Preghiera e Liturgia

Santo Natale 2019

PresepePiazzaSan PietroIn Nativitate Domini nostri Iesu Christi.
«Il popolo ha visto una grande luce» Is 9,1.

«L'albero è un significativo simbolo del Natale di Cristo, perché con i suoi rami sempre verdi richiama il perdurare della vita» Papa Benedetto XVI.

«Ogni anno il presepe e l’albero di Natale ci parlano con il loro linguaggio simbolico. Essi rendono maggiormente visibile quanto si coglie nell’esperienza della nascita del figlio di Dio» Papa Francesco.


Addobbare l’albero di Natale, benchè sia d'uso anche in piazza San Pietro dal lontano 1982 con san Giovanni Paolo II, è ancora visto come un uso protestante, o neopagano, contrapposto al presepe cattolico. Ma l’albero di Natale è una tradizione cattolica sin dall’VIII Secolo, introdotto da San Bonifacio, quando convertì i popoli germanici. Addobbare l’albero di Natale è un segno di profonda devozione cattolica. Gli alberi sacri o magici erano certamente diffusi nella religiosità dei popoli precristiani, così come in parte lo era anche l’usanza di ornare le abitazioni con fronde di conifere, ma non è vero che la Chiesa - qui come in altri casi - abbia imitato i culti pagani.
Il simbolismo dell’albero è biblico. Nell’Eden Dio pone «l’albero della vita in mezzo al giardino» accanto all’«albero della conoscenza del bene e del male» Gn 2,9; cfr. anche Ap 2,7. La stessa idea torna nell’albero di Jesse, dal nome del padre del Re Davide, e si dà forma alla genealogia di Gesù. Quindi, ciò che è iniziato nell’Eden si conclude con l’albero sacro per eccellenza, la Croce, che, sovrapponendosi all’Albero di Jesse e all’albero dell’Eden, si rivela essere «l’axis mundi». Quando i missionari incontrarono i popoli celtici del Nord, che adoravano gli alberi sacri, richiamandosi agli alberi cosmici, ne utilizzarono il simbolismo per annunciare la Croce della salvezza. E come i pagani decoravano e accendevano luci sugli alberi all’inizio dell’inverno, dove il buio è più intenso, per propiziare la rinascita del mondo con il ritorno del Sole al termine della notte, così la Chiesa ha visto la SS. Trinità nella forma triangolare dell’abete, sottolineando con esso che nel momento più oscuro la luce non è di là da venire, ma è già qui e ora con la nascita di Cristo, il vero sempreverde.
Bonifacio nel 722 fu nominato legato pontificio da Papa Gregorio II e prese la decisione clamorosa di abbattere la quercia che svettava nel sobborgo della città di Fritzlar, consacrata dai Catti, la popolazione del luogo, al culto di Donar, il dio del tuono, quello che per gli scandinavi è Thor. Quando i pagani videro che il dio del tuono non reagiva all’ascia del Santo, piegarono il ginocchio a Gesù. Dal tronco della quercia, Bonifacio ricavò il legname con cui fece costruire una cappella, dedicandola a San Pietro. Dietro la quercia ormai abbattuta spuntava un giovane abete, un sempreverde come la vita che non muore, e Bonifacio volle fosse chiamato l’albero di Cristo bambino, istruendo il popolo a radunarsi attorno a esso, non nei boschi bensì nelle proprie dimore. Era tempo di Avvento e l’albero di Natale era nato.

Usanza del Natale, oltre all’albero, è l’agrifoglio.
Anch’esso era venerato dai popoli precristiani, ma la Chiesa ne consigliò l’uso simbolico indicando nelle sue spine quelle che infersero ferite profonde al capo di Gesù, nelle sue bacche rosse le gocce del Preziosissimo Sangue che sgorgò a fiotti e nei suoi fiori bianchi candidi la purezza della Madonna. La vigilia di Natale, il 24 dicembre, è il giorno della memoria liturgica dei santi progenitori Adamo ed Eva. Gli abeti sui sagrati delle chiese, ricordando l’Albero della vita dell’Eden, venivano decorati con mele rosse a memoria del peccato originale e in seguito vennero adoperate anche delle ostie per simboleggiare la vittoria sul peccato. Le mele sono diventate palline quando, a fine Ottocento, a Meisenthal, in Francia, scarseggiando le mele, i vetrai ne confezionarono di artificiali; e il rosso è natalizio per questo (oltre che per san Nicola di Myra, l’unico vero Santa Claus, il quale vestiva il rosso dei Vescovi).

Presepe e albero sono stati fianco a fianco per secoli prima della Riforma. Il simbolismo dell’albero decorato meno evidente di quello del presepe magnificato da San Francesco, ma questo solo perché l’uomo di oggi si lascia scorrere la vita addosso senza fermarsi a chiedere, a indagare. Così, dal 1982, un albero di Natale svetta, vicino al presepe, in Piazza San Pietro voluto da Papa Giovanni Paolo II. Papa Benedetto ha definito l’albero decorato «significativo simbolo del Natale di Cristo, perché con i suoi rami sempre verdi richiama il perdurare della vita» Discorso alla delegazione ucraina per la consegna dell’albero di Natale in Piazza San Pietro del 16 dicembre 2011 e Papa Francesco lo ha salutato dicendo: «Ogni anno il presepe e l’albero di Natale ci parlano con il loro linguaggio simbolico. Essi rendono maggiormente visibile quanto si coglie nell’esperienza della nascita del figlio di Dio» Saluto alle delegazioni che hanno donato il presepe e l’albero di Natale per Piazza San Pietro del 7 dicembre 2017. L’albero di Natale, quindi, è cattolico.

Il presepio è la rappresentazione della Natività di Gesù e comprende generalmente:
- la Sacra Famiglia,

- l’asino e il bue,
- l’adorazione dei pastori,
- l’adorazione dei Magi,
- gli Angeli,
- la Stella di Betlemme.
Inoltre, spesso figurano scene e personaggi della vita quotidiana e animali.
Il presepio viene allestito nelle chiese, nelle case private e nei luoghi pubblici, durante il periodo natalizio.
Il termine «presepio» deriva dalla latino «praesaepe», che significa «greppia», «mangiatoia», parola composta da prae = innanzi e saepes = recinto, ovvero luogo che ha davanti un recinto. La tradizione, tutta italiana, del presepio risale all'epoca di San Francesco d’Assisi, che nel 1220 visita i luoghi della vita terrena di Gesù. Va anche a Betlemme e lì sosta a lungo in preghiera e meditazione sul luogo dove Gesù è nato. Tornato in Italia, continua a ripensare a quel viaggio e al mistero di Dio che si fa uomo, bambino, umile, fragile… commovendosi fino a piangere. Per questo nel Natale del 1223 realizza a Greccio la prima rappresentazione vivente della Natività di Gesù. Lui dice di voler organizzare, per la notte di Natale, una rappresentazione della nascita di Gesù. Non, però, uno spettacolo da far vedere ai curiosi, ma una ricostruzione visiva e vera. Il biografo, Tommaso da Celano riporta le parole di Francesco: «Vorrei rappresentare il bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Francesco non vuole uno spettacolo, poiché lo ritiene irrispettoso nei confronti del grande mistero religioso e teme che la sua iniziativa sia male interpretata. Per questo, prima di mettere in atto quel suo progetto chiede il permesso al Papa. Giovanni di Greccio, un suo amico, organizza ogni cosa come Francesco aveva chiesto. La notizia era stata diffusa e la gente del luogo si raduna presso la grotta dove Francesco e i frati pregano. Arrivano pellegrini anche da altri borghi. Scrive Tommaso da Celano: «Arrivarono uomini, donne festanti, portando ciascuno, secondo le sue possibilità, ceri o fiaccole per illuminare quella notte». Alla fine giunge Francesco e, vedendo che tutto era predisposto secondo il suo desiderio, è raggiante di gioia. Inoltre, Tommaso da Celano precisa che, a quel punto: «Si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello». Da questa annotazione si comprende che Francesco volle ricostruire la scena della nascita di Gesù, ma non volle dare spettacolo. Infatti, nessuno dei presenti prende il posto della Madonna, di San Giuseppe e di Gesù Bambino. Francesco voleva vedere la scena reale su cui pensare e riflettere nella Messa che sarebbe stata celebrata, perché la celebrazione eucaristica avrebbe così richiamato la presenza reale di Gesù in quel luogo. San Bonaventura specifica: «Egli affermò di aver veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo fanciullo addormentato, che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno». Durante quella Santa Messa Francesco indossa i paramenti solenni e legge il Vangelo, tenendo poi una predica. Tommaso da Celano riferisce che quando pronuncia le parole «Bambino di Betlemme» la sua voce trema di tenerezza e di commozione e aggiunge che durante la celebrazione eucaristica, si manifestarono in abbondanza i doni dell’Onnipotente, cioè fatti prodigiosi.

Il Presepio è una rappresentazione ricca di simboli.
Alcuni di questi provengono direttamente dal racconto evangelico. Sono riconducibili al racconto di Luca: la mangiatoia, l'adorazione dei pastori e la presenza di angeli nel cielo. Altri elementi appartengono a una iconografia propria dell’arte sacra: Maria ha un manto azzurro che simboleggia il cielo, San Giuseppe ha in genere un manto dai toni dimessi a rappresentare l’umiltà. I Vangeli parlano della Natività in modo teologico, senza particolari devozionali. Il presepio attinge anche ai Vangeli apocrifi, cioè quelli che sono rimasti nascosti e ad alcune tradizioni dimenticate. Il bue e l'asinello, simboli immancabili di ogni presepio, derivano da una profezia di Isaia 1,3 : «Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». Sebbene Isaia non si riferisse alla nascita del Cristo, l'immagine venne letta come simbolo degli Ebrei, rappresentati dal bue e dei pagani, rappresentati dall'asino. Secondo altri invece la tradizione dell'asino e del bue ha origine dal protovangelo di Giacomo. La stalla o la grotta, in cui Maria diede alla luce il Messia, non compare nei quattro Vangeli: sebbene Luca citi i pastori e la mangiatoia, nessuno degli evangelisti parla in modo esplicito di una grotta o di una stalla. Questa informazione si trova nei Vangeli apocrifi. In ogni caso a Betlemme, la Basilica della Natività sorge intorno a quella che è indicata dalla tradizione come la grotta dove nacque Gesù. Tuttavia, l'immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per i popoli del Medio Oriente. I particolari sui Re Magi derivano dal Vangelo dell’infanzia armeno. Questo vangelo colma le «lacune» di Matteo, ovvero il numero e il nome di questi sapienti orientali: il vangelo in questione fa i nomi di tre sacerdoti persiani: Melkon, Gaspar e Balthasar, anche se non manca chi vede in essi un persiano che reca in dono l’oro, un arabo che reca l’incenso e un etiope che reca la mirra. Così i Magi entrarono nel presepio, sia incarnando le ambientazioni esotiche, sia come simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa. Anche il numero dei Magi fu piuttosto controverso. Fu definitivamente stabilito in tre, come i doni da loro offerti, da un decreto di Papa Leone I Magno. Altri particolari derivano da tradizioni molto più recenti.

Sono molti i simboli nascosti nel presepe che rappresentano il cammino dell’uomo: dal sonno al risveglio, dall’ignoranza alla conoscenza, dalla morte alla rinascita, dalle tenebre alla luce. Tutta la simbologia può essere analizzata in base ad approcci diversi: il mito, la tradizione, il simbolo. Nel calendario il 25 dicembre, giorno del solstizio d’inverno, era considerato come la nascita del sole. Identificato con vari nomi da tutte le culture del mondo antico, il «sol invictus», il sole invincibile lotta contro le tenebre uscendone vittorioso. I Vangeli non dicono nulla in merito al giorno della nascita di Cristo ed anche la Chiesa primitiva non la celebrava; infatti fino all’inizio del IV secolo la nascita del Salvatore era festeggiata il 6 gennaio (data ancora oggi utilizzata dai cattolici ortodossi di rito  orientale che non riconoscono il calendario gregoriano ) I Padri della Chiesa, avendo constatato che anche i cristiani partecipavano ai festeggiamenti per la nascita del sole il 25 dicembre, decisero che quello doveva essere il giorno per solennizzare la Natività. Pur non entrando in contrasto con le decisioni prese, Agostino allude però all’origine pagana del Natale, quando in un suo sermone esorta i fratelli cristiani a non celebrare, in quel giorno solenne, il sole, ma Colui che il sole aveva creato.

La grotta.
Nessuno dei Vangeli parla espressamente di una grotta o di una stalla ove Maria avrebbe dato alla luce il Messia. Nell’unica citazione di Luca 2,7 «in una mangiatoia perché non c’era posto per essi nell’albergo», non c’è traccia del bue, che avrebbe indicato con i suoi muggiti l’esistenza della stalla e dell’asino, che accompagnò Giuseppe e Maria durante il loro viaggio. Bue-sole, Asino-luna; ancora una volta due principi opposti: giorno-notte. I due animali sono presenti nel vangelo apocrifo dello pseudo Matteo che colloca la nascita in una stalla. La tradizione sarà poi, nel IV secolo, cambia la stalla con la grotta, che è posta al centro della scena, a volte con altre di proporzioni più ridotte, nelle quali trovano posto i pastori con le greggi, i fuochi, gli animali. Sentieri impervi conducono dalle montagne alla grotta, simbolo materno per eccellenza e luogo della nascita. È un viaggio dall’alto verso il basso, verso le viscere della terra, per poter assistere, dopo aver vinto le angosce della discesa al buio, al trionfo della luce sulle tenebre, alla rinascita della natura sull’inverno. La grotta è come un confine tra luce e tenebre, ma anche come luogo di ingresso agli inferi ed al mistero della morte.

La Stella.
Il primo che diede un’interpretazione scientifica alla stella riportata da Matteo (che parla di una stella comune e non di una cometa) fu Origene, teologo del III sec. d.C. Forse la leggenda della «cometa di Natale» nacque alcuni anni dopo, nel 12 d.C., quando la cometa di Halley transitò nei cieli della Palestina. La nascita di Gesù si presentò come scompiglio dell’ordine immutabile ed eterno, e tale disordine è ben rappresentato nel presepe: un re che nasce povero, una stalla che splende di luce, gli innocenti che vengono uccisi. La stella diviene allora il simbolo di un incontro tra opposti, di conciliazione tra ordine e disordine.

Il fiume.
Il fiume è il segno del tempo che passa, il simbolo del ciclo vitale della nascita e della morte, dell’esistenza che scorre. È il luogo nel quale chi vi si immerge ne esce purificato e rigenerato; è il fonte battesimale e ricorda il Giordano nel quale fu battezzato Gesù.

Il pozzo.
Rappresenta il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee, di conseguenza ancora un legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti. In esso si tufferà la cometa dopo aver soddisfatto il compito di accompagnatrice dei Magi.

La fontana.
Le scene in cui si colloca la fontana sono rappresentazioni relative alle acque che provengono dal sottosuolo e la donna alla fontana è attinente alla figura della Madonna che, secondo alcune tradizioni, avrebbe ricevuto l’annuncio della maternità mentre attingeva acqua alla fonte. Il vangelo dello pseudo-Tommaso riporta: «Mentre Maria stava presso la fonte a riempire la brocca, le apparve un angelo del Signore e le disse – Beata tu sei o Maria, perché nel tuo ventre hai preparato un’abitazione al Signore».

Il ponte.
Elemento ricorrente è il ponte, simbolo di passaggio da un modo di essere ad un altro. La fede, la conoscenza, la morte stessa, equivalgono ad un transito  da una condizione ad un’altra.

La palma.
Immagine dell’«Albero della Vita», pianta misteriosa che Dio aveva creato nel giardino dell’Eden. Era considerata l’albero della pace, dell’abbondanza e della vittoria, tipica dell’area culturale medio-orientale. Tale simbolismo sarà poi ripreso con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme su un tappeto di foglie di palma.

Il mulino.
Raffigurazione del tempo che scorre con il girare delle pale e simbolo del nuovo anno raffigurato come una ruota che riprende a girare, ma anche metafora della morte. La macina schiaccia il grano per produrre farina bianca (il bianco era un antico simbolo di morte, ma anche di purezza e di verginità), ma la stessa farina può assumere una valenza positiva, per il fatto di diventare pane, alimento indispensabile al nutrimento.

Il forno.
Il pane che viene sfornato è un chiaro riferimento a Cristo, definito il Pane della Vita, ma è anche il pane materiale che è stato cotto tra le fiamme, simbolo del fuoco dell’inferno, che sostituisce quello spirituale e sazia il corpo senza nutrire l’anima.

L'osteria.
Luogo ricco di complessi significati che riconduce in primo luogo alla pericolosità del viaggio e della notte. Si riferisce a Maria e Giuseppe che, durante il loro cammino, non trovano alloggio, ma si associa anche il significato rituale del mangiare, riferimento alla vita materiale contrapposta a quella spirituale e, non a caso, l’osteria è posta accanto alla grotta, a simboleggiare  l’eterna lotta tra il bene e il male. È l’incarnazione del peccato e del diavolo che si presenta agli uomini sotto false spoglie. Il diavolo-oste attira gli avventori nell’osteria e lì, tra l’ebbrezza del vino e del cibo, impedisce agli uomini di accorgersi che poco lontano sta nascendo il Figlio di Dio.

Che questo Natale accenda in noi il desiderio di nutrirci di Gesù, di adorarlo, di piegare le ginocchia al grande mistero del suo amore che continua sull’altare per noi.
Vi auguro di vivere questa Festa del Santo Natale nella pace, nella gioia, nella serenità. Il Bambino porti, con le sue braccia aperte, un regalo per voi, il regalo più bello: quello della speranza. Coraggio fratelli e sorelle, non perdetevi d’animo, non lasciatevi cadere le braccia. Coraggio, andate avanti, pieni di fiducia e di speranza, perché Gesù è con noi, si è messo dalla nostra parte.
È Lui la nostra gioia…Gesù!
È Lui la nostra salvezza…Gesù!
E nel nome di Gesù, che è la nostra gioia, che è la nostra salvezza, come gli angeli hanno cantato la notte di Natale, anch’io vi annuncio una grande gioia: «Oggi vi è nato il Salvatore, che è il Cristo Signore!». Possa questo annuncio riempire di gioia e di pace voi, le vostre famiglie, le vostre case e tutte le persone a voi care.
Buon Natale, Santo Natale a tutti voi.
Buon Natale alla mia mamma che mi vuole tanto bene e al mio papà che ora mi sorride dal cielo e mi dice: «Va tutto bene!» e Buon Natale a tutta la mia famiglia che in mille modi mi è sempre vicina a mi aiuta ad andare avanti.
Buon Natale ai diaconi Luciano e Claudio e alle persone che in questa Chiesa credono in me e condividono le cose belle e meno belle di ogni giorno.
Buon Natale alle tante, tantissime persone che in questo luogo soffrono per la perdita di una persona cara: le vostre lacrime siano asciugate dal Bambino Gesù il Dio della Vita.
Un grande Buon Natale ad Alfredo, che sta vivendo mesi di sofferenza e al diacono Claudio che proprio in questi giorni ha perso la sua mamma: Alfredo e Claudio… Dio nasce anche per voi! E per tutti quelli che soffrono!
Buon Natale allora a tutti: incontriamo il Bambino nato a Betlemme, il Verbo eterno che si fa carne in mezzo a noi, nella mangiatoia e nell’Eucaristia.
E sarà veramente Natale! Per me, per voi, per tutti! «Et Verbum caro factum est!».

Sia lodato Gesù Cristo.

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