ebbe grande diffusione nel Medioevo. L’etimologia del suo nome è incerta: forse è mutilazione della parola greca «basiléus» che significa «re»; o dalla parola greca «vlasios», dal verbo «vlastano» che significa «germogliare» e quindi, «vlasios» corrisponderebbe a «germoglio». Una bella allusione a quest’ultimo significato si riscontra, in un inno greco, composto da S. Teodoro: «Tu, Biagio, come indica il tuo nome, sei germogliato nell’esercizio delle virtù divine».
San Biagio fu vescovo di Sebaste, in Armenia, e martire nel IV secolo, presumibilmente sotto l’imperatore Licinio (307-323). Nella sua città Sebaste, in quella che oggi è l’Anatolia, pare esercitasse la professione medica, successivamente fu fatto vescovo. Rimane una figura misteriosa in quanto si trova, per così dire, in bilico tra la storia e la leggenda: la documentazione storica è labile, ma le testimonianze a suo riguardo, numerose. Il suo culto è molto esteso in Oriente e anche in Occidente dove è documentato fin dai primi secoli: la grotta nella quale si ritirò San Benedetto nel V secolo a Subiaco era presso un luogo di preghiera dedicato a San Biagio.
Inutile tentare di districare i dati storici dalla leggenda di San Biagio: probabilmente il suo martirio avvenne nell’anno 316 e quindi è stato tra le ultime vittime delle persecuzioni che Licinio, nel tentativo di sopraffare Costantino, continuò in Oriente, anche dopo l’editto del 313 che vi aveva posto fine, per trarre dalla propria parte i pagani. Quando Licinio scatenò la persecuzione dei cristiani nell’Armenia, molti fedeli consigliarono al vescovo Biagio di fuggire e nascondersi; il Santo si ritirò sulle pendici selvagge di un alto monte e visse in una spelonca come un eremita cibandosi di quel poco che trovava e dormendo in un giaciglio di erba e foglie secche. Ora avvenne che gli animali selvatici presero ad andare a quella spelonca e a fermarsi intorno a Biagio: cervi, caprioli, asini selvatici, ma anche belve feroci e serpenti che rimanevano quieti in pace e non si allontanavano finché il Santo non aveva dato loro la benedizione. Col tempo i cacciatori si trovarono costretti a tornare dalla foresta a mani vuote, non avendo visto neppure un animale, tutte le bestie andavano alla grotta di Biagio: gli uccelli gli portavano di che mangiare e lui, che era medico, curava le bestie ferite e malate.
Qualcuno scoprì gli animali intorno alla grotta dell’eremita e andò a riferirlo all’imperatore che divenne furibondo e mandò una delle sue legioni a prendere il vescovo. Dispersi gli animali, entrati nella caverna, i soldati arrestarono Biagio e lo condussero davanti al tiranno, che lo condannò a morte. Mentre Biagio veniva condotto alla città per presentarsi al cospetto dell’imperatore si dice che furono più i miracoli compiuti dei passi da lui fatti. Rapidamente si sparse la voce in quella terra che passava il Vescovo prigioniero e molti accorrevano per salutarlo, altri per essere guariti, altri consolati. Per tutti il Santo aveva una parola, un sorriso, una carezza e non pochi si trovarono sanati senza aver chiesto nulla, solo perché Biagio aveva il dono di leggere nel loro cuore. Accorse anche una donna in pianto, che teneva tra le braccia il figlio morente chiedendo che Biagio lo guarisse: mentre mangiava, una lisca di pesce gli si era confitta nella gola e nulla era valso a toglierla e il ragazzo era alla fine. Il vescovo pose le mani sopra il corpo esanime, rapidamente la vita ritornò e tossendo il ragazzo sputò la spina e fu sanato. Disse allora Biagio che tutti quelli che l’avessero invocato nelle tribolazioni della malattia avrebbero avuto il suo aiuto. Incarcerato e maltrattato Biagio fu portato alla presenza dell’imperatore, ma non si piegò all’intimazione di abiurare al suo Dio e onorare le divinità pagane, per cui fu sottoposto a pene e torture. Fu ordinato che fosse straziato con pettini di ferro e così esangue fu riportato in carcere. Il processo continuò e Biagio resistette impavido nella sua fede, per cui fu condannato ad essere annegato in uno stagno. Ma lui, camminando sulle acque, tornò alla riva dove subì il martirio per decapitazione.
«Alle tue mani, Signore, affido la mia vita» cfr. Sal 31,6.
Ma cerchiamo adesso di estrarre da storia e leggenda qualche frammento di lezioni di vita. La gola è sicuramente una delle parti più sensibili dell’uomo: nel nostro linguaggio comune è spesso usata simbolicamente: la paura ci blocca la gola, non si riesce più a parlare; alcune persone hanno in gola un nodo di paura, di tristezza che impedisce loro di respirare. La situazione di necessità per la quale potremmo oggi ricorrere all’intervento di S. Biagio è l’angoscia e la paura. Il nodo alla gola è l’immagine fisica della strettezza provocata dall’angoscia. Molte sono le paure e le angosce che scuotono oggi le persone: tanti oggi temono questa pandemia che sembra non finire mai; uno ha paura di fallire, un altro ha paura del giudizio degli altri e del loro rifiuto, altri hanno paura della malattia e della morte, altri di restare soli e abbandonati, molti di perdere il lavoro, altri delle guerre e delle armi biologiche, tutti siamo un po’ angosciati dalla crisi economica e dalle sue proporzioni, tutti siamo presi dall’angoscia dei terremoti, delle alluvioni. E poi, questa esplosione di violenza, considerata come strumento per risolvere i tanti problemi del nostro mondo. Non è possibile non definire con il termine angoscia la vita degli uomini in questi tempi. L’angoscia accompagna la nostra vita quotidiana, le tragedie familiari e sociali penetrano nel vivo della nostra coscienza in modo forte. S. Biagio non può liberare da queste angosce, ma mentre riflettiamo sulla sua leggenda, meditiamo la sua storia scopriamo le strade giuste per affrontare la nostra angoscia. La lisca di pesce conficcata nella gola è un’immagine azzeccata dell’angoscia. Qualcosa si è bloccato dentro di noi. Quanto più lo tiriamo tanto meno si muove, anzi non facciamo altro che produrre piaghe. Che cosa dobbiamo fare allora?
Dobbiamo riconciliarci con la lisca che è bloccata in noi, con la paura che ci prende.
La leggenda di S. Biagio ci invita a collocare la nostra angoscia di fronte a Dio, occorre lasciare che il suo sguardo raggiunga la nostra angoscia e questo la rende meno potente. In tempi di secolarismo imperante, dove si vive come se Dio non esistesse, recuperare la presenza di Dio Padre diventa decisivo per la nostra fede.
Con le candele, che alla fine della S. Messa sarà benedetta la nostra gola, la premura di Dio viene avvicinata al punto della nostra rigidità: il calore dell’amore scioglie ogni rigidità. Se uno sperimenta di essere accettato e toccato proprio là dove è bloccato, sperimenta il dilatarsi di ogni strettezza, la nostra angoscia, personale e sociale, è toccata dall’amore di Dio che la trasforma e la dissolve.
«Alle tue mani, Signore, affido la mia vita» cfr. Sal 31,6.
Nel momento in cui Dio in Cristo si avvicina e tocca il punto di rigidità della nostra vita davvero l’angoscia si dissolve. Per questo preghiamo con fede oggi, in questa solenne Eucaristia.
+ Guglielmo Borghetti,
Vescovo di Orbetello.
Omelia nella solennità di San Biagio, patrono della Città, 3 febbraio 2012.
Colloquio Sprituale.
Con la nostra voce ci uniamo al concerto di Lodi che a te innalzano tutte le Chiese, o San Biagio!
In ricambio dei nostri omaggi dall'eccelsa gloria ove regni, rivolgi lo sguardo su di noi e su tutti i fedeli della cristianità, che si preparano alle sante espiazioni della penitenza e vogliono tornare al Signore loro Dio con lacrime di compunzione. Memore dei tuoi combattimenti, assisteteci nel lavoro fatico del nostro rinnovamento che stiamo per intraprendere. Tu che non hai avuto paura dei tormenti e della morte, e che, per quanto aspra sia stata la prova, l'hai sopportata con coraggio, ottienici la costanza nella lotta meno ardua. I nostri nemici sono niente in confronto di quelli che tu hai dovuto vincere; ma sono tanto perfidi, che se noi veniamo a patti con loro, finiranno per abbatterci. Ottienici il divino soccorso, fattore del vostro trionfo. Siamo i figli dei Martiri: che il loro sangue non degeneri in noi. Ricordati anche delle regioni bagnate dal tuo sangue: ivi s'e' alterata la fede, ma giorni migliori pare stiano per sorgere. Per le tue paterne preghiere, fa' che l'Armenia rientri nel seno della Chiesa Cattolica, e, col ritorno dei fratelli, consola i fedeli rimasti nella vera fede fra tanti pericoli.
Dom Prosper Gueramger O.S.B,
Abate di Solesmes 1805 - 1875.